La cataratta congenita è una patologia che colpisce circa 4 bambini su 10.000 ed è ancora una delle principali cause di cecità in età pediatrica. Definita come opacità del cristallino, questa malattia si differenzia nettamente da quella insorta in età adulta. Se non viene adeguatamente trattata, può compromettere in modo permanente lo sviluppo visivo del bambino. La collaborazione tra pediatri, oculisti e ortottisti è indispensabile per individuare precocemente il disturbo e per avviare fin da subito un iter terapeutico. Paolo Nucci, professore ordinario di Oftalmologia presso l’Università Statale di Milano, spiega come e quando si manifesta la cataratta congenita e il relativo trattamento chirurgico.
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Cos’è la cataratta congenita?
La cataratta congenita è caratterizzata dall’opacità del cristallino. Un bambino nasce con questa patologia quando i processi di formazione embriogenetica del cristallino non sono stati equilibrati. La mancata geometria delle fibre cristalliniche causa l’assenza di trasparenza del cristallino. Ne consegue che le immagini non vengono riflesse sulla retina e il bambino non vede. Può colpire un solo occhio (monolaterale) o entrambi (bilaterale). La cataratta monolaterale è più difficile da gestire. L’occhio che vede bene, infatti, entra in conflitto con quello malato a causa del cervello che destina tutta la sua attività all’occhio sano.
È presente già dalla nascita?
È possibile individuare la cataratta congenita già nel nido della neonatologia dove il personale pediatrico può eseguire il test del riflesso rosso (reflex test). Questo permette di individuare la mancata trasparenza del cristallino. Una volta fatta la diagnosi, il bambino deve essere indirizzato solo in centri specializzati che si occupino di cataratta congenita. È necessario avvalersi di anestesisti pediatrici che siano in grado di gestire i neonati e chirurghi che sappiano operare occhi in fase di formazione.
Un genitore può accorgersi che il figlio è affetto da cataratta congenita?
Quando arriva ad accorgersene un genitore significa che la diagnosi non è di per sé molto precoce. Generalmente al genitore può capitare di fare una foto con uno smartphone e vedere un’immagine più chiara, riflettente, biancastra o più opaca in un occhio o un’asimmetria nel tipico riflesso rosso. A quel punto, dopo aver indirizzato il bambino in una struttura specializzata, le mamme e i papà devono sapere che saranno necessari numerosi esami in sedazione e che, a causa dell’età neonatale, possono verificarsi complicanze.
Come si cura?
Se la cataratta è rilevante bisogna rimuoverla. In questo caso l’obiettivo principale è l’asportazione chirurgica del cristallino malato, in modo che si possa liberare l’asse ottico e consentire alle immagini di raggiungere la retina. L’occhio senza cristallino, però, non vede bene e quindi bisogna cercare di avviare una riabilitazione visiva. Questa può essere effettuata con lenti a contatto morbide o con la sostituzione artificiale del cristallino. Secondo un accordo internazionale, si opta per quest’ultima opzione solo dopo l’anno di vita.
Cosa cambierà in futuro?
Sulla rivista Nature è stato appena pubblicato uno studio realizzato dall’Università della California in collaborazione con l’Università Sun Yat-sen del Canton dal quale emerge che 12 bambini di età inferiore a 24 mesi con cataratta congenita sono stati trattati con la riserva di cellule staminali naturalmente presente negli occhi per ricostruire una nuova lente, dopo aver rimosso quella malata. Si tratta sicuramente di un lavoro ancora nelle fasi iniziali. Rispetto al tradizionale intervento chirurgico, i ricercatori hanno effettuato una piccola apertura in periferia e attraverso questa fessura hanno aspirato la cataratta. Hanno mantenuto vivo uno strato di cellule staminali presente sulla capsula anteriore.
Da qui nasce una perplessità: come hanno fatto a mantenere integro uno strato di cellule visto che generalmente l’aspirazione non prevede la possibilità di rilasciare alcune cellule e altre no? Inoltre: la chirurgia “tradizionale” della cataratta congenita si esegue nelle prime 4-6 settimane di vita e poi il bambino deve eseguire una riabilitazione visiva con una lente a contatto. Ma se, come sostiene lo studio, dobbiamo aspettare circa tre mesi che il cristallino si rigeneri grazie alle cellule staminali, cosa succede al piccolo in questo lasso di tempo? Ultimo aspetto importante: nel caso in cui un paziente si sottoponesse a questo nuovo tipo di intervento e l’operazione non andasse bene, rendiamo più difficile una seconda chirurgia, durante la quale dovremmo rimuovere nuovamente la cataratta. In altre parole per quanto interessante conservo ancora alcune perplessità sull’applicabilità dello studio.
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