Farmaci, psicoterapia, fisioterapia, meditazione. E se a queste strategie per combattere il dolore aggiungessimo una dieta sana? Un numero sempre maggiore di studi suggerisce che un’alimentazione ricca di cibi antiossidanti e antinfiammatori potrebbe contribuire alla riduzione del dolore cronico, di cui soffrono circa 16 milioni di persone in Italia. D’altra parte, un’alimentazione scorretta può contribuire ad accentuarlo.
«Quando parliamo di dolore cronico ci riferiamo a una vera e propria patologia, che può colpire pazienti di ogni età ed essere molto invalidante», spiega Giuliano De Carolis, specialista in anestesia e terapia del dolore e dirigente medico presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana. «Le patologie del rachide (il classico mal di schiena), per esempio, colpiscono in particolar modo le persone in età lavorativa, e hanno quindi anche un impatto economico, per l’individuo e per la società».
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Quali patologie possono scatenare il dolore cronico?
A scatenare il dolore cronico è spesso una patologia: le più frequenti sono il mal di schiena, la neuropatia diabetica, una complicanza dolorosa del diabete mellito a carico dei nervi periferici, oppure la nevralgia post-erpetica, una conseguenza frequente dell’infezione da herpes zoster, meglio conosciuta come fuoco di sant’Antonio, caratterizzata da una forte sofferenza neuropatica. Anche in seguito a un’operazione (all’anca o al ginocchio, per esempio) può insorgere un dolore neuropatico, in questi casi detto post-chirurgico.
«Non dimentichiamo l’obesità, che è un importante fattore di rischio anche per il dolore cronico poiché l’accumulo di grasso nelle cellule adipose porta a un aumento del processo infiammatorio», osserva l’esperto. Trattare fitte che si cronicizzano può essere complesso. «Principalmente si ricorre a terapie farmacologiche e in alcuni casi viene richiesto anche un supporto psicologico, poiché il dolore cronico ha un impatto importante sulla qualità della vita dei pazienti e può causare ansia e depressione», continua De Carolis. «Da anni noi specialisti del dolore poniamo un’attenzione sempre maggiore agli interventi comportamentali e a tutte le abitudini per un corretto stile di vita che possono influenzare la percezione del dolore».
Il digiuno saltuario potrebbe ridurre il dolore cronico
L’alimentazione è una di queste. In occasione del Congresso FederDolore della Società italiana clinici del dolore (Sicd), tenutosi a Bologna lo scorso settembre, sono stati presentati studi sulla relazione tra dolore cronico, stili di vita e alimentazione. Tra questi una ricerca italiana, ancora in corso, sull’effetto di particolari regimi dietetici e del digiuno. Lo studio suggerisce che, nei topi, una molecola prodotta dall’organismo in seguito a un digiuno prolungato (si chiama beta-idrossibutirrato), possa ridurre il dolore cronico. I ricercatori stanno cercando di capire se questo accade anche negli esseri umani e quindi se i pazienti affetti da dolore neuropatico possano beneficiare di periodi di digiuno.
Una piramide alimentare efficace contro il dolore cronico
Ma cosa sappiamo sugli alimenti che possono ridurre o favorire il dolore? Quali sono i cibi più adatti per chi soffre di dolore cronico e in che quantità e con quale frequenza dovrebbero essere consumati? Per rispondere a queste domande Mariangela Rondanelli, specialista in scienza dell’alimentazione, professore in scienze e tecniche dietetiche applicate presso l’Università di Pavia, e i suoi colleghi hanno analizzato 172 studi scientifici sulla relazione tra alimentazione e dolore cronico e, sulla base dei risultati, hanno messo a punto una piramide alimentare che può servire da guida per i pazienti.
«Nella letteratura scientifica sono presenti molti lavori che dimostrano come una situazione di elevata infiammazione, associata a una situazione in cui nell’organismo la realtà ossidante predomina su quella antiossidante, rappresenti una causa del dolore cronico. Molti alimenti hanno una dimostrata attività antinfiammatoria e antiossidante, mentre altri hanno attività pro-infiammatoria e pro-ossidante e quindi dovrebbero essere evitati», fa sapere la nutrizionista. «Una dieta sana può anche favorire il corretto metabolismo degli antidolorifici», riprende De Carolis. «Questo perché se mangiamo in modo corretto ed evitiamo l’abuso di alcol, il nostro fegato non è stressato e può metabolizzare facilmente i farmaci». La piramide alimentare ottenuta, somiglia molto alla piramide mediterranea che, come ricorda l’esperta, resta il punto di riferimento per una sana alimentazione. I ricercatori specificano le quantità degli alimenti da consumare e spiegano perché possono contribuire a contrastare il dolore cronico.
I cibi anti-dolore
«Alla base della nostra piramide abbiamo inserito l’acqua», sottolinea Rondanelli. «Bisognerebbe berne almeno due litri al giorno perché un paziente ben idratato risponde meglio alla fisioterapia e soffre meno. Poi naturalmente indichiamo frutta e verdura, che sono ricchissime di antiossidanti, e i cereali a basso indice glicemico, come pane, riso o pasta integrali (consigliamo tre porzioni al giorno). Questo perché è stato studiato che, nei pazienti che presentano alti livelli infiammatori e soffrono di dolori cronici, il consumo di cereali integrali, ma anche di legumi (di cui suggeriamo quattro porzioni a settimana) è in grado di ridurre l’infiammazione. Inoltre, i cereali a basso indice glicemico, i legumi, la verdura e la frutta, che andrebbe possibilmente mangiata con la buccia, contengono un alto contenuto di fibre, le quali favoriscono il transito intestinale e aiutano a combattere la stitichezza causata dagli oppiacei assunti per il dolore».
La frutta secca ha un’attività antinfiammatoria e infatti i ricercatori consigliano di consumarne 30 grammi al giorno (la quantità che grossomodo sta in una mano), mentre lo yogurt (un vasetto al giorno) favorisce il benessere della flora intestinale, quindi dei microrganismi che vivono nell’apparato digerente e che, comunicando col cervello, possono favorire la produzione di neurotrasmettitori, molecole che mediano la comunicazione tra neuroni, importanti per il controllo del dolore.
Sì a vitamina D, vitamina B12, acidi grassi Omega 3 e fibre
«All’interno della piramide alimentare abbiamo aggiunto una bandierina che rappresenta gli integratori di vitamina D, vitamina B12, acidi grassi Omega 3 e fibre», riprende la nutrizionista. «L’integrazione è consigliata naturalmente per quei pazienti affetti da dolore cronico che presentano bassi livelli ematici di queste vitamine, che consumano poche fibre o poco pesce e quindi non assumono abbastanza Omega 3».
Attenzione a carni rosse, dolci e cereali raffinati
Carne rossa, dolci e cereali raffinati, invece, si trovano come nello schema mediterraneo in cima alla piramide, e quindi sarebbero da consumare saltuariamente, in quanto cibi pro-infiammatori e pro-ossidanti.
Mal di testa: ecco i cibi che lo possono scatenare
In tema di dolore quello che colpisce la testa è uno dei più diffusi. E spesso ciò che si è mangiato diventa un capro espiatorio. Il cibo, di per sé, non rientra tra le cause, ma in individui geneticamente predisposti alcuni alimenti possono fungere da fattore scatenante di un singolo attacco di emicrania. «Accade più comunemente con i formaggi stagionati, le bevande alcoliche (per alcuni il vino o la birra, per altri i superalcolici), il cioccolato, gli agrumi o i cibi ricchi di glutammato, molto usato nella cucina asiatica, tant’è che si parla di mal di testa da ristorante cinese», spiega il neurologo Gianluca Coppola, ricercatore presso il Polo Pontino della Università Sapienza di Roma.
Il ruolo della caffeina nell’insorgenza del mal di testa, invece, è controverso. Secondo alcuni studi l’eccesso di caffeina può provocare cefalea e contribuire alla cronicizzazione del mal di testa, mentre secondo altri il trigger non è la caffeina in sé ma un’assunzione non costante (una tazzina di caffè un giorno, quattro il giorno successivo e così via). Altre persone ancora sperimentano un’astinenza da caffeina, per cui senza l’espresso mattutino iniziano a soffrire di mal di testa.
Coppola tiene a precisare che la natura dei fattori scatenanti è estremamente soggettiva: «In alcuni pazienti un attacco di emicrania può essere innescato da una singola marca di birra e da nessun altro alcolico, in altri dalla frutta. Ho avuto un paziente per cui il fattore scatenante era il cocomero. Il punto è che solo il paziente può individuare i propri trigger, non il medico, e che spesso un alimento trigger diventa tale solo quando assunto in determinate quantità. Anche perché l’assunzione sistematica di un cibo che causa mal di testa potrebbe portare alla cronicizzazione della cefalea».
Vitamina A e B e coenzima Q10 proteggono dal mal di testa
Dall’altra parte alcuni dei cibi che possono scatenare cefalea possono anche proteggere dagli attacchi. «Alcune vitamine, come la A e la B contenute negli agrumi, per esempio, possono contribuire alla prevenzione dell’emicrania. Studi controllati hanno mostrato che un surplus di alcune vitamine, in particolare la B2 (nota anche come riboflavina, presente nel latte e nelle uova), e di coenzima Q10 (una molecola fondamentale per il funzionamento delle cellule), possono diventare un trattamento di prevenzione del mal di testa», conclude Coppola. «Ma perché possano risultare efficaci nella cura dell’emicrania servono dosaggi molto elevati di queste due molecole, che non possono essere assunti con la dieta, bensì integrati attraverso specifiche preparazioni galeniche, create dal farmacista su richiesta dello specialista». Coppola conclude sottolineando che anche il saltare i pasti e la disidratazione sono tra le cause scatenanti dell’emicrania.