Il latte è scaduto da due giorni. Buttarlo o non buttarlo, questo è il problema. È più rischioso per la salute (causa batteri) mangiare il cibo scaduto o è più oltraggioso per il nostro portafoglio farlo finire nell’immondizia? Un dilemma che ci troviamo ad affrontare tante volte a porta di frigorifero aperta, anche se non siamo un popolo di spreconi.
Secondo una ricerca dell’Osservatorio nazionale sulle eccedenze, sui recuperi e sullo spreco di cibo, in Italia gettiamo via in media 370 grammi di cibo a famiglia a settimana. In prima fila gli alimenti maggiormente deperibili: verdura, frutta fresca e pane, seguiti a distanza da pasta, patate, uova, budini e derivati del latte. Meno degli spagnoli (534 grammi) e dei tedeschi (425), sulla stessa linea degli olandesi (365). Ma si può ancora migliorare, imparando a interpretare correttamente le indicazioni contenute nelle etichette.
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Cibo scaduto e carica batterica
Gli alimenti, infatti, sono «vivi» e, quindi, soggetti all’invecchiamento, cioè al deterioramento. «In funzione delle loro caratteristiche specifiche di prodotti vegetali o animali», spiega Vania Patrone, docente di microbiologia degli alimenti e ricercatrice del dipartimento di scienze e tecnologie alimentari per una filiera agro-alimentare sostenibile dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (sede di Piacenza), «tutti i cibi, dal momento della “raccolta” fino a quello della consumazione, passando attraverso la lavorazione e la conservazione, sono suscettibili di una serie di trasformazioni legate alle condizioni ambientali in cui si trovano e all’azione dei batteri, che sono ubiquitari». Cioè non solo esterni, ma «parte della normale flora batterica di un alimento. Tuttavia, se si moltiplicano in eccesso, lo rendono inadatto e sgradevole al consumo umano», interviene Patrizia Laurenti, professore associato di igiene e medicina preventiva presso la facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
A favorire la proliferazione batterica, agenti patogeni compresi, sono soprattutto l’elevato contenuto in acqua dei cibi e il fatto che questi ultimi abbiano un pH prossimo alla neutralità (tra 6,5 e 7,5). Quindi né troppo acido né troppo basico. La massima attenzione, perciò, va soprattutto prestata a latte, carne, uova e pesce. A influire sono, però, anche fattori esterni come temperatura e atmosfera. I batteri possono raddoppiare in maniera continua ogni 20-30 minuti se il prodotto viene conservato per lungo tempo tra i 4 e i 60 gradi centigradi, con condizioni ottimali tra i 20 e i 45 gradi. Aumento che, invece, subisce un rallentamento tra gli 0 e i 4 gradi e viene inibito sotto i -10 e sopra i 60. La presenza o meno di ossigeno e anidride carbonica agevola, invece, la crescita di alcune specie a discapito di altre.
Data di scadenza: «da consumarsi entro»
Per gli alimenti rapidamente deperibili dal punto di vista microbiologico è stabilita la data di scadenza, sulle etichette indicata dalla dicitura «da consumarsi entro». È un termine che deve essere rispettato a partire da chi commercializza i prodotti (è vietato dalla legge mettere in vendita quelli scaduti) e anche dai consumatori, a partire dalle due categorie più fragili della popolazione, bambini e anziani.
«Se contaminati da agenti patogeni, i cibi scaduti potrebbero essere pericolosi per la salute», sottolinea l’igienista. «Un conto è, comunque, che il consumo di prodotti alterati avvenga una tantum, un conto che sia un’abitudine. Nel primo caso di solito non si presentano problemi, mentre l’esposizione prolungata nel tempo ai citati batteri è rischiosa». I danni da contaminazione da microrganismi, precisa la microbiologa, «possono essere di varia entità e gravità a seconda del genere di alimento e dal processo di lavorazione e dal tipo di conservazione a cui è stato sottoposto».
Tuttavia Patrizia Laurenti non esclude la possibilità di essere elastici, almeno in certi casi. «Non è detto che si debba buttare via l’alimento il giorno stesso della scadenza. Si può mangiare ancora uno o due giorni dopo, purché sia stato correttamente conservato e non siano visibili alterazioni del colore, dell’odore o anche del contenitore, come rigonfiamenti o rotture. Ed è sempre valida la prova organolettica. Se all’assaggio il cibo risulta avere un sapore sgradevole, non è opportuno consumarlo». La cottura ad alta temperatura è, comunque, un buon metodo per ridurre la contaminazione microbica. Ma, suggerisce Vania Patrone, la prevenzione migliore consiste nel prestare molta attenzione all’organizzazione del frigorifero. «Cercate di far sì che i prodotti a scadenza più vicina siano anche quelli più immediatamente visibili, in primo piano sugli scaffali».
Data di scadenza: «da consumarsi preferibilmente entro»
Per i cibi «secchi», il cui deterioramento è molto più lento, è previsto, invece, il termine minimo di conservazione (Tmc), con la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro il/fine», in cui occorre l’indicazione del giorno e del mese se il prodotto è conservabile per meno di tre mesi; del mese e dell’anno se per più di tre mesi ma non oltre 18; del solo anno se per più di 18 mesi.
In questo caso la data indica il limite entro il quale il prodotto, ovviamente in adeguate condizioni di conservazione, conserva inalterate le sue specifiche caratteristiche nutrizionali e organolettiche, le quali andranno, poi, incontro a un progressivo decadimento, pur restando l’alimento commestibile e sicuro dal punto di vista igienico-sanitario. In poche parole, conferma l’igienista, «questa categoria di alimenti può finire sulla nostra tavola ancora per svariati mesi oltre il Tmc, sempre a patto che siano stati custoditi in luoghi freschi e asciutti, al riparo dalla luce, in una confezione integra e non vi siano le cosiddette farfalline del cibo o camole della farina».
I cibi senza data di scadenza
Infine vi sono alimenti per cui non è previsto neppure il Tmc. Li elenca il regolamento europeo 1169/2011 e si va dallo zucchero al sale, dall’aceto alle gomme da masticare, dai prodotti di confetteria (zuccheri aromatizzati e/o colorati) a quelli di panetteria o pasticceria (si consumano normalmente entro le 24 ore dalla produzione), dal vino alle altre bevande alcoliche per finire agli ortofrutticoli freschi, patate comprese, che non sono stati sbucciati o tagliati o che non hanno subito trattamenti analoghi. Ma la legge non prevede date di scadenza nemmeno per il pesce e la carne freschi, che devono essere consumati velocemente pena una elevata perdita delle caratteristiche organolettiche.
Cibo scaduto: i consigli alimento per alimento
Ecco di seguito i consigli delle nostre esperte su come comportarsi riguardo alle scadenze dei principali alimenti. A patto che, come spiegato sopra, siano conservati correttamente e che vengano promossi alla prova organolettica.
Latte
Se non ha un cattivo odore, il latte può essere consumato anche oltre la data di scadenza?
Parzialmente vero. «Per chi è in buona salute nessun problema, ma per una persona immunodepressa, in chemioterapia antitumorale o per un bambino o un anziano è da evitare» avverte Laurenti. «Il latte», continua infatti Vania Patrone, «è un alimento particolarmente delicato in quanto di origine animale. Presenta sempre una carica microbica, talvolta anche dai livelli piuttosto elevati, che dipende dalle condizioni igieniche della vacca, della mungitura e del trasporto».
Per quello fresco pastorizzato è prevista una scadenza a sei giorni. Patrizia Laurenti concede una proroga massima «di uno o due giorni. Da scaduto non diventa velenoso, ma è acido, quindi sgradevole. Siccome è anche portatore di flora microbica non fisiologica, può provocare mal di pancia o dismicrobismo intestinale (vomito e diarrea)».
Se la bevanda ha, invece, subito un trattamento termico più incisivo, come lo UHT (Ultra High Temperature), la contaminazione microbica è ridotta drasticamente. E allora si ha un Tmc di 90 giorni, dopo il quale può ancora essere consumato per sei mesi.
Yogurt
Lo yogurt può durare fino a sei settimane oltre la data di scadenza e, nel caso di muffa in superficie, basta rimuovere lo strato e mangiare ciò che c’è sotto? Falso. Le muffe, prosegue l’igienista, «sono metabolicamente attive e quindi possono produrre tossine, alcune liposolubili che si sciolgono nel grasso del latte dello yogurt. In più, alcune micotossine sono cancerogene per il fegato».
«Grazie al suo pH acido, caratterizzato del resto dalla presenza di batteri benefici (lattobacilli), ha una conservabilità maggiore rispetto al latte. Ma non va mangiato oltre una settimana dalla data di scadenza».
Formaggi
Se appare muffa sui formaggi duri o stagionati basta eliminarla con un coltello? Vero e Falso, «perché in genere sono muffe buone e non patogene come quelle del gorgonzola, però possono alterare il sapore e nel caso siano contaminati dall’ambiente, possono essere tossiche» specifica Laurenti. Da evitare tassativamente, invece, se compaiono sui formaggi molli.
Anche tra i formaggi, infatti, a fare la differenza è il contenuto di acqua. Quelli che ne hanno meno, cioè gli stagionati, sono molto meno a rischio di contaminazione batterica di quelli freschi, come mozzarella, stracchino e robiola, il cui consumo, «non può andare oltre i due o tre giorni dalla scadenza».
Il pericolo si chiama Listeria monocytogenes. «Un batterio altamente patogeno per l’uomo anche a bassi livelli», precisa Vania Patrone, «e che, a differenza della salmonella, si può moltiplicare anche se l’alimento è sottoposto alle temperature di refrigerazione. Per un adulto sano non è mortale, ma può esserlo per un bambino o un anziano».
Uova
Le uova se affondano nell’acqua dopo la data di scadenza sono buone, altrimenti è meglio scartarle?
Vero. Nel caso dell’uovo «i fenomeni di alterazione investono le proteine e i grassi, di cui il tuorlo è ricco» conferma Patrizia Laurenti.
Per le uova, in quanto protette esternamente dal guscio, è previsto un Tmc di 28 giorni. «Sarebbe preferibile consumarle entro tale tempo», suggerisce la microbiologa Patrone, «ma, se conservate in frigorifero, il limite è oltrepassabile di una settimana, avendo, però, cura di mangiarle solo dopo averle cotte.
Il rischio per la salute che presentano è legato alla Salmonella, un batterio che può sopravvivere anche nel frigo» e che provoca febbre, dolore addominale, nausea, vomito e diarrea.
Carne
«Una fettina di carne cruda», dice l’igienista, «può essere consumata al massimo dopo cinque o sei giorni dalla scadenza. Mentre, se è macinata, non si deve andare oltre i due giorni e bisogna avere sempre l’accortezza di cuocerla. La tartare, in questo caso, è assolutamente vietata».
Tra gli affettati freschi sono «più sicuri i crudi, mentre per i cotti, che hanno subito una manipolazione, non bisogna superare i due-tre giorni». Per quelli in vaschetta il Manuale di Caritas e Banco Alimentare consiglia di non valicare un mese dal Tmc. A mangiare prodotti alterati il rischio è di contrarre tossinfezioni che causano dolore addominale, diarrea, nausea e vomito.
Frutta e verdura
Le alterazioni di frutta e verdura hanno il vantaggio di essere ben visibili a occhio nudo. «Marciscono o ammuffiscono», fa notare l’igienista. «Finché non compaiono tali fenomeni possono essere consumate dopo averle lavate bene. Per esempio, l’insalata va sciacquata due o tre volte, mentre la frutta dev’essere passata sotto acqua corrente. Togliere la sola parte marcita o ammuffita presenta, poi, meno pericoli che nel caso dei formaggi, a meno che non si tratti di frutta secca, noci e nocciole, che, causa il loro alto contenuto in grassi, vanno buttate».
Pesce
Sul pesce fa fede il detto che lo paragona all’ospite: dopo tre giorni puzza. Lo conferma anche Patrizia Laurenti. «Sì, mai superare i due o tre giorni dalla scadenza. I rischi maggiori sono associati all’Anisakis». È un parassita che viene ingerito dall’uomo sotto forma di larva. Può causare dolori a stomaco e addome, nausea, vomito, diarrea. Fino a complicazioni come le occlusioni intestinali, che possono richiedere l’intervento chirurgico.
Inoltre, «più passa il tempo e più aumenta il contenuto in sostanze che possono scatenare reazioni che sembrano allergiche e che, invece, sono tossiche. Resta il fatto che nel caso del pesce crudo è d’obbligo l’abbattimento. La surgelazione, infatti, è imposta per legge ad aziende e ristoranti e sarebbe utile anche nel caso lo si prepari in casa. Per esempio, se acquistate il salmone crudo, bisogna metterlo per 96 ore nel congelatore».
Pasta, riso, farine e prodotti da forno
Grazie al loro basso contenuto di acqua, vanno incontro a una perdita di caratteristiche organolettiche ma non diventano pericolosi per la salute. Se si nota la presenza di piccole larve o insetti meglio evitare il consumo anche se non esiste un rischio di tossicità. L’intervallo di consumo consigliato dopo il Tmc è di uno o due mesi.
Tuttavia, tenere sempre osservati questi prodotti. «Essendo dei cereali o a base di cereali possono essere soggetti a contaminazioni (batteriche o di insetti) che rimangono invisibili fino al termine minimo di conservazione, ma potrebbero essere evidenti dopo».
Conserve, confetture e salse
Il botulino, una spora anaerobia che può portare alla paralisi neurale, è il rischio associato a conserve e confetture, che, quindi, vanno consumate entro uno o due mesi dopo il Tmc. Ma in genere questi prodotti sono sicuri. «Le marmellate e i sughi per la pasta hanno pH acido», spiega Patrizia Laurenti. «Quindi poco predisposto alla proliferazione batterica. Se c’è un ammuffimento, il fatto che non siano ricche di grassi dà la possibilità di eliminare solamente la parte interessata e almeno un centimetro di quella sottostante». Le creme, come maionese e ketchup, invece, sono meno resistenti. Il loro margine di consumo dopo la data di scadenza non deve oltrepassare i due giorni.
Surgelati
Per i prodotti surgelati ancora il Manuale di Caritas e Banco Alimentare consiglia un consumo dopo uno o due mesi dal Tmc. Perché, nonostante il trattamento a -18 gradi blocchi i processi che portano al deperimento, in realtà resiste una minima attività enzimatica che piano piano porta l’alimento a perdere di sapore.
Dallo scongelamento è, poi, opportuno portarlo in tavola non oltre i tre giorni Meglio ancora se tra le 24 e le 36 ore. Perché quando il ghiaccio torna a essere acqua il tessuto cellulare del prodotto diventa maggiormente soggetto a degradazione di uno fresco. Il fatto di ricongelare e scongelare più volte un cibo aumenta, invece, il rischio di un’intossicazione. Soprattutto se l’alimento così trattato viene mangiato crudo, e impoverisce il valore nutritivo del medesimo. Nel caso si debba proprio ricongelarlo, è assolutamente consigliabile cucinarlo prima di rimetterlo in freezer.
Bibite gassate
Le bibite analcoliche gassate con zucchero hanno una composizione in termini di acidi, CO2 e conservanti che ne garantisce una lunga conservabilità e l’utilizzo sicuramente qualche mese dopo il Tmc. Fintanto che le bottiglie/lattine sono ben tappate l’effervescenza non dovrebbe perdersi più di tanto. Perché dipende dalla pressione e, quindi, dalla tenuta della lattina/bottiglia. Molto importante, però, devono essere tenute lontane da fonti di luce diretta. Soprattutto quella solare, e di calore, che determina alterazioni nel sapore e nel colore e la possibile contaminazione da microplastiche se il contenitore è di plastica.