La Terra potrebbe affrontare una carenza idrica globale del 40% entro il 2030, per il riscaldamento terrestre e l’aumento dei consumi. Questo l’allarme lanciato dal Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2021. Secondo il rapporto, circa 4 miliardi di persone nel mondo già vivono in condizioni di grave scarsità fisica di acqua per almeno un mese all’anno ed è probabile che i cambiamenti climatici possano provocare variazioni nella disponibilità durante tutto l’anno e in diversi luoghi. L’uso globale dell’acqua è aumentato di sei volte negli ultimi 100 anni e continua a crescere a un tasso di circa l’1% annuo, per l’aumento della popolazione e il cambiamento dei modelli di produzione e consumo di risorse. Di fronte a queste esigenze ci sarà poco spazio per aumentare la quantità di acqua utilizzata per l’irrigazione in agricoltura, che attualmente rappresenta il 69% di tutti i prelievi di acqua dolce.
«La prosperità economica e la salute pubblica sono influenzate dai cambiamenti climatici che portano con sé eventi estremi sempre più frequenti», dice Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA). «Nell’ultimo decennio siccità e ondate di calore sono aumentati di oltre un terzo e vengono registrate due volte più frequentemente, inondazioni ed eventi di pioggia estrema sono aumentati di oltre il 50% e ora si stanno verificando a una velocità quattro volte superiore rispetto al 1980. In questo quadro emergenziale possono verificarsi ondate di migrazione e picchi di violenza: nel 2017 sono stati registrati 18,8 milioni di nuovi sfollati interni associati a disastri in 135 Paesi e territori». Negli ultimi 20 anni, i due principali disastri legati all’acqua, inondazioni e siccità, hanno causato oltre 166mila morti, colpito altri tre miliardi di persone e causato un danno economico di quasi 700 miliardi di dollari. «È quindi fondamentale capire l’importanza dell’acqua, da un lato evitando gli sprechi, dall’altro prendendo maggiore consapevolezza di quello che si beve quotidianamente, perché l’acqua è un elemento fondamentale e insostituibile della nostra salute», aggiunge Miani.
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Attenzione al rubinetto di casa
Quindi bisognerebbe prendersene cura, per evitarne gli sprechi. «L’Italia è il Paese delle grandi risorse idriche, delle numerose fonti di acqua ma si colloca anche tra i primi al mondo riguardo al suo spreco e in particolare gli ultimi tre anni hanno segnato un campanello d’allarme per il Paese», avverte Luigi Falciola, professore di chimica analitica all’Università degli Studi di Milano, membro del Comitato Scientifico di SIMA, con cui ha redatto il decalogo «Family Water. Acqua di casa, qualità e risparmio» (prevenzione.life/family-water). Le siccità registrate anche la scorsa estate in molte regioni hanno infatti confermato le teorie degli scienziati secondo cui il processo di desertificazione nella Penisola è in atto da tempo.
Per il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) attualmente questo fenomeno coinvolge circa il 20% del territorio italiano con un picco del 70% in Sicilia. Se poi a questo dato si sommano le rilevazioni dell’Istat, secondo cui ogni anno le perdite delle reti idriche nazionali portano a uno spreco di 4,5 miliardi di metri cubi di acqua potabile (la sola Sicilia disperde il 50,5% dell’acqua immessa in rete), diventa evidente come l’acqua stia diventando sempre più un bene a rischio, che può essere salvato grazie a investimenti considerevoli soprattutto sulla rete. Ma non solo. «Risulta ormai urgente e irrimandabile da parte di tutti acquisire maggiore consapevolezza riguardo a come e quanto le nostre azioni e lo stile di vita possano incidere sugli sprechi», precisa Falciola. «Basta per esempio pensare che il rubinetto del bagno ha una portata media di oltre 10 litri di acqua al minuto e se lo lasciamo aperto mentre ci laviamo i denti o addirittura dentro la doccia, più di 30 litri di acqua potabile se ne andranno sprecati, mentre un semplice rubinetto che gocciola provoca una perdita di 4mila litri di acqua all’anno».
L’impronta idrica dei prodotti
Anche la nostra alimentazione ha un costo idrico: si chiama «impronta idrica» degli alimenti, o Water Footprint, ed è l’insieme di tutta l’acqua dolce impiegata durante il ciclo di produzione di un determinato cibo, che include l’uso sia diretto sia indiretto di acqua da parte di un consumatore o di un produttore e che è stata calcolata da un gruppo di ricercatori della University di Twente in Olanda. Non è una misurazione specifica, perché l’acqua non viene usata tutta nello stesso momento, ma un calcolo virtuale che prende in considerazione tutti i passaggi (compresi i trasporti) e i consumi standard della filiera che può avere conseguenze sia a livello ambientale che sociale.
Per fare qualche esempio in base ai calcoli dell’ateneo olandese, la produzione di una mela di 100 g richiede 70 litri d’acqua, la lattuga 20, e ai primi posti di maggior consumo idrico per la produzione restano le carni, soprattutto quella bovina che per 1 kg di prodotto ha bisogno di 13.500 litri d’acqua in media. L’impronta idrica riguarda comunque tutto quello che usiamo, compresi vestiti e scarpe. In attesa di etichette che indichino per ogni prodotto il relativo consumo d’acqua legato alla sua produzione è possibile comunque già calcolare l’effettivo impatto idrico del proprio stile di vita, ma anche semplicemente comparare alcuni tra i cibi più comuni e sapere quanta acqua è «nascosta» nei prodotti che si utilizzano quotidianamente andando sul sito waterfootprint.org. Lo scopo principale di misurare l’impronta idrica è indirizzare verso un uso sostenibile, efficiente ed equo a livello globale dell’acqua, bene prezioso per la nostra vita e la nostra salute ma risorsa non infinita. Ed è sempre il valore inestimabile dell’acqua che evidenzia la necessità di agire nel proprio quotidiano per perseguire una gestione più efficiente in termini, oltre che di sprechi, anche di qualità.
Caraffe filtranti e addolcitori
Da qui l’importanza di ridurne la durezza dovuta alla presenza di sali di metalli alcalino-terrosi, in particolare calcio e magnesio che provocano la formazione di calcare, quei residui bianchi che vediamo per esempio sulle pentole e sui bicchieri. Spiega in proposito Falciola: «Di per sé la durezza dell’acqua, se non elevatissima, non causa problemi di salute. Anzi, in molti casi, soprattutto un alto contenuto di magnesio aiuta a prevenire le malattie cardiovascolari (e non solo). Può però dare un sapore non troppo gradevole e una certa idea di “pesantezza”, a cui si può facilmente rimediare ricorrendo a brocche filtranti che utilizzano filtri a carboni attivi e resine a scambio ionico per scambiare il calcio col magnesio, che permettono di migliorare le qualità organolettiche dell’acqua del rubinetto.
Questi sistemi, ultimamente testati da molte università, funzionano molto bene se utilizzati secondo le istruzioni del produttore. La durezza dell’acqua risulta invece pericolosa per le tubature e gli elettrodomestici a causa dei precipitati insolubili, ovvero del calcare. Dunque può essere utile ricorrere a filtri o a specifici apparecchi addolcitori da applicare all’ingresso delle abitazioni (Point of Entry, POE) o direttamente prima dei rubinetti (Point of Use, POU), ricordando che l’efficienza di questi sistemi è subordinata a una regolare manutenzione, con cambio regolare dei filtri. L’acqua addolcita mantiene gli apparecchi al massimo dell’efficienza, facendoli durare più a lungo, e consente di dimezzare la quantità di detersivo per lavare i piatti o la biancheria e di utilizzare temperature di lavaggio più basse senza un calo di prestazioni».
I minerali utili all’organismo
E l’acqua potabile? Osserva Giuseppe Merra, docente di scienze e tecniche dietetiche applicate presso il Dipartimento di biomedicina e prevenzione della facoltà di medicina e chirurgia, dell’Università di Roma Tor Vergata e membro del Comitato Scientifico di SIMA: «Sebbene non fornisca energia, l’acqua rappresenta un elemento fondamentale, necessario a soddisfare le necessità fisiologiche e nutrizionali e può essere considerata un alimento a tutti gli effetti. Infatti non è solo composta da idrogeno e ossigeno, ma da diversi minerali, nutrienti essenziali (come calcio, fosforo, magnesio, ferro ecc.) che vengono assorbiti dal nostro organismo allo stesso modo in cui sono assimilati i minerali presenti negli alimenti».
«Va poi tenuto presente che tra i vari fattori che concorrono a uno stato di salute ottimale un posto di primaria importanza spetta all’idratazione e al corretto equilibrio tra i vari compartimenti idrici dell’organismo. Al punto che, se da un lato è possibile vivere per un tempo sufficientemente lungo senza cibo (la durata dipende in parte dalla quantità di riserve di grasso), dall’altro solo dopo due o tre giorni in mancanza di liquidi la sopravvivenza risulta seriamente compromessa: una disidratazione del 10% comporta seri problemi per l’organismo e si rischia addirittura la morte per variazioni del 20-30%. D’altro canto è però anche possibile bere quantità di acqua tali da procurare una vera e propria intossicazione, come può accadere nell’anoressia nervosa o in altri disordini psichiatrici in cui il bere compulsivo può condurre a morte dovuta non all’acqua di per sé, ma alle alterazioni degli elettroliti secondari, soprattutto del sodio».
Quanta berne
Ma allora per mantenersi in salute qual è il nostro fabbisogno di acqua? «Dovremmo bere 1 ml di acqua ogni kcal consumata, ma, più semplicemente, si può moltiplicare il nostro peso in kg per il coefficiente 0,03 e ottenere il quantitativo di acqua che dovremmo assumere», risponde Merra. «Fonti di acqua sono gli alimenti e le bevande, dai quali è possibile ricavare, rispettivamente 500-700 ml e 800-1.500 ml; a essi devono essere aggiunti 350 ml/die circa di acqua endogena ricavata dall’ossidazione dei nutrienti. Ovviamente il consumo di acqua dev’essere aumentato in tutte quelle condizioni in cui si ha un incremento della sudorazione, come, per esempio, attività fisica, stati febbrili, climi particolarmente caldi, perdite idriche dovute a diarrea o vomito, stato di gravidanza e allattamento. Una categoria che merita particolare attenzione è quella degli anziani, che in genere hanno un’assunzione quotidiana di liquidi inferiore al fabbisogno, rischiando la disidratazione, estremamente pericolosa per la salute».
In quanto alla scelta del tipo da bere, meglio quella del rubinetto o la minerale? Difficile secondo Merra dare un giudizio equo per i due tipi di acqua, poiché i fattori che entrano in gioco sono numerosi. La caratteristica più importante che distingue l’acqua minerale da quella potabile è la totale assenza di trattamenti di disinfezione. Ne consegue che, per certi aspetti, un’acqua minerale può essere considerata di qualità migliore anche se, in entrambi i casi, le acque devono risultare batteriologicamente pure. In particolari circostanze può accadere che l’acqua di rubinetto sia addirittura migliore di quella in bottiglia, visti i controlli più rigorosi e frequenti previsti dalla legislatura italiana. Il cloro viene solitamente aggiunto all’acqua potabile per impedire lo sviluppo batterico mentre fluisce attraverso le tubature. Tuttavia, proprio a causa del passaggio nei condotti, non si può escludere la dissoluzione di piccole particelle di piombo e di altri metalli seppur in quantità irrisorie.
La scelta della bottiglia
L’esperto chiarisce poi un altro dubbio relativo all’opportunità o meno di preferire le acque minerali a basso contenuto di sodio o di altri sali, quelle cosiddette leggere perché meno ricche di minerali di altre, definite pesanti: «L’acqua minerale è una delle nostre principali fonti di approvvigionamento di alcuni sali minerali che il corpo perde durante l’attività quotidiana», spiega Merra. «È quindi importante fornire all’organismo un adeguato apporto di questi elementi fondamentali. Le acque “ricche”, per esempio, sono perfette per chi fa vita attiva ma anche per i soggetti in fase di crescita, per la donna in gravidanza, per l’anziano e così via. In Italia, la produzione di acque minerali è ampia e diversificata e si può tranquillamente scegliere la tipologia giusta per il proprio benessere, magari chiedendo consiglio al proprio medico».
Invece in merito alla scelta tra bottiglia di vetro o in plastica l’esperto spiega che se il processo di imbottigliamento è realizzato in modo corretto, secondo gli standard previsti dalla legge, le acque minerali in bottiglie di vetro o di plastica sono entrambe sicure. «Dal punto di vista chimico il vetro è un materiale omogeneo e inerte, per questo non interagisce con gli alimenti che contiene e protegge il sapore di cibi e bevande anche dai raggi solari e dalle lunghe esposizioni a fonti di calore. È una barriera naturale contro i batteri ed è totalmente impermeabile all’ossigeno, così da mantenere cibi e bevande freschi insieme a tutte le loro vitamine, minerali e altri elementi benefici, preservando i valori nutrizionali».
I vantaggi delle alcaline
Nel variegato mondo delle acque minerali di recente si sono affacciate le alcaline ionizzate che, simili a quelle di sorgente, non contengono metalli pesanti, pesticidi-insetticidi, ormoni o prodotti simili. Puntualizza Giuseppe Merra: «Assumere questo tipo di acqua aiuta a contrastare l’iperacidità tissutale e contribuisce a equilibrare il bilancio acido-base del corpo. L’acqua alcalina ionizzata in commercio ha un valore pH alcalino che si aggira sopra i 7, contiene minerali che la rendono antiossidante e disintossicante, stimola il metabolismo e favorisce l’eliminazione delle scorie acide».
Pioniere di questo nuovo corso delle acque sempre più alleate del benessere è un giovanissimo imprenditore, Jules-Arthur Sastre, convinto sostenitore del loro valore aggiunto. Fondatore e amministratore delegato di NWL Distribution, Sastre, da poco più di un anno ha lanciato sul mercato Hydraqua, un’acqua alcalina ionizzata che – precisa Sastre – grazie al suo pH 9+ fortemente alcalino (perché superiore a 7) si distingue per l’elevata capacità idratante e per l’azione depurativa che aiuta a contrastare i radicali liberi e facilita l’eliminazione delle scorie acide, derivanti da un’alimentazione iperproteica e povera di frutta e verdura e da uno stile di vita sedentario. Aggiunge Sastre: «Si tratta di un prodotto a metà strada fra una tradizionale acqua oligominerale e un Energy Drink, ma privo di qualsiasi additivo, del tutto naturale ed ecosostenibile, perché confezionato in bottiglie di alluminio 100% riciclabile all’infinito dunque con impatto ambientale ridotto e un risparmio energetico del 95% rispetto ai processi tradizionali di riciclo».