‘Affamare’ l’utero subito dopo il parto cesareo, riducendo temporaneamente l’afflusso di sangue che proviene dall’arteria uterina: così è possibile minimizzare il rischio di gravi emorragie post-parto, che colpiscono in media una donna su dieci. E’ quanto dimostrano i primi risultati raccolti alla Clinica Mangiagalli della Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano, dove si sta sperimentando una procedura unica in Italia.
Grazie a particolari tecniche di embolizzazione e di blocco di flusso dell’arteria uterina, i medici sono in grado di controllare l’eventuale emorragia nel momento più critico, ovvero quello in cui avviene il distacco della placenta subito dopo il parto. «L’intera procedura si svolge in sala parto, adeguatamente allestita con apparecchi angiografici, al fine di ottimizzare sicurezza e tempistica dell’intervento», spiega Antonio Nicolini, responsabile della Radiologia Interventistica della Mangiagalli. «La finalità – aggiunge – è quella di ridurre temporaneamente il flusso di sangue all’utero subito dopo il parto cesareo, cioè quando l’entità del sanguinamento ha il suo picco. Nelle ore successive, quando le probabilità di emorragia si riducono, l’utero viene nuovamente irrorato, grazie ad esempio all’utilizzo di una sostanza ‘embolizzante’ composta di un materiale che si riassorbe spontaneamente nel tempo».
Questa tecnica, ma soprattutto il modello organizzativo con cui è applicata, hanno permesso di ridurre le perdite ematiche nelle donne che stanno partorendo di oltre il 50% (746 centimetri cubici di sangue contro i 1.640 dei casi controllo), e c’è stato bisogno di meno trasfusioni di sangue (nell’8% dei casi, rispetto al 36% del controllo). In un anno della sua applicazione, sottolinea Nicolini, «in nessun caso si è dovuto ricorrere all’asportazione dell’utero per arginare l’emorragia e per nessuna partoriente è stato necessario il ricovero in rianimazione».