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Sport, come scegliere quello più adatto per il proprio figlio?

Per i più piccoli settembre non significa solo tornare a scuola, ma anche iniziare corsi e allenamenti sportivi. L'esperta Marisa Muzio spiega ai genitori come orientarsi tra le discipline e tra le necessità dei bambini

È meglio uno sport individuale o uno di squadra? Seguo i suoi gusti o decido io qual è la disciplina più adatta? Lo iscrivo a uno o più corsi? Sono queste, e molte altre, le domande che riecheggiano nella testa dei genitori quando devono scegliere lo sport più adatto per il proprio figlio o la propria figlia. Calcio, tennis, basket, nuoto, equitazione, judo, pallavolo, atletica: le discipline tra cui orientarsi sono davvero tante e ognuna ha le sue peculiarità e i suoi benefici. Questa estate, poi, grazie alle Olimpiadi di Rio i bambini hanno potuto ammirare le imprese di atleti di tutto il mondo e lo slancio verso particolari discipline (e non sempre e solo il calcio o la pallavolo) può essere più alto. Come districarsi e come scegliere lo sport più adatto per i propri bambini?

«La scelta della pratica sportiva è fondamentale – spiega Marisa Muzio, psicologa dello sport ed ex atleta (puoi chiederle un consulto qui) – da un lato bisogna assecondare gli interessi, i sogni e i desideri del bambino, dall’altro bisogna tenere conto degli aspetti pratici e logistici. Nella scelta tra sport individuale o di squadra, molti prediligono il secondo perché pensano che il primo sia privo di interazioni e opportunità di socializzazione: in realtà anche le attività individuali sono ricche di rapporti interpersonali e momenti di confronto durante gli allenamenti e le gare e agiscono in maniera positiva sulla socializzazione del bambino».

Gruppo San Donato

Ci sono bambini più indicati per gli sport di squadra e alcuni più per quelli individuali?

«Direi di no. Per anni c’è stata la tendenza ad individuare la disciplina sportiva sulla base della personalità del bambino: per esempio se mio figlio tende ad isolarsi e a stare sempre da solo, allora gli faccio fare il portiere. Niente di più sbagliato. Bisogna procedere in senso opposto: più il bimbo è introverso, più è fondamentale metterlo a contatto con gli altri in uno sport di squadra».

Sarebbe utile far provare a un bimbo entrambe le tipologie di sport?

«Sì. Da anni la psicologia si sofferma sull’importanza della molteplicità delle esperienze: le diverse richieste di compito e opportunità che ogni sport offre sono fondamentali nello sviluppo del piccolo. Fargli provare più discipline gli permetterà di scegliere quella che preferisce una volta cresciuto. Inoltre, è meglio non specializzare un bambino quando è ancora piccolo: evitare troppi tecnicismi e agonismo. Da questo punto di vista, molti danni li fanno quei genitori e allenatori più interessati alla dimensione agonistica piuttosto che ad altri fattori fondamentali nella crescita del bambino. Iniziare troppo presto con gare e competizioni non va bene: all’inizio lo sport deve rientrare in una dimensione ludica».

L’agonismo però poi diventa importante.

«Assolutamente: è insito nella natura umana. Le partite o le gare della domenica sono anche un’ottima opportunità per riunire la famiglia e creare momenti di confronto tra genitori e figli. La cosa fondamentale è che il rientro da una partita o da una gara andata male non si trasformi in un’occasione per rinfacciare al bambino quello che doveva fare o quello che ci si aspettava da lui. Questo sarebbe molto sbagliato».

È giusto assecondare ogni scelta del figlio, anche se dettata dalle mode scolastiche?

«Tra i bambini nella scelta delle discipline intervengono sempre le mode. Negli anni ’90, per esempio, c’è stato il boom della pallavolo tra le ragazzine a causa del cartone Mila e Shiro. Poi ci sono altri fattori, come l’influenza del compagno o dell’amico del cuore. Non è sbagliato assecondare queste mode, perché comunque è utile iscrivere il proprio figlio a un corso in cui è presente un compagno di giochi o una persona a lui affettivamente vicina. In questo modo, nei momenti di noia o demotivazione, il bambino avrà accanto qualcuno che conosce e non si sentirà solo».

Se un genitore vuole iscrivere il figlio a uno sport particolare, perché piace a lui o perché pensa sia adatto, è giusto convincerlo in qualche modo, a tratti costringerlo, se si ritiene che sia la scelta giusta?

«I genitori spesso tendono a proiettare nei figli delle aspettative. Alcuni sognano che il figlio abbia successo in uno sport in cui loro non sono riusciti, altri, che in gioventù sono stati dei campioni, vorrebbero che il figlio seguisse le loro orme. È un argomento delicato: ascoltare i bisogni dei bambini in questo senso è fondamentale, ma è anche vero che uno sport condiviso può migliorare il dialogo tra genitore e figlio. Tuttavia, essere troppo coercitivi e obbligare un bambino a fare uno sport scelto da un genitore è sempre una scelta sbagliata, anche se a volte i bimbi hanno pregiudizi verso alcune discipline (magari perché non la pratica nessuno degli amici) e fargli fare una prova può essere efficace per capire se piace o meno».

In questo senso, potrebbe essere utile far “testare” uno sport al proprio figlio praticandolo con lui?

«Sì, questo tipo di esperienze sono ottime: possono diventare un momento di crescita per le dinamiche affettive all’interno della famiglia. Tuttavia, è importante che il genitore non si sovrapponga mai, sopratutto nei settori giovanili, con la figura dell’allenatore perché si perde la dimensione affettiva e di dialogo con il proprio figlio. Ci sono felici eccezioni, come Giorgio e Tania Cagnotto, ma lo sport deve rimanere un confronto tra genitori e figli in quanto pari, non subordinati».

Qual è l’età ottimale per far approcciare un bambino a uno sport?

«Varia sicuramente da sport a sport. Oggi si tende a rendere precoci l’inizio delle attività sportive. Per quanto riguarda il nuoto, per esempio, quello neonatale è una buona esperienza nel rapporto genitori-neonato (soprattutto papà-neonato) e per questo si parla di un approccio già nei primi mesi di vita. Per le altre discipline bisogna capire in che modalità vengono proposte al bambino: come dicevo, quando è piccolo meglio farlo in una dimensione ludica, senza troppe specializzazioni e agonismo».

Praticare più sport è corretto per permettere al bambino di scegliere ciò che più gli piace, ma qual è il limite?

«Questo tema interessa la qualità di vita di un bambino. Se pensiamo che oltre allo sport nella settimana di un bambino magari c’è anche musica, inglese o catechismo, ecco che se ha tre allenamenti il piccolo viene privato di spazi di gioco e tempo libero fondamentali per lo sviluppo della sua creatività. A inizio anno, quindi, andrebbe bene iscriverlo a una disciplina, tipo il nuoto perché pensiamo che gli faccia bene, e poi magari a una seconda che ha scelto lui. Durante l’anno scolastico e sportivo, però, è fondamentale fare attenzione al suo stato d’animo: se denota stanchezza o momenti di demotivazione, cercate di capire cosa c’è dietro. Può essere una perdita di interesse (magari la disciplina non è quella più adatta a lui), un eccessivo affaticamento o semplicemente il bisogno di più tempo libero».

Giulia Masoero Regis

 

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