Metti un tramonto d’estate in riva al mare in giusta compagnia, con la sabbia a trasmettere al corpo il tepore della giornata che si avvia a conclusione, mentre si chiacchiera e si sorseggia a fior di labbra un fresco cocktail alla frutta. Insomma, un inizio serata perfetto, premonitore di una notte altrettanto interessante, salvo, poi, passarla a fare la spola tra letto e gabinetto. Sì, perché a volte il pericolo si annida dove meno uno se lo aspetta. In questo caso nei cubetti di ghiaccio impiegati per preparare il cocktail. Nei Paesi anglosassoni, Stati Uniti in testa, e in Spagna l’industria del ghiaccio alimentare confezionato è attiva da decenni, mentre in Italia è un mercato ancora agli albori (nel 2015 il giro d’affari veniva stimato sui 3 milioni di euro contro i 140 iberici) ma in forte espansione.
Il congelamento non distrugge batteri e virus
Una sorpresa per molti, vista l’opinione comune secondo la quale il processo di congelamento distrugge tutti i batteri e virus. Niente di più falso: gli agenti patogeni sono in grado di sopravvivere nel ghiaccio per ricostituirsi durante le fasi di scongelamento e moltiplicarsi. Per questo, sottolinea Giuseppe Plutino della Direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti del ministero della Salute, «il ghiaccio rappresenta all’interno del panorama alimentare uno dei cicli produttivi più a rischio».
Cubetti di ghiaccio e contaminazione: una normativa carente
Da anni ormai l’Istituto nazionale ghiaccio alimentare (Inga) ha lanciato l’allarme, anche in considerazione del fatto che il ghiaccio oggi è sempre più utilizzato in ambito alimentare, non solo nel confezionamento dei drink ma anche nel raffreddamento delle bevande, nella
presentazione dei cibi negli esercizi commerciali e nella conservazione del pesce dalla cattura fino alla vendita. «Fino a un recente passato lo si è considerato un semplice strumento per raffreddare e non un alimento, quale in realtà è», spiega il presidente dell’ente, Carlo Stucchi. «E purtroppo ancora oggi, nonostante un miglioramento della situazione, quasi un operatore su due del settore turistico-ricettivo non lo produce correttamente, senza parlare delle pescherie».
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Ecco il Manuale per produrlo correttamente
Una mancanza di sicurezza dovuta anche al fatto che sul piano legislativo esiste un vuoto in attesa di essere colmato. «Un primo, importante passo», prosegue Stucchi, «è stato fatto nel 2015 con la realizzazione del Manuale di corretta prassi operativa per la produzione di ghiaccio alimentare, subito approvato dal ministero della Salute, e ora portato anche a Bruxelles, perché a livello di Unione Europea non esiste niente di simile». In Italia, invece, arriverà prossimamente sul tavolo della Conferenza Stato-Regioni il piano di controllo sul ghiaccio alimentare elaborato dalla Sicilia, unica Regione a essersi occupata finora della questione.
Il rischio di contaminazione
Per ghiaccio alimentare, definisce il Manuale in questione, «si intende il ghiaccio preparato con acqua potabile, che alla fusione si trasforma in acqua avente le stesse caratteristiche microbiologiche e chimico-fisiche dell’acqua utilizzata per la sua produzione», la quale
avviene a livello sia industriale sia casalingo, ma anche e soprattutto in proprio, attraverso l’utilizzo di apposite macchine, da parte dei vari esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.
Si rischiano in genere problemi gastrointestinali
Tuttavia, se non si utilizza acqua destinata al consumo umano e/o non vengono rispettate le corrette prassi igieniche durante la produzione, lo stoccaggio e la manipolazione, il ghiaccio potrebbe subire l’assalto da parte di più agenti contaminanti, i quali a loro volta si trasferiranno, almeno parzialmente, soprattutto sui cibi con cui viene a contatto diretto a fini refrigerativi, il pesce su tutti, o dei quali diventa ingrediente, come nei casi dei cocktail e delle carni lavorate industrialmente. «Così, se s’ingerisce ghiaccio non “pulito”», interviene Stucchi, «si rischiano generalmente problemi gastrointestinali». In teoria potrebbero esserci strascichi sulla salute più gravi, evidenziati dal Manuale soprattutto nel caso di contaminazione da sostanze chimiche, ma sono molto rari.
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L’autoproduzione negli esercizi pubblici
«Il problema non è tanto l’acqua usata, che è quasi sempre potabile, quanto il fatto che molte volte le superfici e i filtri della macchina produttrice non vengono puliti e manutenuti con diligenza e con la necessaria frequenza e/o i contenitori dove sono stoccati i cubetti non sono adeguatamente puliti e protetti da agenti infettanti. Inoltre, capita che il barman immetta ghiaccio nel bicchiere con la mano nuda o con strumenti non accuratamente nettati, altre due importanti fonti di possibile contaminazione». Proprio al fine di aumentare la vigilanza sui cubetti Inga ha avviato un percorso di collaborazione con la Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe), che prevede, tra l’altro, una vetrofania con un logo «Qui è servito ghiaccio alimentare». Non ha dubbi Stucchi: «Bastano veramente piccole attenzioni per abbassare considerevolmente il rischio, ma serve un approccio di tipo culturale, il fare capire a tutti, appunto, che il ghiaccio è un alimento».
La soluzione industriale
Una buona soluzione sarebbe acquistare sacchetti di ghiaccio alimentare confezionato, prodotto a livello industriale. «Rispetto a quello delle macchinette o del congelatore di casa», conclude il presidente dell’Istituto nazionale ghiaccio alimentare, «è più sicuro e ha anche una maggiore capacità refrigerante e nel contempo si diluisce meno nei drink, in quanto viene prodotto a temperature più basse. Lo si trova in vendita nella grande distribuzione a costi accettabili, anche se il mercato resta assai variegato, con sette o otto realtà più strutturate a fronte di una miriade di piccoli produttori locali, che a volte, però, sono approssimativi nel seguire le corrette regole igieniche». È, allora, importante controllare che vi sia l’etichettatura prevista dalla legge per qualsiasi alimento confezionato.
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