Prendete un manager del Nord Italia ed un manovale del Sud. Tranquilli: non è un reality e nemmeno una barzelletta piena di luoghi comuni. Prendete i due signori, dunque, e metteteli a sedere intorno ad un tavolo davanti allo stesso piatto di pasta fumante. Il primo probabilmente lo apprezzerà o forse lo sentirà un po’ troppo salato, mentre il secondo partirà alla disperata ricerca della saliera. Perchè? Perchè anche a tavola emergono le disuguagliaze socio-economiche che dividono il nostro Paese. Lo dimostra lo studio MINISAL condotto dall’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare/Health Examination Survey dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri-Fondazione per il Tuo Cuore (ANMCO-HCF).
La ricerca, pubblicata sul prestigioso British Medical Journal, ha valutato il consumo di sodio e potassio in un campione di quasi 4.000 italiani fra i 39 e i 79 anni. I risultati dimostrano che gli abitanti di Calabria, Basilicata, Puglia e Sicilia detengono il record del consumo di sale quotidiano, pari a circa 11 grammi, mentre in tutte le altre Regioni si usano quantità inferiori ai 10 grammi, che calano progressivamente man mano che ci spostiamo verso Nord.
Lo studio dimostra che queste differenze sono in larga misura attribuibili alle diseguaglianze socio-economico che attraversano le diverse aree geografiche del nostro Paese. In particolare, le persone occupate in lavori manuali presentano un consumo di sale decisamente maggiore di coloro che sono impegnati in ruoli amministrativi e manageriali; così pure avviene, in relazione al grado di istruzione, per coloro che hanno conseguito soltanto il diploma di scuola primaria rispetto ai possessori di un diploma di scuola secondaria o di un titolo universitario.
Il dato è estremamente importante da un punto di vista sanitario: a livello di popolazione, infatti, queste differenze nel consumo di sale si traducono in differenze nei valori pressori e nella tendenza allo sviluppo di ipertensione, con importanti conseguenze per la salute cardiovascolare. «Uno o due grammi di sale in più» spiega Pasquale Strazzullo, uno degli autori dello studio e professore ordinario di Medicina Interna e direttore dell’Unità di Medicina d’Urgenza e Ipertensione dell’Università degli Studi di Napoli Federico II «si traducono in alcuni millimetri di mercurio di differenza nei valori pressori medi della popolazione, e noi sappiamo da tanti studi che anche due-tre millimetri in più di pressione arteriosa distribuiti su una popolazione così vasta corrispondono a un maggior numero di eventi cardiovascolari acuti come l’infarto o l’ictus cerebrale».
«Questi dati ci fanno comprendere che le politiche di riduzione del consumo di sodio non possono limitarsi all’interazione con l’industria che pure è molto importante. Da diversi anni infatti, chiediamo al settore alimentare di ridurre il quantitativo di sale presente nei prodotti e questo negoziato inizia a dare dei buoni risultati; e non dimentichiamo anche i risultati positivi ottenuti grazie al protocollo che il Ministero della salute ha stipulato con i panificatori. Però i dati dello studio ci fanno capire che questo non basta: il messaggio sull’importanza di scelte di stili di vita salutari deve raggiungere anche queste persone, che, come dicevo, hanno un minor livello di istruzione e sono economicamente meno agiate. Scelte salutari che non riguardano solo il consumo di sale – sottolinea ancora Strazzullo – ma anche per esempio il consumo di zuccheri». E quale potrebbe essere una strategia efficace? «Ritengo che sia molto importante l’educazione scolastica: è più facile ottenere l’abitudine a un minor consumo di sodio a partire dall’età infantile. Mentre è molto più difficile indurre gli adulti a modificare il loro modo di mangiare e cambiare le loro abitudini» conclude Strazzullo.
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10/09/2015