Qualche anno fa mi capitava ogni tanto che qualcuno, un po’ per scherzo, mi chiedesse come facessi a essere così forte; oggi invece spesso mi sento chiedere come faccio a essere «ancora» così forte, e non per scherzo. Nemmeno fossi una specie di highlander con occhialini e costume da bagno. Certo, a 29 anni e dopo quattro finali olimpiche disputate con un oro e un argento in bacheca, 11 record del mondo e oltre 150 medaglie in carriera, sono decisamente una veterana e, considerando che nel dicembre 2016, in Canada, ho vinto il mio quinto Mondiale (il primo in vasca corta), posso dire di essere ancora tra le più forti al mondo.
In vasca sono ancora una leonessa
Chi pensa che la mia longevità agonistica abbia alla base un segreto o una formula magica, però, si sbaglia. Credo si tratti di una combinazione di fattori che vanno dalla predisposizione genetica, per la quale devo ringraziare mamma e papà, al mio carattere riflessivo e po’ introverso, che mi rende possibile trascorrere ogni giorno diverse ore in solitudine ad ascoltare soltanto il mio respiro, passando per le strategie di allenamento che i miei allenatori hanno saputo ritagliarmi addosso nel corso degli anni. Infine, e non prendetemi per arrogante, devo anche dire che sono gli stessi risultati a convincermi di continuare: le vittorie mi danno sempre nuovi stimoli e non mi fanno mai mancare la gioia di allenarmi e lottare. Al giorno d’oggi la maggior parte dei nuotatori che smette prima dei trent’anni lo fa perché non è più competitiva e, quando anche io mi accorgerò di non stare più al passo con le migliori, state sicuri che non continuerò solo per il gusto di partecipare.
Se non vinco mi arrabbio come dieci anni fa
Non mi interessa niente essere spesso la più vecchia in vasca: in ogni gara che faccio, io voglio vincere e tutte le volte che non ci riesco mi arrabbio come quando avevo dieci anni di meno. Semmai, a mente fredda sono più brava (forse saggia?) nel valutare che cosa sia andato storto oppure che cosa avrei e avremmo potuto fare meglio. Ma l’arrabbiatura, credetemi, quella c’è sempre.
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Passo almeno 5 ore in acqua tutti i giorni
Se c’è una cosa che mi ha insegnato l’esperienza è proprio questa: la capacità di analizzare a fondo ogni prestazione. Credo che mai come oggi le mie sensazioni siano utili al mio allenatore Matteo Giunta per calibrare i giusti carichi di lavoro e trovare la «ricetta» perfetta. Non pensiate poi che, solo perché ho qualche anno in più, io mi alleni meno di prima. Ancora oggi la mia giornata di atleta inizia alle 8,30 e finisce alle 18,30, con in mezzo la pausa per mangiare. In media passo cinque ore in acqua e altre due o tre fra pista di atletica, palestra e sedute di fisioterapia. E per adesso il fisico non dà segni di cedimento, né sono calate le mie capacità di recupero. Il principale cambiamento nella mia preparazione deriva semmai dal fatto che da qualche anno non faccio più i 400 metri, ma solo i 200 e questo ha ridotto i chilometri che macino in acqua e anche… il mio giro vita, dato che gli sprinter devono essere più asciutti di chi nuota su distanze più importanti.
Non ho più gli attacchi di panico
Oltre a grandissime avversarie, in carriera ho sconfitto anche l’asma e le crisi di panico che, tra il 2009 e il 2010, mi colpivano prima delle gare e che ho superato grazie al lavoro, difficile e doloroso, con uno specialista. Insomma, se avessi voluto smettere prima avrei avuto mille buone ragioni per farlo. E invece sono ancora qui e di smettere ancora non ci penso proprio.
Federica Pellegrini (testimonianza raccolta per Ok Salute e Benessere di agosto 2017)
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