Per l’ottavo anno consecutivo, a ottobre è uscito il rating sulla qualità delle mense scolastiche italiane, realizzato dall’osservatorio indipendente Foodinsider. Due dati importanti, seppur in contrasto tra loro: il 35% dei bambini è ostile al cibo del refettorio (e si rifiuta a priori di mangiarlo) anche se un menu su tre è migliorato.
In generale, infatti, continua il trend di miglioramento delle mense scolastiche iniziato nel 2022. Significa menu più equilibrati, a minore impatto ambientarle e con maggiore varietà. Aumenta la presenza dei legumi, che diventano un secondo piatto in un terzo dei menù analizzati, di prodotti locali e di origine biologica. I cibi processati, (prosciutto, tonno in scatola, bastoncini di pesce, formaggio spalmabile e budini) invece, crescono del 6%.
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Qualità mense scolastiche: la top ten
La top ten non offre sorprese rispetto al passato. Sul podio rimane Fano, seguito da Cremona e Parma. Vicini per qualità ed equilibrio sono i comuni di Jesi, Sesto Fiorentino, Rimini, Ancona, Bergamo, Perugia e Mantova. Il sud è ancora distante dalle mense più numerose e virtuose del centro e del nord. Si distingue virtuosamente la Puglia, con Lecce, Brindisi e Bari.
«Ci sono realtà virtuose come Fano, conosciuta nel mondo come “la città dei bambini”. Cremona, che da anni investe sulla formazione dei cuochi e sull’educazione alimentare. Oppure Parma, che si distingue per l’attenzione alla qualità delle materie prime e dei piatti», commenta Claudia Paltrinieri, presidente Foodinsider.
Le mense che si posizionano in fondo alla classifica, invece, «abbondano in cibo processato, alimenti iperproteici, sono poco variegate e hanno menu privi di informazioni sull’origine e la qualità degli alimenti. Inoltre servono pasti senza alcun legame con la tradizione culinaria del territorio. Questo tipo di servizio punta a saziare e a produrre vantaggi soprattutto a chi produce il pasto. Perché ha pochi costi e maggiori guadagni, mettendo in secondo piano la salute dei piccoli».
Qualità delle mense scolastiche
Le aziende di ristorazione
Le mense scolastiche sono gestite dal comune in cui si trova la scuola. Può occuparsi direttamente del servizio con il proprio personale oppure appaltarlo a un’azienda di ristorazione collettiva. In Italia, come ricostruisce un articolo pubblicato su Altraeconomia ad aprile 2023, su un totale di 1.200 aziende di ristorazione collettiva, sono otto le società più grandi e attive nel campo della refezione scolastica.
Dussmann Service, in provincia di Bergamo, il Gruppo Pellegrini, di Milano, le emiliane Camst e Cirfood, Elior Ristorazione e Sodexo, che invece sono francesi, la vicentina Serenissima Ristorazione e infine la romana Vivenda. «Le mense migliori», afferma la presidente Foodinsider, «sono quelle in cui i comuni mantengono la gestione del servizio e il possesso delle cucine. Ma anche dove ci sono commissioni mensa ben organizzate e preparate».
Le commissioni e i controlli
La commissione mensa è un organo di controllo composto da rappresentanti dei genitori e degli insegnanti, dall’Asl e dal Comune, la cui presenza, per quanto sia auspicale, non è obbligatoria. Periodicamente vengono effettuati anche dei controlli da parte dei Nas, i carabinieri del Comando per la tutela della salute, che nell’ultima ispezione, datata 2023, su 1.058 aziende di ristorazione collettiva operanti nelle mense scolastiche hanno rilevato 341 irregolarità, pari al 31%, e accertato 482 violazioni penali.
Sono stati sequestrati oltre 700 chili di cibo, alcuni privi di tracciabilità, altri scaduti e custoditi in ambienti inadeguati. In altri casi è stato rilevato l’impiego di ingredienti diversi rispetto a quanto concordato con il comune. Per esempio uova convenzionali invece che biologiche oppure prodotti congelati al posto di cibi freschi. Al termine delle ispezioni sono state chiuse nove cucine e deferiti all’autorità giudiziaria 22 gestori di servizi mensa.
Prodotti bio e locali in mensa
Negli ultimi anni ci sono state molti miglioramenti dei menu dopo l’introduzione legislativa, nell’agosto 2020, dei Cambiamenti ambientali minimi, che impongono alle mense scolastiche di favorire l’utilizzo di prodotti biologici locali, eliminare i cibi processati, sostenere le economie locali e i piccoli produttori, salvaguardare la biodiversità delle specie ittiche, promuovere una dieta con un minor consumo di proteine animali e prevenire lo spreco alimentare.
Dall’analisi Foodinsider emerge che un buon 29% delle mense si rifornisce con più di dieci prodotti locali a settimana. Mentre un 13% ne acquista almeno cinque. Alcuni refettori esprimono la cultura gastronomica del proprio territorio con piatti tipici. Gli spätzle a Trento e Bolzano, i passatelli a Fano e a Rimini, le orecchiette con le cime di rape a Brindisi, ciceri e trie a Lecce, la purea di fave a Bari. «La varietà degli alimenti è una delle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ma è anche un aspetto importante per affrontare le neofobie alimentari dei piccoli», commenta Paltrinieri.
Qualità delle mense scolastiche e dieta familiare
Secondo l’indagine Okkio alla Salute, promossa dall’Istituto superiore di sanità, l’Italia, con il 20,4% di bambini in sovrappeso e il 9,4% obesi, è tra le nazioni europee con i valori più alti di eccesso ponderale tra i piccoli. Con un tasso di obesità infantile così importante, la ristorazione scolastica dovrebbe assumere un ruolo cardinale nella prevenzione. Ma l’impegno della scuola va condiviso dalle famiglie. Perché, racconta Lorenzo Donini, professore di scienze dell’alimentazione all’Università di Roma La Sapienza, «non sono rari i casi in cui gli studenti presentano certificati di presunte allergie o intolleranze perché hanno deciso che un determinato alimento non piace e vengono assecondati dai genitori. Le mense scolastiche hanno raggiunto ottimi livelli in termini di qualità nutrizionale. Diversamente da quanto si registra in media nel contesto familiare».
Da una ricerca condotta dall’azienda Elior in collaborazione con SWG, emerge che quasi una famiglia su cinque non riesce a gestire correttamente l’alimentazione dei figli a casa. E quasi il 25% evidenzia abitudini scorrette. «Nelle famiglie italiane si sta perdendo la cultura alimentare», fa eco la presidente di Foodinsider. «Questo emerge per esempio dalla continua richiesta da parte dei genitori di pasta in bianco nelle mense. Un comfort food che garantisce un consumo sicuro, ma non nutre correttamente il bambino».
«Più si coinvolgono i genitori e gli insegnanti in un processo di formazione continua e migliori saranno i pasti e i consumi», afferma Paltrinieri. «Il Comune di Fano organizza corsi di cucina per mamme e papà, Aosta prevede momenti di degustazione pubblica, Monza porta in piazza la mensa. Tanti esempi di come le amministrazioni si impegnano a portare i menù fuori dal refettorio per entrare nelle abitudini alimentari delle famiglie con cui creare alleanze».
Il costo della mensa scolastica
«Per tutti questi motivi», interviene ancora Donini, «è importante riconoscere alla refezione scolastica il giusto prezzo, al fine di prevenire costi più alti in futuro in ambito sanitario». Nell’anno 2022/2023 le famiglie italiane per la mensa di un figlio hanno speso in media 82 euro al mese, circa 4 euro a pasto. La regione più costosa sarebbe la Basilicata, mentre la più economica la Sardegna (dati Cittadinanzattiva).
Il gruppo The European House – Ambrosetti, in occasione della giornata mondiale degli studenti di novembre 2021, ha invece stimato che, considerando i soli bimbi obesi che non accedono al servizio mensa, fornire un pasto giornaliero a scuola basato su una dieta equilibrata potrebbe generare un risparmio di 8,9 miliardi di euro al Servizio sanitario nazionale. In Italia, infatti, un bambino su due non mangia in refettorio. Si passa da una media del 33% al nord a picchi di oltre l’80% in regioni come il Molise e la Sicilia.
Le caratteristiche del pasto ideale
Da un punto di vista teorico, ossia da linee di indirizzo del Ministero della Salute, il pasto ideale servito in mensa dovrebbe coprire il 35% del fabbisogno energetico medio dei piccoli. Per i bambini della materna, di 3-6 anni, questa percentuale significa circa 509 calore, per quelli della primaria, di 6-11 anni, 671 calorie e per i ragazzi della secondaria, di 11-13 anni, più o meno 864 calorie.
«Il modello di riferimento per comporre il pranzo è quello della dieta mediterranea», commenta il nutrizionista. «Ci dev’essere sempre verdura, meglio se fresca, sia come contorno che come ingrediente. Una porzione di cereali, quindi pane, pasta o riso. Un condimento a base di olio extravergine di oliva e una porzione di secondo, variando le fonti proteiche attraverso l’alternanza di carne, pesce, uova, legumi e formaggi nell’arco della settimana». Inoltre, le linee guida sottolineano l’importanza di limitare l’utilizzo del sale, preferendo quello iodato, di evitare il bis di primi e secondi e di incentivare il consumo di frutta fresca. Come snack mattutino o pomeridiano.
Qualità delle mense scolastiche: il cibo da casa
In tema di merende, ma anche di integrazione al pasto, un problema onnipresente è quello degli alimenti portati da casa, messi nello zaino da mamma o papà. «Dissuado totalmente dal farlo per quanto riguarda il pranzo, non solo perché va a inserirsi in un pasto già bilanciato, ma anche perché pone un problema dal punto di vista igienico-sanitario. Se, per esempio, viene conservato male o troppo a lungo al caldo nello zaino», osserva Donini.
«Per quanto riguarda la merenda vale lo stesso discorso se è fornita dalla scuola. Quando non lo è, suggerisco di portare un frutto, uno yogurt, una fetta di torta fatta in casa oppure una fetta di pane con un companatico dolce o salato, come marmellata o formaggio. Le merendine confezionate non sono sbagliate, ma il punto è che in passato nell’ora della ricreazione si giocava e si correva, mentre oggi i bambini sono molto più sedentari e quindi diventano ipercaloriche rispetto al loro stile di vita».
Di sedentarietà ed eccesso di calorie ai pasti molti genitori non si rendono conto. A tal proposito sono eloquenti altri dati provenienti dall’indagine nazionale Okkio alla Salute. Dall’ultima rilevazione emerge non solo che il 40,3% dei bambini obesi o in sovrappeso è percepito dalla propria mamma come sotto o normo peso, ma anche che quasi il 60% delle madri di bimbi fisicamente poco attivi ritiene che i propri figli svolgano un’attività fisica adeguata. Poco meno del 70%, invece, pensa che la quantità di cibo assunta dal proprio figlio non sia eccessiva.
Educazione alimentare nelle scuole
«La ristorazione scolastica è uno strumento prezioso. Ma l’educazione alimentare può arricchirlo. Non solo degli studenti, ma anche di insegnanti e genitori. La scuola deve diventare un laboratorio in cui sono coinvolti tutti», sostiene il nutrizionista. Secondo una ricerca di Food Education Italy, condotta col sostegno del ministero dell’Istruzione, l’educazione alimentare nelle scuole è diffusa su tutto il territorio nazionale, con una prevalenza al nord. Oltre alle iniziative realizzate individualmente dai docenti, nell’indagine si citano più di 90 progetti educativi proposti alle scuole da enti pubblici nazionali, locali e da soggetti privati. Uno dei più diffusi è “Frutta e verdure nelle scuole”, promosso dall’Unione europea per sensibilizzare i bambini al consumo stagionale di prodotti vegetali e al rispetto dell’ambiente.
Tuttavia, nonostante questi progetti, molti docenti coinvolti nella ricerca hanno fatto notare che spesso i cibi proposti nelle mense non sono sempre in linea con i principi trasmessi in classe. In alcuni casi sembrano addirittura controcorrente. E per molti di loro è spesso difficile intervenire nelle scelte fatte dalle società, perché il loro potere d’intervento è limitato. Le condizioni necessarie a rendere i menù scolastici di qualità coinvolgono quindi tanti attori e variabili.
«La funzione di controllo dei genitori e degli insegnanti è efficace. Sia se c’è una buona competenza sui temi dell’alimentazione da parte dei commissari mensa. Sia se il comune si apre a un dialogo costruttivo con l’utenza», conclude Claudia Paltrinieri di Foodinsider. «I casi più eclatanti, in questo senso, sono quelli di Bologna e Perugia che in passato hanno fatto pressioni ai comuni per migliorare il servizio e oggi sono parte del processo decisionale della mensa scolastica».