Rosalind Franklin, chimica e cristallografa britannica, giocò un ruolo cruciale nella determinazione della struttura a doppia elica del DNA. Henrietta Swan Leavitt, astronoma statunitense, scoprì la relazione tra il periodo e la luminosità delle stelle variabili Cefeidi, che divenne poi essenziale per la misurazione precisa delle distanze astronomiche. Questi sono solo alcuni esempi di donne il cui contributo è stato importantissimo, ma troppo spesso dimenticato o minimizzato nella storia della scienza.
Infatti, molte di loro hanno ricevuto un riconoscimento solo dopo diversi anni o sono ancora largamente sconosciute al grande pubblico. Il motivo per cui è accaduto trova origine in una tendenza sistematica alla svalutazione dei traguardi scientifici femminili, definita effetto Matilda.
L’impatto di tali dinamiche si estende ben oltre l’ambito individuale, influenzando le percezioni di genere, le aspirazioni di carriera e le opportunità disponibili per le donne. Ne abbiamo parlato con Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e clinical director del servizio di psicologia online Unobravo.
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Cos’è l’effetto Matilda?
Si tratta di un fenomeno tipico del mondo accademico e scientifico, per il quale le scoperte, le invenzioni e le ricerche compiute da una donna vengono ignorate, sminuite o persino attribuite ad un uomo. Fu Margaret Rossiter, storica della scienza, a studiarlo approfonditamente e a chiamarlo “effetto Matilda”. Nella sua pubblicazione del 1993, “The Matthew Matilda Effect in Science”, illustrò come il genere influenzasse la diffusione e il riconoscimento dei lavori di ricerca, indipendentemente dal loro valore scientifico. L’effetto prende il nome da Matilda Joslyn Gage, attivista per i diritti delle donne del XIX secolo, che evidenziò la mancata riconoscenza dei contributi femminili nella storia, sottolineando così l’importanza storica e la continua rilevanza di questo problema.
«Margaret Rossiter portò alla luce numerosi casi di scienziate alle quali è stato negato il credito dovuto o che sono state rese invisibili. Ad esempio, analizzando quante volte gli articoli scritti da donne venivano citati nelle opere di altri autori, riscontrò che queste citazioni erano nettamente inferiori rispetto a quelle dei colleghi uomini. Bisogna sottolineare che, nell’ambito accademico, essere citati riflette anche il successo della pubblicazione ed è un dato fondamentale per segnalarne il buon esito», spiega Valeria Fiorenza Perris.
L’impatto degli stereotipi di genere in ambito professionale e nel mondo accademico
«L’occultamento dei meriti e delle rilevanze scientifiche emerse grazie al lavoro delle donne, e anche l’attribuzione di tutte le principali scoperte agli uomini, ha per secoli avallato teorie secondo cui le donne non sarebbero state portate per l’ambito scientifico. Si è sviluppata una sorta di credenza per la quale, in determinati ambiti, le donne sarebbero state destinate a non spiccare mai. Sotto tanti punti di vista, tra cui quello economico, c’è ancora una tendenza a valorizzare maggiormente il lavoro degli uomini. Questi pregiudizi riguardano il settore scientifico ma anche, più in generale, il mondo del lavoro».
«La sensazione che il proprio impegno e i propri risultati non saranno riconosciuti o saranno addirittura attribuiti ad altre persone può creare un deterrente enorme, anche in modo assolutamente inconsapevole. Ritengo che ci sia una doppia perdita: una personale per una donna che rinuncia alle proprie ambizioni e un’altra a livello sociale. Infatti, l’effetto Matilda scoraggia delle donne a fare delle scoperte potenzialmente vantaggiose per l’intera comunità».
Effetto Matilda: come può influire sulla fiducia in sé e sulle aspirazioni future
«L’autostima si costruisce nel tempo anche grazie alle nostre esperienze, che sono una pietra miliare rispetto all’immagine che costruiamo di noi stessi. Sappiamo di potercela fare perché nella nostra mente ci identifichiamo come persone capaci e di valore. Di conseguenza, per una sorta di profezia che si autoavvera, più ci sentiamo così e più lo diventiamo veramente», continua la psicoterapeuta.
«Se il contesto sociale e culturale in cui siamo inseriti ci ostacola, crea un impedimento sia sul piano concreto che su quello psicologico. Poi, anche le persone che ci circondano, la nostra famiglia e i nostri amici hanno un peso notevole nel restituirci l’idea di poter essere tutto quello che vogliamo. In assenza di questi presupposti, tutti i ripetuti fallimenti, le delusioni, le opportunità svanite e le occasioni perse, lasceranno ovviamente in noi un grande senso di frustrazione, di rabbia, di tristezza, ma anche di timore nell’intraprendere nuove sfide».
L’importanza di avere delle figure con cui identificarsi
«Sapere che altre donne prima di noi sono riuscite a farcela può darci una motivazione ulteriore. In questo senso, è come se la storia ci aiutasse. Però, se non esiste, è chiaro che la dobbiamo costruire. Ecco perché il successo di un’altra donna non è significativo solo a livello personale. È importante per tutte avere figure con cui identificarsi, sapendo che sono riuscite a travalicare barriere come l’effetto Matilda».
«Resta comunque il fatto che rispetto all’uguaglianza di genere c’è ancora molto da fare, se dobbiamo sottolineare quanto conti il successo di una donna. Non siamo qui a dire, “meno male che quest’uomo ce l’ha fatta, così sarà un esempio per gli altri uomini”. Ciò significa che siamo ancora lontani dall’obiettivo finale».
«Quello che mi ha colpito delle storie sull’effetto Matilda è la dinamica che tutte hanno in comune. Cioè, studi di una certa rilevanza che hanno portato a scoperte assolutamente rivoluzionarie, rimasti ignorati dalla comunità scientifica finché un uomo non ha deciso di assumersene la paternità. Questa, secondo me, è la cosa più grave. Però, nessuna di queste donne ha rinunciato. Hanno dato il segnale che forse la tenacia può essere realmente trasformativa e che il valore non può essere negato a lungo. Senza il loro impegno non sarebbe stato possibile rendersi conto dell’iniquità con cui il sistema scientifico andava avanti».
Effetto Matilda: il superamento degli stereotipi parte dall’educazione e dalla consapevolezza
«Finché non conosciamo una dinamica, non potremo mai fare nulla per contrastarla. Se non si approfondiscono le questioni e si rimane in superficie, non avremo mai gli strumenti per scardinare quello che non va perché, innanzitutto, non lo vediamo. Si tende a guardare la realtà con la propria prospettiva che, tendenzialmente, è molto limitata e soggetta a bias sociali, culturali e di tante nature diverse. Il tema è che non possiamo chiedere a una persona che non è l’oggetto del pregiudizio se il pregiudizio esiste, perché, altrimenti, è ovvio che nessuno lo vedrà mai».
«Abbiamo bisogno di conoscere i fenomeni nella loro interezza, poiché la consapevolezza dà potere. A un occhio poco attento nessuno avrebbe notato l’effetto Matilda, visto che queste storie non erano note. Raccontarle ha permesso di ristabilire una verità storica, che vada oltre i falsi miti e le false credenze. Partendo da una presa di coscienza di più persone, poi si può parlare di ristrutturare, ripensare anche dei sistemi. Solo così si possono creare le basi per un’occasione di crescita e cambiamento potenzialmente positiva per tutti. La capacità, il merito e l’impegno vanno sempre riconosciuti e incoraggiati, a prescindere dalle caratteristiche personali o da pregiudizi di qualsiasi sorta», conclude l’esperta.
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