«Filippo e Francesca sono nati tre volte: quando sono usciti dalla pancia di mia moglie, quando sono stati tolti dall’incubatrice e quando, tre mesi dopo, li abbiamo finalmente portati a casa». Con queste parole Marcello Florita, psicologo clinico e consulente dell’Ospedale San Raffaele di Milano, inizia a raccontarci la sua dolorosa esperienza vissuta nel 2014, scritta poi su carta e pubblicata sotto forma di romanzo, intitolato Come respira una piuma (Edizioni Ensemble).
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Filippo e Francesca, due neonati prematuri “gravi”
Marcello, infatti, è papà di due gemellini nati alla 29esima settimana, cioè dopo soli sei mesi e mezzo di gravidanza. «Due esserini di 900 grammi. Proprio come il peso di un petto di pollo o di una maxi vaschetta di gelato» ricorda il papà. E neanche il tempo di venire al mondo che Filippo e Francesca erano già in Terapia Intensiva Neonatale (TIN) perché considerati due neonati prematuri “gravi”, cioè usciti dalla pancia della mamma quando ancora gli organi non erano del tutto sviluppati. Da quel momento è stato un susseguirsi di attese, illusioni, ansie, frustrazioni, paure e stanchezza. «Eravamo continuamente in bilico tra la vita e la morte dei nostri bambini, ci sentivamo impotenti e il senso di colpa, ovviamente del tutto infondato, attanagliava mia moglie» racconta lo psicologo.
Dopo la fine di quell’incubo è nato Come respira una piuma
Dopo un mese e mezzo di terapia intensiva e altrettanti giorni di incubatrice Marcello e la moglie hanno messo la parola fine a quell’incubo, anche se il dolore di quell’esperienza ha lasciato un segno nelle loro vite. «Nel giorno del primo Natale di Filippo e Francesca mi sono accorto di avere qualcosa di irrisolto dentro di me, non stavo bene, soffrivo in silenzio. Allora, insieme al coraggio, ho preso anche carta e penna e ho iniziato a scrivere, scrivere, scrivere ed è così che è nato Come respira una piuma» ricorda Florita.
La prematurità vista con gli occhi del papà
In questo libro, infatti, la prematurità viene affrontata dall’insolito punto di vista del papà, che spesso in questi casi non viene neanche citato. «Il grande assente in letteratura è proprio il padre. In realtà, seppur con intensità e gradazioni diverse, veder nascere non uno ma bensì due neonati prematuri è un’esperienza traumatica anche per l’uomo, che non solo deve fare i conti con il dolore personale ma deve essere anche in grado di garantire un sostegno alla propria compagna» spiega Florita.
Sentirsi genitori a metà
Dopo il parto cesareo Filippo e Francesca sono stati trasportati nella TIN, i loro corpicini sono stati riempiti di cannule, tubi, fili, sul volto avevano le mascherine ed erano del tutto “intoccabili”. «In queste condizioni è difficile riconoscere un bambino e di conseguenza è altrettanto complicato riconoscersi genitori. Io e mia moglie ci sentivamo genitori a metà, genitori clandestini senza passaporto». ammette Florita. «Il fatto di non poterli toccare, accarezzare, annusare, prendere in braccio, coccolare, non poterci scambiare sguardi e non capire a chi assomigliassero ha messo un freno alla nostra paternità e alla nostra maternità, che abbiamo acquistato passo dopo passo».
Cosa si porta dietro la prematurità?
«La prematurità è come la sabbia sul telo del mare: puoi scuoterlo quanto vuoi, ma ci sarà sempre qualche granellino infilato nelle trame del tessuto» sostiene lo psicologo. «Anche se ormai sono trascorsi tre anni, quell’esperienza è ancora presente nelle nostre vite: Filippo e Francesca, come tutti i neonati prematuri, sono particolarmente sensibili e delicati. Quando dobbiamo separarci da loro, magari per lasciarli all’asilo, soffrono più di altri e dimostrano tantissima fragilità. Per non parlare dei continui controlli ai quali sono sottoposti, fino ai 7 anni d’età. È stata una delle “batoste” più difficili della nostra vita, lo ammetto, ma quello che ci regalano loro ogni giorno vale tutto quello che abbiamo passato» conclude Marcello.