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Cibi di tendenza
Il sushi è light e il kebab fa ingrassare? Domanda che si pongono in molti visto che sempre più spesso questi piatti vengono preferiti a quelli della tradizione culinaria italiana, complici soprattutto il proliferare di locali etnici e street food, i prezzi stracciati e le nuove “tendenze” promosse da cuochi e blogger del settore.
Le tavole degli italiani (ma non solo) sono in continua evoluzione, tanto che da un decennio la National Restaurant Association degli Stati Uniti interroga più di un migliaio di chef sulle previsioni culinarie mondiali per l’anno successivo. Per il 2017, dunque, cosa dobbiamo aspettarci? Nulla di più rispetto a quanto già visto negli anni precedenti, se pur con qualche variazione: a farla da padrone saranno i sapori etnici, i semi e i cereali alternativi, il pesce crudo, le spezie e i nuovi condimenti.
In molti casi si tratta di mode transitorie, galvanizzate dalla continua ricerca di nuovi sapori e da credenze popolari (come, ad esempio, l’idea che il sushi sia light e non faccia ingrassare). Valeria Del Balzo (puoi chiederle un consulto qui), nutrizionista dell’Unità di Ricerca di Scienze dell’Alimentazione alla Sapienza Università di Roma, ci spiega quante calorie si “nascondono” in un piatto di sashimi o in un kebab, quali sono le quantità indicate per non far schizzare in avanti l’ago della bilancia, quali sono le proprietà e le controindicazioni di spezie e nuovi condimenti.
Sushi
Il sushi è entrato nell’immaginario collettivo come un piatto “light”, in grado di soddisfare il palato senza incidere più di tanto sulla linea. È davvero così? «Se prendiamo in considerazione la ricetta base, cioè quella che include solo riso, pesce e alghe, possiamo dire che il sushi ha effettivamente un numero ridotto di calorie: consumando i classici 6 pezzi arriviamo a 200/300 kcal. Per avere un pasto più bilanciato bisognerebbe consumare un contorno di verdure e della frutta per aumentare l’apporto di fibra, minerali e vitamine. La questione cambia se scegliamo pietanze con maionese, uova, frittura e salse particolari: in questi casi le calorie salgono sensibilmente (una porzione di tempura può superare le 500 kcal). Insomma, consumiamo pure questo gradevole piatto (anche una volta a settimana), purché non sia l’unico modello alimentare. Attenzione poi alle quantità e agli ingredienti più leggeri» chiarisce Del Balzo.
Sashimi
Il sashimi è un piatto tipico della cucina giapponese, che consiste nel solo pesce crudo. «Il pesce è ricco di omega-3, proteine, vitamine, fosforo e iodio e mangiandolo crudo abbiamo la certezza che i principi nutritivi non si disperdano in cottura. Il salmone è leggermente più grasso rispetto gli altri pesci: se ne mangiamo 100 g, siamo intorno alle 180 kcal. Per quanto riguarda il tonno, invece, raggiungiamo le 150 kcal e per il gambero siamo sulle 70 kcal (sempre per 100 g di parte edibile)» spiega la nutrizionista.
Nel caso del sashimi, però, il vero problema non sono le calorie ma il rischio di contrarre una tossicoinfezione alimentare. Se non vengono rispettate le norme igieniche, che prevedono un corretto abbattimento del pesce crudo, è possibile entrare in contatto con l’Anisakis, cioè una parassitosi che può infestare il pesce e causare disturbi anche gravi nell’uomo (ecco i consigli per mangiare crudo e molluschi in tutta sicurezza). Al di là dell’apporto di energia, è necessario quindi prestare attenzione alla qualità del prodotto venduto e al corretto trattamento igienico-sanitario. «A tal proposito, il mio consiglio è quello di diffidare dei ristoranti con formula all-you-can-eat con prezzi particolarmente stracciati: se con 10 euro si può mangiare tutto ciò che si vuole e al mercato il pesce costa 30 euro al kg, c’è sicuramente qualcosa che non va» suggerisce Del Balzo.
Salsa di soia
Usata per accompagnare i piatti tipici della cucina giapponese, come sushi e sashimi, la salsa di soia sta spopolando come condimento saporito e alternativo. «In questo caso il problema non sono le calorie (66 kcal per 100 g) quanto piuttosto il contenuto di sodio: basti pensare che la salsa di soia contiene mediamente 15 g di sale per 100 g di prodotto, risultando quindi molto salato. Alla lunga un apporto di sale di questo tipo può favorire disturbi come la ritenzione idrica e può contribuire all’insorgenza di problemi più seri come l’ipertensione» spiega la professoressa.
Alghe
«Le alghe sono ricche di acqua, iodio, vitamine, alcuni minerali e clorofilla, che è un ottimo antiossidante e fonte di magnesio. Ma quante alghe dobbiamo mangiare per avere un apporto adeguato di nutrienti? La quantità di alghe sarebbe veramente eccessiva per avere un’adeguata quantità di nutrienti rispetto ad altri alimenti della nostra tradizione. Attenzione, però: chi ha problemi di tiroide dovrebbe andarci particolarmente cauto a causa dell’alto quantitativo di iodio» ammonisce Del Balzo. Per conoscere meglio questo alimento, cliccate qui.
Hamburger
Complici i fast food e gli street food, anche gli hamburger sono sempre più gettonati, specialmente dalle nuove generazioni. «Se uniamo carne bovina, pancetta, maionese o ketchup, e vegetali, arriviamo a 450/500 kcal. Sicuramente c’è un apporto di grassi molto elevato (dato soprattutto dalle salse e dai salumi) ma questo piatto made in Usa non va demonizzato: bisogna scegliere l’hamburger meno farcito e diradare le frequenze di consumo» consiglia la nutrizionista.
Kebab
Discorso analogo anche per il kebab, il piatto tipico della tradizione araba. Anche se non c’è la maionese (che è una sostanza altamente deperibile inutilizzata nei Paesi caldi), troviamo salse piccanti e salse a base di yogurt che sono molto caloriche. Anche in questo caso, il problema non è la carne ma l’aggiunta di condimenti grassi che modificano la composizione finale. Con un kebab di 100 g superiamo le 300 kcal.
Bacche di Goji
Anche se recentemente vengono osannate e considerate la panacea di tutti i mali, esistono pochissimi studi sugli effetti benefici delle bacche di Goji. «Contengono degli antiossidanti, come la zeaxantina importante nella protezione della macula oculare, ma nulla di più rispetto a frutta e verdura che mangiamo normalmente. Inoltre, bisogna prestare attenzione perché queste bacche sono anche ricche di betaina, una sostanza che può provocare nausea e vomito se utilizzata male e in eccesso» spiega Del Balzo.
Curcuma e zenzero
La curcuma e lo zenzero sono sempre più utilizzati dagli italiani per insaporire le loro pietanze, anche grazie al fatto che sono considerati dei veri e propri alleati dell’organismo. «Entrambi sono ricchi di minerali e vitamine ma per apportare reali benefici sull’uomo bisognerebbe consumarne almeno 100 g al giorno. Ma vi immaginate un piatto di carne con questa quantità di spezie? Sarebbe immangiabile. La curcumina, che è il principale componente della curcuma, è un ottimo antinfiammatorio e antiossidante naturale, in grado di aiutare anche la digestione; alla lunga, però, la curcuma può dare nausea, formazione di ulcere e dissenteria» commenta la professoressa. E se volete una ricetta gustosa a base di curcuma, cliccate qui.
«Lo zenzero, invece, migliora le funzioni gastriche, elimina la nausea e apre le vie respiratorie soprattutto quando si ha il raffreddore (qui trovate il consiglio per usarlo nel modo giusto); tuttavia può scatenare allergie e calcolosi biliari, può interferire con l’ipertensione e non può essere utilizzato nel caso in cui si assumano farmaci antinfiammatori e anticoagulanti» afferma Valeria Del Balzo.
Stevia
La stevia è una pianta utilizzata come dolcificante e spesso proprio come sostituta dello zucchero. «È stata approvata dalla Comunità Europea, dall’Oms e dalla Fao e la dose giornaliera stabilita è di 2 mg per chilogrammo di peso corporeo. Questo quantitativo è circa 200 volte inferiore rispetto a quello che potrebbe provocare effetti avversi sulla salute dell’uomo: la stevia, infatti, è comunque considerata genotossica, cioè in grado di alterare il materiale genetico delle cellule del Dna. Inoltre la stevia ha un potere dolcificante tra 100 e 300 volte superiore allo zucchero. Quest’ultimo, comunque, serve all’organismo: ogni giorno abbiamo infatti bisogno di 160 g di glucosio per il funzionamento del nostro cervello per la sintesi dei globuli rossi. Due cucchiaini di zucchero al giorno, quindi, sono accettabili» conclude la professoressa.
Kamut e quinoa
«Il kamut è un grano molto antico e la sua coltivazione è stata coperta da un brevetto negli anni Settanta in Montana. Ha le stesse caratteristiche dei nostri grani: contiene acqua, minerali, proteine, fibre, vitamine, zuccheri e amido. Può essere consumato tranquillamente e non vi è alcuna controindicazione. La quinoa, invece, non è un cereale ma botanicamente appartiene alla famiglia degli spinaci. È ricca di antiossidanti, amido, fibre e proteine. Chi soffre di calcoli renali dovrebbe consumarla con moderazione perché gli ossalati, cioè sostanze presenti in essa, potrebbero aggravare la patologia» conclude Del Balzo.
Chiara Caretoni
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