Stimolare il cervello in maniera non invasiva, con un’impercettibile ed innocua corrente elettrica a basso voltaggio, permette di migliorare la capacità di lettura nei bambini dislessici: bastano 6 settimane di trattamento per dare una “registrata” ai neuroni e migliorare le performance del 60%.
Lo hanno scoperto i ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, che per primi hanno sperimentato questa tecnica su 19 bambini e adolescenti dislessici in collaborazione con il Laboratorio di Stimolazione Cerebrale della Fondazione Santa Lucia.
Già utilizzata per disturbi neurologici come l’epilessia focale e la depressione, la tecnica di stimolazione transcranica a corrente diretta (tDCS) potrebbe dunque rappresentare una svolta anche per il trattamento della dislessia, un disturbo di natura multifattoriale (genetica, biologica, ambientale) che in Italia colpisce circa il 3% dei bambini in età scolare, determinando difficoltà nella lettura con importanti ripercussioni sull’apprendimento, sulla sfera sociale e psicologica.
I ricercatori guidati dalla dottoressa Deny Menghini l’hanno provata utilizzando un dispositivo portatile, alimentato da pile, in grado di erogare una corrente continua ad intensità molto bassa, pari a quella necessaria ad alimentare il monitor di un pc.
Alla ricerca hanno partecipato 19 bambini e adolescenti dislessici di età compresa tra i 10 e i 17 anni, attribuiti casualmente a due gruppi: uno destinato al trattamento attivo, l’altro al trattamento placebo (con il dispositivo spento). Durante la terapia di stimolazione, i partecipanti di entrambi i gruppi hanno eseguito contemporaneamente attività volte a favorire la correttezza e la velocità di lettura, simili a quelle che svolgono durante il trattamento logopedico.
Ciascun partecipante è stato sottoposto ad incontri di 20 minuti, 3 volte alla settimana, per 6 settimane, per un totale di 18 incontri. La sperimentazione è stata condotta in “doppio cieco”: questo significa che né i bambini né i ricercatori dedicati alla valutazione dei risultati erano a conoscenza di chi fosse stato sottoposto al trattamento attivo o placebo (la stimolazione attiva, infatti, è talmente lieve da non essere percepibile da chi la riceve).
In 6 settimane di trattamento, i bambini sottoposti alla procedura attiva hanno migliorato del 60% la velocità e l’accuratezza nelle prove di lettura, passando da 0,5 a 0,8 sillabe lette al secondo: 0,3 sillabe di miglioramento al secondo è quanto un bambino dislessico ottiene spontaneamente (ovvero senza terapia) nell’arco di un intero anno. Le competenze acquisite si sono dimostrate stabili anche dopo un mese dall’ultima seduta e ulteriori valutazioni verranno effettuate a 6 mesi dalla fine trattamento per verificarne l’efficacia a lungo termine. Viceversa, i bambini e i ragazzi sottoposti al trattamento placebo non hanno mostrato un miglioramento significativo (soltanto un incremento di circa 0,04 sillabe al secondo).
«Si tratta di uno studio preliminare, ma i risultati ottenuti in questa prima fase sono di grande importanza dal punto di vista clinico», sottolinea Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria Infantile del Bambino Gesù. «La stimolazione cerebrale non invasiva è infatti una tecnica sicura che può portare a benefici documentati sull’efficacia e l’efficienza del trattamento in un arco di tempo molto più breve rispetto alla terapia tradizionale. Questa ricerca può quindi aprire la strada a nuove prospettive di riabilitazione della dislessia, con una sostanziale riduzione dei tempi, dei costi della terapia e del disagio per le famiglie nel dover sostenere lunghi percorsi di cura e di ridotta efficacia documentata. Va sottolineato che la tDCS non vuole sostituirsi, ma integrare la terapia logopedica tradizionale, tanto che i nostri risultati dimostrano la sua particolare efficacia in combinazione con la terapia tradizionale».
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