Tra poco suonerà la campanella del primo giorno di scuola che, soprattutto per i bambini delle elementari, rappresenta un momento fondamentale della vita. Come lo vivono? C’è differenza tra il primo giorno della prima elementare e il primo giorno degli anni successivi? Se nostro figlio non si integra facilmente con i compagni, cosa dobbiamo fare? Ne parliamo con Anna Ogliari, Medico Specialista in Psicologia Clinica presso l’Ospedale San Raffaele di Milano e Ricercatore Universitario presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.
Prima elementare: un grande cambiamento, con nuove nuove possibili amicizie e nuovi insegnanti. Come vive questo momento un bambino?
Di solito i bimbi sono molto affascinati all’idea di iniziare un percorso nuovo. Il piccolo vive per la prima volta un inserimento in un gruppo nuovo, il contatto con nuove insegnanti di riferimento che si occupano di materie diverse e l’acquisizione di materiali e nozioni nuove come cura del quaderno e della cartella. Si sentono più grandi e responsabili: per loro natura sono individui curiosi che hanno voglia di esplorare e apprendere, e il primo giorno è importante anche per questo motivo, sia per il bambino che per la famiglia.
Quali sono i possibili disagi dell’attesa del primo giorno?
Si può manifestare una moderata ansia, giustificata anche dalla novità. Mentre l’adulto è in grado di verbalizzare quel che prova e cosa lo può turbare, i bambini no: per manifestare questo disagio possono diventare irrequieti, dormire meno o cercare di più il contatto con gli adulti di riferimento.
È importante accompagnare i bambini a scuola il primo giorno?
Il momento della chiamata e dell’ingresso in classe è importante: i genitori devono accompagnare i bimbi verso l’aula favorendo il nuovo rapporto con l’insegnate, dare fiducia ai nuovi compagni e al nuovo ambiente.
Come vivono il distacco le mamme?
Anche per le mamme è un momento importante perché sancisce il passaggio dalla prima alla seconda infanzia.
Cioè?
Il cervello del bambino si sviluppa molto più velocemente in termini di nuove connessione sinaptiche e nuovi meccanismi di apprendimento. D’altronde lo sforzo cognitivo richiesto è maggiore perché i bambini devono riuscire a tenere l’attenzione viva per almeno 5 ore, mentre dopo la scuola dell’infanzia il limite di attenzione è di 20/25 minuti. Devono lentamente imparare a stare di fronte a regole nuove: non esiste più solo il gioco, ma si sta seduti, si guarda la lavagna e si sta anche in silenzio. Seguire le regole è una delle fatiche fondamentali, per cui l’insegnante avrà cura di cambiare attività periodicamente a seconda del ritmo della classe e di ogni singolo alunno.
Dalla seconda elementare, il rientro a scuola che cosa rappresenta?
Ci sono diverse modalità di approccio: è sempre un inizio, un momento di novità con un entusiasmo marcato. Ci sono bambini che hanno voglia di tornare a scuola, anche se lasciano la continuità con la famiglia e lo spirito di vacanza. Hanno voglia di tornare in classe per potersi raccontare e mettersi in gioco. Altri, invece, hanno paura che i compagni si siano dimenticati di loro: questo è tipico dei bambini ansiosi che possono anche sviluppare dei sintomi psicosomatici come ad esempio mal di pancia o mal di testa poco prima dell’inizio della scuola.
Dopo quanto tempo ci si deve preoccupare se il bambino non si integra con i compagni?
I tempi di adattamento dei bambini sono diversi: alcuni fanno amicizia molto facilmente, altri sono più introversi e hanno difficoltà a identificare i punti di riferimento nell’ambiente scolastico e ad abituarsi ai legami nuovi. La cosa più importante è la sicurezza e la stabilità nel rapporto con la maestra e, poi, nel rapporto con i coetanei. In linea di massima dopo il primo quadrimestre si può valutare come sta andando l’integrazione del bambino nel gruppo classe e nel rispetto delle regole.
Quali sono i segnali di un non corretto inserimento?
Nel caso di troppa timidezza e non volontà a distaccarsi dalla famiglia si rischia di non riuscire a integrarsi. A casa, questo porta a difficoltà a esprimersi e la verbalizzazione della fatica con la frase “a scuola non mi trovo bene”.
Se al pomeriggio il bambino preferisce giocare da solo al computer e non in compagnia, come ci dobbiamo comportare?
Viviamo in un’epoca in cui i supporti tecnologici ci portano a stare incollati a uno schermo. Ma i bambini vanno spronati a fare amicizia. Concedere il videogioco o dei momenti in solitudine (meglio con un libro) può fare bene, ma solitamente chi si isola fa fatica a stare con gli altri. Per cui questi bambini vanno spinti a trovare ambienti in cui si sentono a proprio agio. Inoltre alcuni si trovano bene in gruppi formati da poche persone, altri in gruppi più ampi. Per aiutarli a creare un legame con l’altro una buona idea è proporre un’attività sportiva.
E i compiti: meglio in gruppo o da soli?
Dipende da bambino a bambino. I soggetti veloci ad apprendere possono farlo sia da soli che in gruppo. È anche vero che ogni bimbo deve imparare a conoscersi e a conoscere i propri tempi, che soprattutto all’inizio possono essere molto diversi. Meglio quindi cominciare da soli e poi inserirsi in piccoli gruppi, meglio omogenei, per potersi confrontare con i compagni e trovare soluzioni diverse nella risoluzione del compiti.
Alice Di Pietro
29/08/2015