Ondate di calore alternate a cali di temperatura, piogge torrenziali e bombe d’acqua che provocano inondazioni e disastri ambientali, siccità sempre più intensa… Il clima sembra impazzito e sta cambiando in ogni regione della Terra, in modo rapido, con fenomeni estremi sempre più frequenti e conseguenze sull’ambiente, sulla nostra salute e la qualità della vita. «I cambiamenti climatici esercitano un impatto notevole, attraverso meccanismi diretti e indiretti, sulla salute umana», conferma Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) e professore di prevenzione ambientale alla Statale di Milano.
«L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) stima che circa il 20% della mortalità in Europa sia attribuibile a cause ambientali. I cambiamenti climatici influenzano i determinanti della salute come la qualità dell’aria, la salute degli ecosistemi, la sicurezza dell’acqua potabile e la disponibilità di cibo. Patologie e decessi causati dall’aumento della temperatura, da eventi estremi, da ecosistemi alterati e/o inquinati rappresentano problemi rilevanti per le conseguenze negative in termini economici e per la salute della popolazione.
I dati del rapporto The Lancet Countdown on Health and Climate Change per il 2019 sull’Italia mettono in evidenza come il nostro Paese sia particolarmente a rischio (secondo i dati del Climate Risk Index di Germanwatch, nei vent’anni dal 1999 al 2018 si sono verificati 19.947 decessi riconducibili a eventi meteorologici estremi, che nello stesso arco di tempo hanno causato perdite economiche quantificate in 32,92 miliardi di dollari), ma allo stesso tempo, grazie alla sua posizione geografica e all’estrema eterogeneità meteo-climatica, sia un laboratorio straordinario per poter studiare e mettere a punto strategie e azioni capaci di mitigare e contrastare i cambiamenti climatici».
Non c’è tempo da perdere, però, perché stiamo attraversando una vera e propria emergenza climatica. Precisa in proposito Miani: «I dati dell’ultimo rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), il foro intergovernativo sul mutamento climatico che di recente si è riunito a Ginevra, parlano chiaro: negli ultimi 100 anni la temperatura media globale è salita di 0,74 °C e in Europa l’aumento tra la fine del ventesimo secolo e gli inizi del ventunesimo è stimato tra i 2,3 e i 6 °C. I cambiamenti climatici esporranno le popolazioni ad alterazioni della disponibilità e della qualità di acqua, aria, cibo, prodotti agricoli e mezzi di sussistenza. Il livello del mare lungo le coste italiane sembra destinato a salire nei prossimi anni e le nuove stime elaborate dalla Nasa indicano che entro il 2100 si prevede un aumento di oltre mezzo metro. A Venezia nel 2100 l’innalzamento del mare nel caso migliore potrebbe essere 0,41 metri in più o di 0,87 in quello peggiore. Nel 2150 la situazione potrebbe essere ancora più difficile per la città lagunare, con le previsioni che vanno da 0,61 metri a 1,94 metri. Condizioni non molto dissimili a Genova, Civitavecchia, Palermo e Cagliari».
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Malattie peggiorate dal caldo
Scarsa disponibilità di acqua, diffusione di nuove malattie per la migrazione dei vettori e dei patogeni e variazioni di temperatura agiscono prima di tutto sulle popolazioni rurali più povere. L’area mediterranea è considerata particolarmente a rischio, basti pensare che in Italia, negli ultimi 50 anni, si è registrato un decremento delle precipitazioni del 14%: Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna potrebbero dover ricorrere a tecniche di desalinizzazione dell’acqua marina. «Tra il 2030 e il 2050 si prevede che il cambiamento climatico causerà circa 250mila morti supplementari all’anno», interviene Prisco Piscitelli, epidemiologo e vicepresidente SIMA, «dovuti a malnutrizione, malaria, diarrea e stress da caldo, ma anche perdite di vite umane dovute a tempeste e inondazioni, così come si assisterà all’esacerbazione delle malattie cardiovascolari e respiratorie a causa dell’inquinamento atmosferico che fa male all’ambiente, visto che è tra i maggiori responsabili del clima impazzito e di conseguenza alla salute: basti pensare che ogni anno in Italia muoiono per inquinamento atmosferico 80mila persone».
Riguardo alle ondate di caldo estremo Piscitelli sottolinea che se in generale interferiscono sulla salute di tutti, sottoponendo a stress termico l’organismo che perde il suo naturale equilibrio, in particolare comportano maggiori rischi per i soggetti più vulnerabili: non solo persone anziane, ma anche chi soffre di malattie cardiovascolari, diabete, malattie respiratorie croniche e malattie renali. Il caldo attiva anche meccanismi di natura infiammatoria e riduce le difese immunitarie locali aumentando il rischio di infezioni respiratorie: broncospasmo e irritazione delle vie aeree possono essere direttamente scatenati dalle alte temperature e dall’ozono atmosferico, che aumenta in concomitanza delle ondate di calore.
Diffusione di infezioni
I cambiamenti climatici interferiscono con un’ampia varietà di patologie agendo come una forza moltiplicatrice: sono, ad esempio, un fattore determinante per la diffusione di malattie infettive. «L’aumento delle temperature medie e della tropicalizzazione del clima (ne sono le principali e più eclatanti espressioni piogge tropicali e desertificazione) può favorire la diffusione di patogeni e l’insorgere di nuove epidemie», spiega Ivan Gentile, professore ordinario di malattie infettive e direttore dell’unità operativa complessa di malattie infettive presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, nonché membro del Comitato Scientifico SIMA.
«La maggior parte delle malattie infettive umane ha a che fare con il mondo animale e molte di queste potranno cambiare e interessare aree prima d’ora non a rischio, proprio a seguito dei cambiamenti climatici globali. Ciò è legato alla possibilità di animali vettori o serbatoi (ovvero che veicolano malattie infettive o che ospitano abitualmente patogeni) di vivere dove prima non era possibile a causa di condizioni biologiche e fisiche diverse. Il riscaldamento del pianeta incide, infatti, sulle caratteristiche fisiche dell’ambiente (temperatura, disponibilità idrica, ecc.) e quindi sulle condizioni più o meno favorevoli alla presenza di queste specie animali».
Le zanzare sono l’esempio più eclatante di vettori di diverse malattie infettive che stanno incrementando la loro diffusione. «Le mutate condizioni climatiche ne consentono una colonizzazione maggiore, a diverse latitudini», precisa Gentile. «Ciò comporta la possibilità di una maggiore diffusione di numerose patologie infettive, una volta confinate alle zone tropicali, come la Chikungunya, causata dal Chikungunya virus (CHIKV) veicolato da zanzare del genere Aedes, che si è rapidamente diffusa a livello globale a partire dal 2004. Tra i sintomi febbre, dolori muscolari e mal di schiena che, in genere, si risolvono in pochi giorni. Anche in Italia negli ultimi anni, a partire dal 2007, sono stati registrati diversi casi di questa patologia, oltre a casi di Dengue e Zika.
E ancora in Nord America, a causa delle estati secche e delle elevate precipitazioni invernali, sono in aumento anche alcune malattie da funghi patogeni come la blastomicosi, prima decisamente rara e che provoca vari quadri patologici tra cui la polmonite. Lo stesso è dimostrato per parassiti come trichinella (in genere provoca infezioni intestinali) ed echinococco (responsabile della formazione di cisti in vari organi) prima diffusi soprattutto tra gli animali e che ora iniziano a manifestarsi nell’uomo». Secondo l’esperto, inoltre, gli effetti del cambiamento climatico non risparmiano patologie come la toxoplasmosi causata dall’infezione di un parassita, il Toxoplasma gondii, che può trasmettersi all’uomo attraverso gli animali, in particolare i gatti, il cibo, carne cruda di maiale e di pecora, vegetali contaminati da feci di gatto e che si manifesta con qualche linea di febbre, ingrossamento dei linfonodi che nella maggior parte dei casi si autorisolve in breve tempo ma che, se contratta durante la gravidanza, è pericolosa perché può provocare aborti spontanei e malformazioni.
Non solo. Altre malattie infettive come il colera risentono del cambiamento climatico: infatti il Vibrio cholerae, il batterio che ne è la causa, è naturalmente presente nell’ambiente marino, attaccato a piccoli crostacei e molluschi, e variabili ambientali che influenzano il plancton su cui risiedono i batteri influenzano anche la diffusione dei vibrioni e, di conseguenza, la loro capacità di provocare epidemie.
Lo scioglimento dei ghiacci
Sempre in tema di salute Gentile segnala che il riscaldamento climatico a causa dello scioglimento del permaflost, ovvero il ghiaccio millenario che si trova ai poli, potrebbe potenzialmente portare alla riemersione nel ciclo biologico di batteri in esso presenti e responsabili di infezioni verificatesi in un passato ormai remoto che potrebbero dunque ripresentarsi anche se, al momento, questa eventualità non è ancora avvenuta. «Il futuro è ovviamente ancora da scoprire, ma anche da scrivere», sottolinea lo specialista in malattie infettive. «Sta alla nostra generazione pensare alla difesa del pianeta che ci ospita, come atto di rispetto ma anche come tentativo di recuperare una situazione allarmante e di difendere la sopravvivenza della nostra stessa specie». E molto dipenderà dall’impegno e dalla volontà delle istituzioni di mettere in campo velocemente misure ormai improrogabili nella lotta all’inquinamento e orientate verso profonde riduzioni delle emissioni di anidride carbonica (CO2), ritenuta il principale motore dei cambiamenti climatici (anche se altri gas serra e inquinanti atmosferici contribuiscono a influenzare il clima).
L’inquinamento favorisce il Covid (e non solo)
A proposito della stretta connessione tra emergenza climatica, inquinamento e impatti su salute e società interviene Paola Adinolfi, ordinario di organizzazione aziendale, direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca su Economia, Diritto e Management della Pubblica Amministrazione presso l’Università di Salerno e membro del Comitato Scientifico SIMA: «Uno studio di alcuni ricercatori della Società Italiana di Medicina Ambientale circa i legami tra i livelli di inquinamento e la propagazione del COVID-19, pubblicato nel 2020 su BMJ Open, ha colpito l’attenzione di uno dei più grandi pensatori mondiali di management, Henry Mintzberg, docente alla McGill University di Montreal, in Canada, che ne ha derivato alcune prescrizioni di politiche ad ampio spettro, socioeconomiche, sanitarie, ecologiche, che indicano la lotta all’inquinamento come misura per evitare ulteriori ondate pandemiche».
Per Mintzberg ci sono prove che evidenziano come le persone con un’esposizione prolungata all’inquinamento non solo siano meno in grado di far fronte all’infezione, ma abbiano anche maggiori probabilità di infettarsi, perché quell’aria ha compromesso il loro sistema immunitario. Secondo lo studioso molte città sono avviate sulla buona strada al fine di abbassare i livelli di inquinamento, grazie all’incremento del riciclo e di forme di produzione di energia più pulite, nonché alla promozione di modelli di economia di comunità. Anche il passaggio dal settore manifatturiero a quello dei servizi ha dato un suo contributo, così come la regolamentazione delle maggiori sostanze inquinanti.
Riducendo l’inquinamento – avverte Mintzberg – possiamo intraprendere un percorso vantaggioso per tutti, al di là di questa pandemia. Sappiamo che l’aria inquinata sta uccidendo molte persone da molti anni e che il cambiamento climatico ne ucciderà molte di più. Una delle grandi ironie di questa pandemia potrebbe rivelarsi quella di aprire una finestra di opportunità senza precedenti per affrontare una minaccia molto più grave. Cogliamola e la nostra progenie, che vivrà su un pianeta che abbiamo già abbastanza surriscaldato, ce ne sarà per sempre grata.
La tutela ambientale come motore di innovazione
«Se dall’emergenza pandemica abbiamo tutti compreso quanto siamo interconnessi nello spazio e nel tempo, pochi si sono resi conto di quanto siamo interconnessi con la natura, anzi, da febbraio 2020 il problema ambientale è stato oscurato dal tema della pandemia e del virus, sia a livello di attenzione mediatica sia a livello di politiche», commenta Paola Adinolfi. «Ecco che l’attenzione al tema dell’inquinamento amplia lo spazio della risposta sistemica alla pandemia, ponendo le fondamenta di un’ecologia della salute, che riconosce l’interdipendenza tra le dinamiche socio-economiche, il funzionamento dell’ecosistema, e la salute di piante, animali ed esseri umani.
Appare allora rilevante il lavoro sia di SIMA che porta all’attenzione il tema dell’inquinamento sia quello del professor Mintzberg che lo rilancia. Ci aiuta ad avviare un ripensamento generale della società: la salvaguardia ambientale ha un ruolo centrale nella costruzione del nuovo e si connette con le sue direttrici strategiche – la trasformazione digitale, l’efficientamento energetico, l’economia circolare, la centralità delle persone e della salute, l’education e lo sviluppo di leadership eticamente orientate – così da candidarsi a diventare il maggiore motore di innovazione nel ventunesimo secolo.
Di tale ripensamento c’è molto bisogno, considerando che la sostenibilità è ancora considerata da molte aziende un tema critico piuttosto che strategico, ed è vissuta come una minaccia piuttosto che come un’opportunità di rinnovamento profondo. Le imprese dovrebbero andare oltre l’approccio della CSR (Corporate Social Responsibility), focalizzato soprattutto sulla reputazione, e orientarsi verso un approccio maggiormente radicale, come il CSV (Creating Shared Value), implicante un ripensamento profondo del ruolo dell’impresa come realtà capace non solo di produrre profitto ma anche di generare valore sociale e ambientale. Tale approccio, per l’impatto positivo sulla performance economico-finanziaria e la grande forza trasformativa, è il perno centrale della sostenibilità nella sua accezione contemporanea».
Città resilienti, sostenibili e salubri
E in questo senso diventano particolarmente rilevanti interventi edilizi diretti a realizzare città resilienti, sostenibili e salubri, ovvero più resistenti a eventi atmosferici un tempo estremi ma la cui frequenza è in aumento a causa del riscaldamento globale, come alluvioni e ondate di calore. Città più sostenibili e dunque con migliori prestazioni energetico-ambientali, ma anche in grado di garantire maggiore confort e salubrità ai propri abitanti.
«Oggi è improrogabile una nuova cultura dell’abitare, capace di rigenerare i luoghi in cui viviamo, mettendo al centro i bisogni e il benessere delle persone e al contempo garantendo il necessario equilibrio con un sempre più fragile ambiente», sottolinea Marco Mari, presidente del Green Building Council Italia (associazione che si propone di favorire e accelerare la diffusione di una cultura dell’edilizia sostenibile e sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sull’impatto che le modalità di progettazione e costruzione degli edifici hanno sulla qualità della vita dei cittadini) e membro del Comitato Scientifico SIMA.
«Nuova cultura significa accettare la complessità e progettare, realizzare o riqualificare gli edifici considerandoli come “sistemi complessi” per i quali è necessario affrontare soluzioni integrate. Dovremo dunque, ad esempio, incrementare le aree verdi urbane per limitare l’aumento delle temperature durante l’estate. Oggi abbiamo già gli strumenti che ci permettono tutto questo, occorre utilizzarli. In sostanza si impone di costruire nuovi edifici o riqualificare quelli già esistenti nel rispetto dei protocolli energetico-ambientali, strumenti adeguati a fornire linee guida in fase di progettazione, di realizzazione e di gestione degli asset immobiliari secondo le migliori pratiche nazionali e internazionali. Il ricorso a tali strumenti permette la corretta applicazione delle migliori tecnologie studiate sia per ottimizzare le prestazioni energetiche riducendo i consumi di energia, per esempio agendo attraverso la coibentazione dell’involucro edilizio e al contempo facendo ricorso a fonti di energia rinnovabile, sia per migliorare le prestazioni idriche, limitando le perdite della rete di distribuzione e utilizzando risorse alternative ottenibili ad esempio dal recupero di acqua piovana.
Una progettazione capace di prediligere materiali provenienti da economia circolare ma, anche e soprattutto, capace di progettare e realizzare edifici che garantiscano confort e salubrità, ad esempio massimizzando l’uso della luce naturale e definendo strategie che limitino formazione e accumulo di inquinanti indoor, come l’elevata concentrazione di CO2 o di polveri e muffe. L’applicazione di protocolli energetico-ambientali, inoltre, permette di accedere a processi di verifica e di certificazione a maggior garanzia del valore degli asset immobiliari e in perfetta coerenza con le principali direttive europee».
Ridurre i consumi energetici
Il messaggio dunque è chiaro: i cambiamenti climatici ci mettono di fronte all’urgenza di ridurre le emissioni, per salvare la salute globale, cioè dell’ambiente e di tutti gli esseri viventi, animali e uomini compresi. Una sfida che riguarda ogni aspetto della nostra vita perché, come evidenziato da molte fonti scientifiche, risulta sempre più evidente che le attività umane hanno il potenziale per determinare il corso del clima futuro. Una sfida che per essere vinta richiede di certo interventi da parte delle alte sfere decisionali (governi, istituzioni…), ma anche il cambiamento dei nostri comportamenti nel quotidiano e l’acquisizione della consapevolezza che il nostro benessere dipende strettamente da come ci rapportiamo al pianeta.
«Ognuno di noi, giorno per giorno, può mettere in atto semplici attenzioni che, moltiplicate nel tempo e nel numero di persone che le eseguono, si riflettono positivamente sulla salute dell’ambiente, dell’ecosistema e di conseguenza su quella di uomini e animali», conclude Annamaria Colao, titolare della cattedra Unesco di educazione alla salute e sviluppo sostenibile presso l’Università Federico II di Napoli e membro del Comitato Scientifico SIMA. «Basta, per esempio, davvero poco per ridurre i consumi di acqua, optando per la doccia rispetto al bagno in vasca, non lasciando i rubinetti aperti quando si lavano posate e tazzine, così come per diminuire l’inquinamento di fiumi e mari sono rilevanti scelte semplici come dare la preferenza a detersivi, shampoo e detergenti biodegradabili, ma anche acquistare vestiti realizzati con tessuti naturali. Per un cambio di passo nei comportamenti diventa, però, fondamentale promuovere uno stile di vita improntato a uno sviluppo sostenibile e al concetto di One Health, che dovrebbe essere insegnato alle nuove generazioni già dai primi di anni di scuola, in modo che le azioni del governo siano comprese dai cittadini e viste non come limitazioni, ma come comportamenti da seguire per la salute di tutti».