Ambiente salute

L’innovazione per vivere meglio

Dalla disinfezione delle superfici con il vapore all’utilizzo della tecnologia fotocatalitica per purificare l’aria fino alle terapie digitali: così la tecnologia ci aiuta nella prevenzione contro le malattie infettive, a partire dal Covid

La tecnologia può cambiare la nostra vita di tutti i giorni, in meglio. Nei trasporti, nella comunicazione, nel lavoro, in ambito domestico, nel rapporto con l’ambiente, nella diffusione della cultura, nel modo di fare gli acquisti… e anche nel proteggere la nostra salute. Anzi, a partire dalla salute, come ci richiede l’emergenza Covid che stiamo vivendo. «Nella fase economica attuale, caratterizzata dalla globalizzazione dei mercati», sottolinea Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), «essere efficienti e competitivi significa nel concreto essere capaci di innovare continuamente i propri prodotti e servizi. Vale la regola che chi si ferma viene presto raggiunto e superato dai propri competitori. Questo assioma vale per le imprese, ma anche per le istituzioni e per i sistemi-Paese nel loro complesso. Innovare significa, quindi, spostare in avanti le proprie performance organizzative, gestionali e produttive, ma, soprattutto, avere parametri per misurare i propri sistemi organizzativi e produttivi, ovvero i propri risultati. E uno dei parametri maggiormente importanti è proprio la salute, come ha reso evidente a tutti il Sars-CoV-2. Ecco, allora, l’importanza della ricerca scientifica per metterci a disposizione strumenti efficaci contro le malattie odierne e del futuro, perché quella in corso non sarà certo l’ultima epidemia che dovremo affrontare». Prevenzione è la parola d’ordine. E la tecnologia è un alleato fondamentale nella perenne lotta dell’uomo contro virus e batteri. 

sanificazione

L’importanza di sanificare gli oggetti

La pandemia in corso, per esempio, ha portato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla persistenza degli agenti patogeni sulle varie superfici. Un allarme che, nel caso del Sars-CoV-2, la rivista Nature ha giudicato sopravvalutato. In realtà, spiega Ivan Gentile, professore di malattie infettive presso il dipartimento di medicina clinica e chirurgia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e membro del Comitato Scientifico SIMA, «alcuni dati confermano la capacità di persistenza del virus su plastica e acciaio inossidabile fino a 72 ore, anche se la carica infettiva sui suddetti materiali si dimezza dopo circa sei-sette ore. Le superfici sulle quali si ha una minore persistenza sono il rame e il cartone, dove è stato osservato un abbattimento completo dell’infettività rispettivamente dopo quattro e 24 ore. Va, tuttavia, sottolineato che tali dati si riferiscono al reperimento di RNA del virus e non al suo isolamento in forma vitale, e quindi non correlato alla sua reale infettività».

Gruppo San Donato

In compenso vi sono, però, altri microrganismi, come gli enterococchi, lo stafilococco aureo o l’escherichia coli, che possono sopravvivere per mesi su superfici e diversi studi dimostrano l’alto livello di contaminazione degli ambienti indoor. Nel 2005, per esempio, una ricerca statunitense apparsa sul Journal of Occupational and Environmental Hygiene ha rilevato come fosse infetto il 93% dei circa 200 campioni prelevati da superfici di negozi, asili nido, uffici, palestre, ristoranti e attrezzature da gioco per bambini. Un altro studio americano comparso nel 2012 su Environmental Microbiology ha, invece, analizzato le cucine di quattro abitazioni, rilevando batteri su 80 superfici diverse.

Da qui l’importanza della detersione e della disinfezione frequente degli oggetti, a partire da quelli con i quali si viene più frequentemente a contatto. «Le linee guida del Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie europeo (European centre for prevention and disease, ECDC), dell’omologo statunitense (Centers for disease and control, CDC) e dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)», annota Gentile, «indicano che la pulizia con acqua e normali detergenti neutri associata all’utilizzo di comuni prodotti disinfettanti è sufficiente per la decontaminazione delle superfici. In generale, è stato dimostrato che disinfettanti a base di alcoli (per esempio, etanolo, propan-2-olo, propan-1-olo) o ipoclorito di sodio (candeggina), ma non solo, sono in grado di ridurre significativamente il numero di virus dotati di “involucro” come il Sars-CoV-2». 

Ma detergenti e disinfettanti inquinano le acque

detergentiProprio l’allarme causato dal coronavirus ha indotto le famiglie a fare incetta di prodotti detergenti e igienizzanti, il cui eccessivo e a volte improprio uso ha, però, causato un aumento d’intossicazioni, dovute a commistioni che hanno liberato gas irritanti o tossici (per esempio, candeggina e ammoniaca miscelate con detergenti o disincrostanti). Ma un effetto nocivo di maggiore e più duratura portata lo si ha sull’ambiente, con l’inquinamento delle acque reflue, che ovviamente va a incidere pesantemente anche sulla salute umana. 

«I detergenti», interviene Luigi Falciola, professore associato di chimica analitica presso l’Università degli Studi di Milano e membro del Comitato Scientifico SIMA, «si dividono in due grandi categorie, che spesso si combinano tra loro: quelli a base di fosforo e quelli a base di tensioattivi. Nel caso dei primi si tratta di sostanze caustiche che, addolcendo l’acqua, fanno sì che questa riesca a sciogliere e disperdere lo sporco, mentre i secondi, composti da molecole dalla testa idrofila e dalla coda lipofila, sono in grado di portare in acqua quelle sostanze che in condizioni normali non ci starebbero, come grasso e olio, spesso responsabili dello stesso sporco». 

Il problema è che, poi, questi prodotti finiscono dagli scarichi di casa nelle acque reflue e, siccome gli impianti di depurazione non riescono a eliminarli completamente, una parte di essi confluisce nelle acque superficiali, in quelle potabili e nei terreni (e, quindi, anche nei vegetali di cui ci cibiamo). «Se sono presenti nell’acqua che beviamo o nella quale facciamo il bagno», sottolinea il chimico, «possono provocare irritazione alla pelle, alla gola o agli occhi, fino ad arrivare alla nausea, ai crampi allo stomaco e addirittura a danni al fegato. Peggio ancora, alcune sostanze, soprattutto i tensioattivi non-ionici (che costituiscono il 30% dei tensioattivi dei detergenti), durante la degradazione portano alla formazione d’interferenti endocrini, come il nonilfenolo, potenzialmente in grado di causare gravi danni alla salute umana». 

Gli effetti dell’inquinamento da detergenti sono disastrosi anche sull’ambiente acquatico e sui pesci: «Inibisce la biodegradabilità delle sostanze organiche e, attraverso il processo di eutrofizzazione, causa una forte proliferazione di microalghe, che impoveriscono l’acqua di ossigeno, causando la morte dei pesci e degli altri animali acquatici. La schiuma e la torbidità che produce, inoltre, fanno sì che il sole non possa più arrivare sotto la superficie dell’acqua, con conseguente inibizione della fotosintesi clorofilliana delle alghe e relativi problemi ad habitat e animali. Bassissime concentrazioni di detergente, anche solo 15 parti per milione, bastano a eliminare lo strato esterno di muco che protegge da batteri e parassiti i pesci e a danneggiare le loro branchie; cinque parti per milione possono distruggere le uova mettendo a rischio la sopravvivenza delle varie specie. E, per gli effetti solubilizzanti che si estendono anche a sostanze pericolose, appena due parti per milione sono sufficienti a far assorbire a un animale il doppio dei prodotti chimici nocivi che assimilerebbe in condizioni normali. Infine, i detergenti sono fonti anche di microplastiche, aggiunte nei composti per aumentarne le capacità abrasive». Ma anche i disinfettanti, saliti alla ribalta in quest’ultimo anno, sono causa d’inquinamento: «I più noti sono a base di cloro (nell’amuchina così come nella candeggina è presente in quantità diverse l’ipoclorito), che, in presenza di materiale organico, tende a portare alla formazione di trialometani, sostanze tossiche e cancerogene».

In considerazione di una previsione per il 2022 di un utilizzo di 24,19 milioni di tonnellate di detergenti (nel 2014 erano 15,93 milioni, di cui il 40% per la pulizia delle nostre case), Falciola suggerisce «di preferire ai detersivi in polvere quelli liquidi, il cui impatto sull’acqua uno studio del 2017 ha dimostrato essere minore, e di rispettare le dosi indicate sulle etichette. Non è vero che più schiuma è uguale a più pulizia: quando è nello stato della schiuma il detersivo ha già perso la sua funzionalità».

La soluzione arriva dal vapore

L’alternativa sostenibile all’utilizzo di prodotti chimici inquinanti è, così, il vapore secco saturo, che solubilizza grazie al calore ed è un potente disinfettante. «Il virus è sensibile alle alte temperature, bastano pochi minuti a 70 gradi per ottenere la sua inattivazione. Mi sembra una pratica molto promettente, anche perché semplice da utilizzare in tutti gli ambienti e senza l’impiego di alcuna sostanza chimica», conferma Gentile.

A fargli eco è Massimiliano Menichini, Ceo della General Vapeur – Menikini, attivo da oltre quarant’anni nella pulizia professionale e industriale, tra le prime a proporre l’utilizzo del vapore a tal scopo: «È un metodo naturale di pulizia profonda che elimina i legami tossici e chimici tra le superfici di lavoro e lo sporco senza dover ricorrere a solventi e detergenti. In questi ultimi anni le aziende del settore Hospitality stanno investendo sempre più nella riduzione dei prodotti chimici, cercando di offrire ai clienti ambienti Chemical free o Fragrance free, garantendo cosi una migliore qualità dell’aria nelle stanze e riducendo drasticamente le sostanze chimiche volatili che possono creare a persone sensibili mal di testa, nausea, sensazioni di malessere generale». Questo tipo di pulizia tramite il vapore e senza detergenti chimici è, infatti, ideale per sanificare ambienti dedicati al trattamento di alimenti, strutture sanitarie e per eliminare virus, batteri, funghi, acari, zecche, pulci, pulci da letto e pidocchi nei tessuti, con i conseguenti danni alla salute umana che possono comportare (i soli acari, per esempio, causano allergie, asma ed eczemi, oltre ad aggravare la dermatite atopica).

«Inoltre», prosegue Menichini, «poiché contiene soltanto il 5% di microparticelle d’acqua, il vapore secco saturo non produce polveri nell’eliminazione di sporco, olio, grasso e ogni genere di incrostazioni. I pulitori a vapore sono, infatti, ideali per divani e poltrone, tappeti, superfici dure, pavimenti e piastrelle, mentre, a causa della temperatura, non si dovrebbero utilizzare su plastiche morbide o altri materiali facilmente sensibili al calore». I vantaggi di questa tecnologia abbracciano tre fronti. «Dal punto di vista ecologico», elenca il Ceo della General Vapeur, «evita lo spreco di acqua e la contaminazione dell’ambiente causata dai detergenti chimici, assicurando nel contempo un posto di lavoro ecocompatibile. Inoltre la pulizia è più efficiente ed economica, con una sensibile riduzione dei costi del lavoro. Infine, migliora la sicurezza e la soddisfazione dei collaboratori e dei clienti, riducendo l’esposizione a sostanze chimiche ed eliminando gli odori sgradevoli con una migliore qualità dell’aria».

Per aria viaggiano le patologie più contagiose

Proprio il rinnovamento frequente dell’aria all’interno dell’ambiente è una regola che vale non solo contro il coronavirus, ma in linea generale. «Influenza, morbillo, pertosse e tubercolosi, tutte patologie caratterizzate da un’elevata contagiosità, sono trasmesse per via erea», osserva Gentile. «E proprio l’influenza, con l’attuazione delle misure di prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2, ha visto nell’ultimo anno un calo della sua incidenza: personalmente quest’anno, diversamente dagli altri anni, non ho assistito ad alcun caso».

lattoferrinaLa trasmissione degli agenti patogeni per via aerea può avvenire in due modi principali: per via droplets e per via aerea propriamente detta. «Per droplets», specifica l’infettivologo della Federico II, «s’intendono le goccioline respiratorie che si emettono starnutendo, tossendo o semplicemente parlando. La trasmissione avviene quando queste particelle contenenti microrganismi infettivi sono espulse a breve distanza – per esempio, entro due metri – attraverso l’aria e si depositano sulle mucose dell’ospite (ma, quando si depositano sulle superfici, possono contaminare anche l’ambiente circostante, con il successivo rischio di diffusione per contatto). Pertanto, in determinate condizioni – ambienti chiusi, affollamento, umidità, calore – l’aria può essere considerata un autentico serbatoio di germi».

Per proteggersi dalle malattie aerodiffuse «un’arma fondamentale ed essenziale è costituita dai vaccini, in grado di ridurre notevolmente la diffusione di queste infezioni», prosegue Gentile. «Ma nell’ambito delle misure di prevenzione non va dimenticato l’abbattimento dell’inquinamento atmosferico: sostanze quali l’anidride solforosa e gli ossidi di azoto sono in grado di provocare gravi danni alle vie respiratorie, abbassando la capacità naturale di reazione alle infezioni». Tra le procedure che ognuno di noi dovrebbe osservare ci sono «l’uso delle mascherine, il lavaggio delle mani, la buona igiene respiratoria (coprire bocca e naso quando si starnutisce o tossisce, trattare i fazzoletti e lavarsi le mani), l’isolamento volontario a casa delle persone con malattie respiratorie febbrili, l’evitare luoghi affollati e l’areazione dei locali che permette il ricambio di aria. Gli ambienti chiusi hanno, infatti, una capacità nettamente superiore rispetto agli spazi aperti nel fornire ai patogeni, incluso Sars-CoV-2, l’ambiente ideale per la trasmissione interpersonale». 

Aria pulite nelle scuole grazie a Sima

aria pulita scuole«Maggiore è la ventilazione negli ambienti indoor e minore è il rischio di essere contagiati, perché si ha una dispersione degli agenti infettivi», interviene Gianluigi De Gennaro, professore di chimica dell’ambiente all’Università di Bari e membro del Comitato Scientifico SIMA. «E il metodo migliore per verificare quanto un ambiente chiuso sia opportunamente ventilato è misurare la quantità di anidride carbonica (CO2) presente, un’attività quanto mai importante al tempo del Covid». Così SIMA, con lo stesso De Gennaro come coordinatore, ha lanciato il progetto pilota «Misuriamo la CO2 a scuola», partito dalla Puglia lo scorso gennaio.

«Abbiamo fornito 13 istituti di sensori NDIR (Non-Dispersive Infra-Red), che consentono misure accurate. Tramite un collegamento Wi-Fi permettono ai docenti di ricevere le informazioni su una app su tablet, computer o smartphone, anche se nelle ultime versioni stiamo provando a fare in modo che il sensore stesso sia dotato di una lucina che assuma una colorazione diversa a seconda della concentrazione di CO2». Gli insegnati riescono, così, a gestire in maniera più efficace i ricambi d’aria, anche grazie al protocollo SIMA, che, prosegue il chimico, «prevede che le porte delle aule siano sempre lasciate aperte, mentre le finestre vengano spalancate a ogni cambio d’ora o solo nell’intervallo a seconda della quantità presente di anidride carbonica. Inoltre stiamo anche affinando una tabella di classi di rischio, che permette di valutare ogni singola aula, in modo da far emergere quelle a maggiore rischio coronavirus, così che possano essere ristrutturate o dotate di sistemi di ventilazione meccanica controllata (VMC)».

Dalla luce una protezione anche contro il coronavirus

Per purificare l’aria degli ambienti indoor si è affidata al potere della luce la start-up innovativa NanoHub. Dal 2018 sviluppa soluzioni attraverso l’utilizzo della tecnologia fotocatalitica – il fenomeno naturale in cui una sostanza, il fotocatalizzatore, attraverso l’azione della luce, naturale o artificiale, modifica la velocità di una reazione chimica – che ha trovato applicazione in ogni settore, dalla mobilità al residenziale, commerciale e medico: trasporti pubblici (autobus, taxi, ambulanze) e privati (automobili, furgoni, veicoli refrigerati per il trasporto di merci deperibili), scuole, uffici, farmacie, ristoranti, centri commerciali, supermercati, negozi, alberghi, sale d’attesa, sale riunioni, ascensori.

«Lo sviluppo di un fotocatalizzatore a base di triossido di tungsteno (WO3) ha incrementato significativamente l’efficacia di tale processo a fini disinfettanti», spiega Stefano Perboni, Ceo di NanoHub. «Il WO3, venendo a contatto con l’umidità dell’aria, genera in miliardesimi di secondo composti reattivi dell’ossigeno (ROS) e altre specie ioniche altamente ossidanti in grado di decomporre sostanze inquinanti organiche e inorganiche (gli ossidi di azoto, l’anidride solforosa, il monossido di carbonio), organiche (i composti organici volatili o VOCs) e anche agenti patogeni come microbi, batteri e virus». Dopo aver sperimentato, per alcuni anni, dispositivi con tecnologia fotocatalitica su VOCs, batteri, spore, muffe e allergeni, l’azienda ha brevettato un nuovo filtro, denominato KtV, composto da un reattore fotocatalitico di ultima generazione e da un materiale antibatterico e antivirale, che migliora ulteriormente la santificazione dell’aria. Ma non solo. Testato sul virus del Covid-19 presso i laboratori dell’Ospedale San Raffaele di Milano, il KtV ha dato risultati eccellenti: «È in grado d’inattivare la carica infettante di Sars-CoV-2 in tempi molto rapidi. A 10 minuti post-trattamento si osserva una riduzione della carica infettante del 98,2% per arrivare al 100% dopo appena 30 minuti», le conclusioni del report di Elisa Vicenzi, responsabile dell’unità di patogenesi virale e biosicurezza del San Raffaele. 

Con la telemedicina le terapie diventano digitali

hyla-estProprio la pandemia in corso ci ha fatto comprendere l’importanza della tecnologia anche a difesa della nostra salute. L’assistenza sanitaria da remoto è ormai una necessità, in quanto la riduzione della mobilità dei pazienti evita il sovraffollamento nelle strutture sanitarie ormai sotto pressione da oltre un anno, e oggi è già una realtà. SDP Italia, per esempio, ha lanciato Aly, piattaforma di telemedicina il cui obiettivo finale è erogare non solo controlli medici ma anche terapie digitali. «Ci rivolgiamo non solo ai malati cronici (nefropatici, cardiopatici, diabetici, con patologie respiratorie) ma anche a chiunque ricada nella classi di rischio», dice Francesco Cannone, ingegnere e Ceo di SPD Italia. «Semplicità, prevenzione e precisione sono le nostre tre parole chiave.  È, infatti, privo di difficoltà l’uso da parte del paziente dei dispositivi Aly per la misurazione dei parametri vitali: l’elettrocardiogramma (un sistema con quattro elettrodi dalla tecnologia innovativa), la pressione arteriosa, la saturazione dell’ossigeno, la glicemia, il profilo lipidico, la funzione renale, l’emoglobina glicata, il peso corporeo, ai quali si aggiungerà presto il livello di vitamina D, fondamentale per proteggere la salute di ossa e sistema nervoso». 

L’interfaccia della piattaforma, ove tali dati vengono scaricati, è costituita da app su Ios e Android e da un sito web ai quali si aggiunge il normale televisore: «È l’elemento con il quale, soprattutto dopo una certa età, si ha una maggiore familiarità, più ancora che con il computer, il tablet o lo stesso smartphone», osserva Cannone. «Oltre a interrogare il dottore “virtuale” tramite convenzioni con strutture di specialisti, che a breve si allargheranno fino a comprendere le farmacie, l’utente può prenotare e sostenere la televisita, oltre ad avere accesso a un canale con video registrati e in streaming». Un assistente virtuale, infine, dà indicazioni quotidiane in base all’andamento dei parametri vitali nell’ottica di una vera prevenzione di precisione, «concetto», conclude l’ingegnere, «che rimanda a quello di medicina di precisione, cioè con un’azione specifica sul singolo paziente (per esempio, Aly suggerisce una dieta sulla base dell’analisi genetica della persona)». Il futuro è già iniziato.

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