Considerare l’obesità una malattia vera e propria. È questo il primo punto del position paper, un documento multidisciplinare scritto da un gruppo di esperti, consegnato al Ministero della Salute (Leggi qui il documento integrale). Tra gli altri punti la misurazione della circonferenza della vita dei pazienti da parte dei medici, utilizzare dei team multidisciplinari, inserire l’educazione alimentare tra le materie scolastiche, promuovere l’attività fisica e istituire le obesity unit.
Decina di migliaia di morti nel nostro Paese
Solo in Italia ci sono 57.000 morti all’anno per malattie legate all’obesità, che vogliono dire più di 1.000 morti ogni settimana e 1 persona ogni 10 minuti. Cosa ancora peggiore è una morte che arriva dopo anni di malattie spesso gravi.
A coordinare l’équipe che ha redatto il position paper il professor Michele Carruba, direttore del Centro di Studio e Ricerca sull’Obesità dell’Università Statale di Milano, in collaborazione con la Società Italiana Obesità (SIO), la Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità (SICOB), l’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI) e l’Associazione Amici Obesi Onlus.
Professor Carruba, perché vuole che l’obesità sia riconosciuta come una malattia?
Già l’Organizzazione della Sanità negli anni Sessanta l’ha definita come tale, perché esistono dei segni, dei sintomi, della sofferenza psicologica e soprattutto conosciamo l’eziopatogenesi, cioè i meccanismi attraverso i quali questa malattia diventa tale. È una malattia che può essere mortale. È una patologia epidemica. In Italia ci sono 20.000.000 di persone sovrappeso e 6.000.000 di obesi. Sono cresciuti negli ultimi cinque anni del 10 per cento.
Purtroppo finora l’obesità viene considerata soprattutto come un problema estetico che una vera e propria malattia. Ovviamente non si muore di obesità, ma di ictus, di malattie cardiovascolari, di cancro, ma pochi mettono in relazione i due eventi.
Come capire da soli se si è obesi?
Sicuramente la circonferenza della vita è il parametro che meglio descrive il rischio di mortalità delle persone. È una misurazione che tutti i medici dovrebbero fare. Si può fare anche a casa da soli: basta un metro da sarta. La circonferenza dev’essere inferiore agli 88 cm per le donne e a 102 cm per gli uomini. Chi è sopra deve preoccuparsi molto.
Nel documento chiedete che siano team multidisciplinari a occuparsi dei pazienti obesi. Perché?
Il servizio sanitario nazionale si deve prendere cura di queste persone, perché oltre a essere giusto ed etico fa risparmiare molti soldi. Se noi curiamo o preveniamo l’aggravarsi dell’obesità evitiamo tutta una serie di malattie: ad esempio l’88% dei casi di diabete è legato all’obesità, come il 55% dei casi di ipertensione, il 35% dei casi di cardiopatia ischemica e il 35% dei tumori. Se noi riducessimo anche di poco l’obesità risparmieremmo un mare di soldi, perché eviteremmo soprattutto le costosissime ospedalizzazioni.
Educazione alimentare nelle scuole. Perché?
È importante capire che lo stile di vita è determinante. Se vogliamo prevenire dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi a mangiare bene. Cosa che nessuno fa, neanche i genitori. Uno studio americano ha dimostrato che spendere un dollaro in prevenzione significa risparmiarne tre in cura delle malattie. Anche il movimento è importantissimo, perché nessuno fa più lavori pesanti, mentre i ragazzi non hanno più la possibilità di giocare in grandi spazi aperti come un tempo. Bisogna muoversi tutti i giorni. Se lo insegniamo ai bambini lo faranno per sempre. L’attività fisica dev’essere considerata come una medicina. Passare da un’attività sedentaria, cioè da 5.000 passi al giorno che sono quelli che facciamo per vivere, a un po’ di movimento in più, raggiungendo 10.000 passi al giorno, vuol dire ridurre la mortalità di quasi tre volte. Ma tutti vogliono la pillola magica.
Cos’è un obesity unit?
È un centro possibilmente regionale dove un paziente obeso trova un’équipe che possa occuparsene in toto. L’obeso ha molti problemi: diabete, colesterolo, malattie cardiovascolari, problemi di apnee notturne, osteoarticolari, disagio psicologico. Dobbiamo creare delle strutture in cui al centro c’è il paziente e i medici intorno.
Francesco Bianco
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