Le nostre case sono minacciate dalle radiazioni di gas radon? Di questo radioattivo naturale si parla poco e, quando se ne parla, se ne parla spesso con toni allarmistici. Ma di cosa si tratta esattamente? «Il gas radon deriva dal decadimento dell’uranio e del radio ed è un gas radioattivo» spiega il geologo Vincenzo Giovine. «Essere a contatto e respirare questo gas per lunghi periodi in ambienti chiusi può comportare un rischio per la salute. Lo stesso non può dirsi per lavori in esterno o per un’esposizione limitata nel tempo».
Si tratta del contaminante radioattivo più pericoloso al mondo negli ambienti indoor, costituisce, dopo il fumo di sigaretta, il principale fattore di rischio per il tumore al polmone ed è pericoloso quanto l’amianto.
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Dove si trova il gas radon
Il gas radon si trova in natura, in piccole quantità nel suolo e nelle rocce, ed è incolore, insapore e inodore. Questo significa che camminando ovunque all’aria aperta respiriamo gas radon? No, perché «nell’ambiente è ininfluente – sottolinea Giovine – il problema si pone in locali chiusi e con poco ricircolo di aria. Ad esempio, nei seminterrati o nei piani terra a contatto con il terreno».
Un’altra variabile è il tipo di edificio: più vecchio è, maggiore è la possibilità che queste radiazioni passino all’interno dei locali. «Il costruito in Italia è piuttosto datato e in alcuni stabili il gas radon può facilmente risalire all’interno dei fabbricati attraverso fessure» continua l’esperto.
Potenzialmente, però, anche edifici nuovi possono essere esposti alle radiazioni di gas radon perché un’altra variabile importante riguarda la concentrazione della sostanza nel terreno. «L’intensità delle radiazioni dipende dalla concentrazione dei terreni. Le regioni con i valori più alti sono la Lombardia, il Lazio e la Campania».
In Italia nessuna soglia limite per le case
La concentrazione di radon è calcolata in becquerel (bq), cioè la normale unità di misura della radioattività. Ma in Italia, a differenza di altri Paesi, non esiste ancora una norma che definisca la soglia limite per quanto riguarda gli ambienti domestici. A livello internazionale, dopo un primo interessamento della Commissione Europea datato 1990, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel rapporto del 2009 WHO Handbook on Indoor Radon: A Public Health Perspective si è raccomandata che si adotti unlivello di riferimento, inteso come media annua, di 100 bq per metro cubo o, comunque, non superiore a 300 bq per metro cubo. Valore, quest’ultimo, indicato anche dalla direttiva della Comunità Europea pubblicata nel gennaio 2014.
Per quanto riguarda, invece, gli ambienti di lavoro, il nostro Paese, con un decreto legislativo del maggio 2000, ha fissato un livello di 500 bq per metro cubo. Superato il quale il datore di lavoro deve valutare in maniera più approfondita la situazione e, se il locale è sufficientemente frequentato da lavoratori, intraprendere azioni di bonifica. La misurazione è obbligatoria in tutti i luoghi di lavoro sotterranei.
Si conoscono le concentrazioni di gas radon nei singoli comuni italiani?
In Italia esiste un Programma Nazionale Radon (PNR), coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e realizzato attraverso le agenzie regionali di protezione ambientali (ARPA), che ha lo scopo di realizzare tutte le azioni necessarie per ridurre il rischio di tumore al polmone associato all’esposizione al radon. Mediante appositi dosimetri, viene quantificata la presenza di gas radon in seminterrati e piani rialzati di scuole, ospedali, esercizi commerciali. Questa misurazione determina la mappatura su base regionale e nazionale, che viene aggiornata periodicamente. Sui siti regionali di ARPA/APPA è possibile conoscere, mediante delle mappe interattive, le concentrazioni medie di attività di radon nei singoli comuni.
Gas radon: tutti gli effetti sulla salute
Tumore al polmone
Secondo le ultime stime dell’Istituto Superiore di Sanità, il 10% circa dei casi di tumore al polmone che si registrano ogni anno in Italia è da attribuire al gas radon. Questo gas è, infatti, una sorta di vettore che porta all’interno del nostro organismo, specialmente a livello dell’apparato respiratorio, delle radiazioni. Le più note sono le radiazioni alfa che vanno a colpire soprattutto le cellule dei bronchioli e degli alveoli polmonari. Modificano il Dna e danno origine al cancro al polmone.
Ovviamente, il rischio aumenta proporzionalmente se sono presenti altri fattori di rischio. In primis, il fumo. «Le sigarette da sole danno un rischio di sviluppare cancro del polmone superiore del 30% rispetto alla popolazione non fumatrice. Quindi due fattori di rischio indipendenti si sommano tra loro aumentando il rischio complessivo di sviluppare la malattia. Teniamo conto tra i fattori di rischio anche la familiarità per tumori polmonari, indipendentemente dall’abitudine al fumo».
Rischio aumentato di ictus
Un recente studio pubblicato su Neurology Journal ha dimostrato che il contatto prolungato con il gas radon comporta anche un rischio aumentato di ictus. I ricercatori hanno coinvolto quasi 160mila donne sane, senza storia di ictus precedenti, con un’età media di 63 anni. Le hanno monitorate per circa 13 anni. Le donne sono state divise in tre gruppi: il primo viveva in aree con concentrazioni di radon superiori a 4 picocurie per litro (pc/l), ossia 148 bq/m3; il secondo in zone con concentrazioni di radon tra i 2 e i 4 pc/l (tra 74 e 148 bq/m3) e il terzo in aree con concentrazioni inferiori a 2 pc/l.
Nel primo gruppo di donne si sono verificati 349 ictus per 100mila anni-persona, nel secondo 343 e nel terzo 333. Gli anni-persona sono sia il numero di persone coinvolte sia la quantità di tempo che ciascuna persona trascorre all’interno dello studio. Tenendo conto anche di altri fattori di rischio importanti, come il fumo di sigaretta, il diabete e l’ipertensione, gli studiosi hanno scoperto che il primo gruppo aveva un rischio di andare incontro a ictus superiore del 14% rispetto al gruppo meno esposto a radon.
Emopoiesi clonale a potenziale indeterminato
Un altro studio pubblicato sempre su Neurology Journal ha preso in esame l’emopoiesi clonale a potenziale indeterminato (Chip), fenomeno in cui si presentano mutazioni a carico di particolari geni in alcune cellule del sangue. Queste ultime si replicano velocemente, dando luogo a tumori del sangue e malattie cerebrovascolari, come l’ictus.
I ricercatori hanno coinvolto oltre 10mila donne con un’età media di 67 anni, metà delle quali con una storia precedente di ictus o problematiche del sangue. Anche queste partecipanti sono state divise in tre gruppi in base al livello di esposizione al gas radon (alto, medio, basso). Gli studiosi hanno scoperto che il 9% di coloro che vivevano in aree con la concentrazione più alta soffriva di emopoiesi clonale a potenziale indeterminato rispetto all’8,4% di quelle in zone con concentrazioni medie e al 7,7% di quelle in aree con concentrazioni basse.
Inoltre gli studiosi hanno riscontrato che le donne con storia di ictus alle spalle che vivevano in aree molto esposte alle radiazioni di radon avevano un rischio di sviluppare la Chip superiore del 46%.
Come si può prevenire il contatto con il gas radon
Cosa si può fare per diminuire l’esposizione alle radiazioni di radon? «Un metodo semplice, sebbene non definitivo, è garantire un ricircolo d’aria nei locali seminterrati – spiega Giovine – sistemi di mitigazione risolutivi possono essere metodi di impermeabilizzazione o di ventilazione e in fase di progettazione si può optare per un sistema può essere più efficiente dell’altro. Per il nuovo edificato, sarebbe opportuno prevedere, già in fase progettuale, dei sistemi per ridurre il rischio. Per quanto riguarda gli edifici già esistenti è opportuno utilizzare sistemi idonei per la riduzione delle concentrazioni».
Si può intervenire sugli edifici e adottare delle precauzioni nella vita quotidiana, ma si può agire a livello di terreno? «La distribuzione del gas è dovuta a fattori naturali, non modificabili – conclude l’esperto – Però è importante migliorare la conoscenza del territorio al fine di definirne concentrazioni e costruire mappe che possono essere utilizzate per identificare i settori più a rischio. In questo modo si possono indirizzare le scelte di carattere urbanistico e di tipo edilizio, perché non tutte le regioni sono mappate e non di tutte si conosce la concentrazione di radon nel terreno. Se si identificano i settori più a rischio, si hanno le basi su cui fare le scelte migliori a livello di pianificazione e progettazione».
Barriere anti-radon
Ma oggi anche la tecnologia aiuta a ridurre il rischio sanitario. In commercio, per esempio, esistono prodotti come le barriere anti-radon, pensati per gli edifici di nuova fabbricazione. Ai meno recenti ha, invece, pensato un’innovativa startup, Radoff, che, coinvolgendo geologi, esperti di fluidodinamica e ingegneri chimici, ha realizzato Radoff LIFE, un dispositivo che monitora polveri sottili e gas radon indoor. Quando i livelli di concentrazione del gas superano i 100 bq per metro cubo, si attiva aspirando l’aria e riportando i livelli nei parametri sicuri. Il tutto senza rendere necessari costosi interventi di ripavimentazione.