Il Covid-19 è una malattia nuova, provocata da un Coronavirus che è riuscito a fare il cosiddetto salto di specie, cioè è passato dal suo abituale ospite, un animale, all’uomo, adattandosi alle sue diverse caratteristiche. L’epidemia si è scatenata tra dicembre del 2019 e gennaio 2020 dalla città cinese di Wuhan. Da quel momento, il virus è arrivato in decine di Paesi del mondo, forse veicolato da persone con sintomi lievi, che pensavano, quindi, di essere affette da una normale influenza, e che invece hanno diffuso il nuovo virus senza alcun controllo.
Il contagio avviene principalmente attraverso il contatto stretto con una persona malata. La via primaria sono le goccioline del respiro delle persone infette tramite la saliva (tossendo e starnutendo), contatti diretti personali e le mani (toccando con le mani contaminate bocca, naso o occhi). Normalmente le malattie respiratorie non si trasmettono con gli alimenti, che, comunque, devono essere manipolati rispettando le buone pratiche igieniche ed evitando il contatto fra alimenti crudi e cotti. Secondo i dati attualmente disponibili, le persone sintomatiche sono la causa più frequente di diffusione del virus. Il rischio di contrarre il virus da una persona asintomatica esiste, ma l’Oms lo considera poco frequente.
I principali sintomi del Coronavirus sono febbre, tosse secca e difficoltà respiratoria. In alcuni casi sono stati anche segnalati mal di gola, mal di testa e diarrea e vi sono crescenti ipotesi che una perdita del senso dell’olfatto e del gusto sia caratteristica, specie nelle fasi di guarigione. Ma la domanda più importante è se in alcuni pazienti siano presenti sintomi lievi, simili al raffreddore, come naso che cola o starnuti. Gli studi hanno suggerito che questa è una possibilità, e che le persone potrebbero essere infettive senza sapere che stanno veicolando il virus: sono i famosi asintomatici. La diagnosi si fa con il tampone faringeo e il test per estrarre materiale genetico del virus.
Fino a quando non sapremo quanti casi ci sono stati, è impossibile essere certi del tasso di letalità o mortalità. Al momento, la stima è che circa l’1% delle persone infette dal virus muore. Ma se ci sono molti pazienti asintomatici, il tasso potrebbe essere più basso.
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Il virus e l’inquinamento, quale rapporto?
Secondo una ricerca supportata da diversi dati scientifici, esiste una relazione tra alta concentrazione di particolato atmosferico e diffusione dei casi di Covid-19. In particolare, le polveri sottili agirebbero da «carrier», cioè vettore di trasporto per contaminanti chimici e biologici, tra cui il nuovo Coronavirus. Un gruppo di ricercatori ha esaminato i dati pubblicati dalle Arpa (le Agenzie regionali per la protezione ambientale) relativi a tutte le centraline di rilevamento attive sul territorio nazionale, registrando gli episodi di superamento dei limiti di legge nelle province italiane. Poi hanno confrontato i casi di contagio da Covid-19 riportati sul sito della Protezione Civile. L’analisi ha mostrato una relazione tra i picchi di inquinamento da PM10, nel periodo compreso tra il 10 e il 29 febbraio, e il numero di contagi aggiornati al 3 marzo, considerando il periodo di incubazione del virus, pari a poco meno di due settimane. In Pianura Padana le curve di espansione dell’infezione hanno mostrato accelerazioni anomale, a distanza di 14 giorni, con le più elevate concentrazioni di particolato, che hanno dato un impulso alla diffusione della pandemia.
«L’impatto dell’uomo sull’ambiente sta producendo ricadute sanitarie a tutti i livelli», commenta Alessandro Miani, presidente di SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale). «Questa dura prova, che stiamo affrontando a livello globale, dev’essere di monito per una futura rinascita in chiave realmente sostenibile, per il bene dell’umanità e del pianeta. In attesa del consolidarsi di evidenze a favore dell’ipotesi presentata, in ogni caso, la concentrazione di polveri sottili potrebbe essere considerata un possibile indicatore o “marker” indiretto della virulenza dell’epidemia da Covid-19. Inoltre, in base ai risultati dello studio in corso, l’attuale distanza considerata di sicurezza potrebbe non essere sufficiente, soprattutto quando le concentrazioni di particolato atmosferico sono elevate».
L’importanza dei test rapidi
Molte persone hanno il Covid-19 con sintomi lievi, tanto che a volte non vengono nemmeno riconosciuti, oppure vengono confusi con quelli di una banale influenza. Secondo alcuni modelli, infatti, ci sarebbe un numero molto superiore di contagiati rispetto a quanti sono stati diagnosticati. Queste persone, che hanno il Covid-19 senza saperlo, portano il contagio a tutti coloro con cui vengono in contatto e contribuiscono a diffondere sempre di più la malattia. Ipotizzando che ci siano almeno 15 positivi inconsapevoli per ogni persona con la diagnosi di Covid-19 conclamata, e immaginando che sette persone su dieci applichino le restrizioni per evitare i contatti con gli altri, a 50mila contagiati noti corrisponderebbero circa 210mila inconsapevoli, anche tra le persone che devono lavorare perché forniscono i servizi essenziali alla comunità e che, quindi, sono a contatto ogni giorno con gli altri.
Per evitare la diffusione del Coronavirus causata da persone positive, ma inconsapevoli, sono fondamentali i presidi sanitari di protezione individuale come le mascherine, che però non sono sufficienti da sole anche per la scarsità dei mezzi disponibili e la necessità di avere un continuo ricambio, perché il loro effetto di barriera sul virus possa essere sempre efficiente. L’Oms, del resto, ha puntualizzato che per migliorare l’efficacia del contenimento è fondamentale fare i test per scoprire i positivi che ancora non sanno di esserlo. Purtroppo i test oggi in uso, basati sul real time PCR, non possono essere utilizzati per uno screening rapido perché ci vogliono tempi lunghi per avere il risultato e si tratta di presidi costosi e complessi. Incompatibili, insomma, con l’idea di testare la popolazione ad alto rischio di diffusione del virus a causa dei suoi contatti con il pubblico come, per esempio, i medici, gli infermieri, le cassiere, i trasportatori. Un medico, con un test rapido, potrebbe controllare il suo stato di salute poco prima di entrare in turno e visitare i pazienti, assicurandosi in questo modo di non infettarli.
Attualmente, grazie allo sforzo di ricerca di cinesi e americani, è disponibile un test sierologico per individuare gli anticorpi IgM e IgG con cui, secondo l’Oms, si possono fare screening estesi anche agli asintomatici. Uno dei primi test rapidi di questa tipologia, validato da diversi studi clinici, è il sistema VivaDiag della Vivacheck, azienda americana che ha laboratori e sito produttivo in Cina. Utilizzando una goccia di sangue estratta pungendo un dito, come avviene per il test della glicemia, il dispositivo, nel giro di 15 minuti, determina la presenza o l’assenza di degli anticorpi IgM e IgG all’infezione da Covid-19 attraverso la comparsa o meno di barre colorate, un po’ come avviene in un test di gravidanza. Il presidio ha una precisione superiore all’88,5%, non rileva falsi positivi e ha un bassissimo tasso di falsi negativi, tanto che l’Oms indica questo test utile a supportare l’esito negativo ottenuto con il tampone. Anche in Italia sono disponibili questi test, che sono registrati al Ministero della Salute e sono distribuiti da Alpha Pharma Service srl, partner dell’azienda americana produttrice. A questo sistema di test rapido, l’azienda italiana ha aggiunto l’app IRIS VivaDiag che fa parte della piattaforma di telemedicina Iris Health Care. L’app aiuta l’utente a eseguire il test, il risultato viene acquisito in digitale e inviato al personale sanitario che lo interpreta, quindi viene trasmesso all’utente sempre tramite l’app. In base all’esito, l’app consiglia all’utente il percorso da intraprendere. Al Sistema Sanitario Nazionale l’app fornisce i dati di esito del test, sesso, età e posizione geografica, inoltre può tracciare gli spostamenti di chi ha effettuato il test che è risultato positivo, proprio come si è fatto in Cina e in Corea del Sud, come misura di localizzazione e limitazione del contagio. Mettendo insieme il test rapido con l’app, che consente di tracciare gli spostamenti dei positivi al Covid-19 e, quindi, anche di individuare altri potenziali positivi che vengono in contatto con loro, è possibile attuare il contenimento della pandemia nell’attesa del vaccino.
Le politiche sanitarie vincenti
La Società Italiana di Medicina Ambientale e la Cattedra Unesco di Educazione alla salute e sviluppo sostenibile hanno presentato, con un articolo su The Lancet EClinical/Medicine, una serie di proposte per arginare e sconfiggere l’epidemia di Coronavirus, che sta causando così tanti lutti all’Italia e al mondo. Innanzitutto riaprire gli ospedali chiusi negli ultimi anni per i piani di riordino della Sanità regionali e preparare gli ospedali militari con percorsi differenziati per i pazienti Covid-19, mobilitando tutti i medici e infermieri che prestano servizio in ogni settore della Sanità italiana. La proposta è firmata dal presidente di SIMA, Alessandro Miani, da Ernesto Burgio, Renato Lauro, Prisco Piscitelli e da Annamaria Colao.
«È indifferibile dotare tutti i medici di famiglia e ospedalieri, ma più in generale tutti gli operatori sanitari, di adeguati dispositivi di protezione individuale, dalle mascherine FFP2 in numero sufficiente, ai camici monouso», afferma Miani. «Il personale sanitario non può affrontare questa emergenza a mani nude o con dispositivi di protezione centellinati. È essenziale sottoporre a tampone in modo sistematico almeno gli operatori sanitari nel pubblico e nel privato, ma anche nelle strutture di lungodegenza o RSA, almeno quelli che presentano una qualsiasi sintomatologia».
Nell’articolo di The Lancet EClinical/Medicine si richiama anche l’attenzione sulla necessità di un ripensamento in materia di impiego delle risorse in Sanità: «I trasferimenti alla Sanità sono passati da 71 a 114 miliardi dal 2001 al 2019, con l’incremento costante e irreversibile delle disuguaglianze tra le diverse aree del Paese e dei cosiddetti viaggi della speranza dal Sud al Nord», dice Prisco Piscitelli, epidemiologo, docente di economia sanitaria e vicepresidente SIMA, «per non parlare dello smantellamento dei presidi territoriali, fino alla riduzione al lumicino degli investimenti in prevenzione che non superano il 2% dei bilanci delle Asl. Davanti allo scenario epidemico di queste settimane, viene da pensare che non è fuori luogo cominciare a ragionare su un ritorno a un unico Servizio Sanitario Nazionale, in grado di programmare e soddisfare con una visione unitaria i bisogni di salute degli italiani, oltre che di razionalizzare gli investimenti per un unico piano complessivo delle emergenze sanitarie, che non devono più sorprenderci impreparati».
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