I bambini e gli adolescenti italiani continuano ad essere tra i minori consumatori di psicofarmaci in Europa, nonostante siano in aumento le diagnosi di disturbi psichiatrici dell’età evolutiva. Se da un lato possiamo dunque tirare un sospiro di sollievo, dall’altro lato è vero che le terapie vengono prescritte in maniera non sempre appropriata e a macchia di leopardo sul territorio nazionale, con notevoli differenze tra Regione e Regione. A denunciarlo è una ricerca condotta dagli esperti del Dipartimento di Salute Pubblica dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri.
I risultati, pubblicati sulla rivista European Child and Adolescent Psychiatry, dimostrano che in Italia 2 bambini e adolescenti ogni 1.000 (almeno 25.000) ricevono la prescrizione di uno psicofarmaco.
Nonostante si registri un modesto aumento delle prescrizioni, in particolare per gli antipsicotici e i farmaci per il disturbo da deficit di attenzione /iperattività, ADHD (Leggi cosa devi fare se hai un figlio iperattivo), il nostro Paese rimane comunque tra i più virtuosi in Europa, dove l’impiego degli psicofarmaci è anche 10 volte maggiore.
Questo dato, secondo gli esperti del Mario Negri, conferma ancora una volta l’attitudine italiana, meno propensa a prescrivere psicofarmaci ai bambini e agli adolescenti è più favorevole agli interventi psicologici. Un atteggiamento culturale che porta però come conseguenza anche il rischio di negare terapie farmacologiche efficaci ed appropriate quando necessarie e, all’estremo opposto, di fare prescrizioni in modo non razionale.
L’indagine dimostra infatti un’ampia diversità di prescrizione degli psicofarmaci in età evolutiva tra le diverse Regioni italiane e addirittura tra le diverse aziende sanitarie, sia in termini quantitativi (basti pensare che l’Abruzzo conta il doppio delle prescrizioni rispetto all’Emilia Romagna) che qualitativi (ovvero non appropriati per tipo di farmaco, dosaggio, età).
Come sottolinea Maurizio Bonati, Capo Dipartimento di Salute Pubblica dell’Istituto Mario Negri, «in questo contesto la mancanza di progettazione per acquisire conoscenze, anche attraverso ricerche indipendenti, penalizza ulteriormente aree neglette quali la neuropsichiatria dell’età evolutiva, dove i bisogni dei pazienti e delle famiglie rimangono troppo spesso inevasi, le risorse per l’organizzazione dei servizi sono insufficienti e l’aggiornamento attivo del personale, quando realizzato, rimane un’eccezione».
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