Sebbene nella popolazione adulta presenti livelli di sovrappeso e obesità meno allarmanti rispetto ad altri Paesi europei, negli ultimi 30 anni l’Italia ha registrato un aumento dell’incidenza di queste due condizioni del 30%. In particolare, sono circa sei milioni gli italiani che, complici uno stile di vita scorretto, un’alimentazione non equilibrata, la sedentarietà e lo stress, possono essere considerati obesi. Si tratta di un dato in crescita costante, che assume una connotazione ancor più preoccupante se si considera che questa condizione è strettamente legata ad alcune patologie, come diabete, ipertensione, cardiopatie, problematiche articolari, apnee notturne e tumori.
In questo articolo
Quando si parla di obesità?
Ma quando si parla di obesità? Per definire questa condiziona bisogna analizzare innanzitutto l’indice di massa corporea (il cosiddetto BMI, body mass index in inglese), il parametro che consente di misurare in maniera accurata la distribuzione del grasso corporeo, dividendo il peso (misurato in chilogrammi) per l’altezza al quadrato (espressa in metri), cioè kg/m². Ad esempio: 62kg/1,70² = 21,45. Genericamente si parla di obesità quando il valore ottenuto supera 30 ma esistono diversi livelli di gravità. Con un BMI compreso tra 30 e 34,9 si ha un’obesità di primo grado, tra 35 e 39,9 di secondo grado e maggiore di 40 si ha un’obesità di terzo grado.
Quando dieta e farmaci falliscono, si ricorre alla chirurgia bariatrica
«La buona notizia è che l’obesità, ritenuta una malattia cronica a tutti gli effetti, può essere curata» interviene Stefano Olmi, Responsabile delle Unità Operative di Chirurgia Generale e Oncologica, del Centro di Chirurgia della parete addominale, del Centro di Chirurgia Laparoscopica avanzata e del Centro di Chirurgia dell’obesità del Policlinico San Marco di Zingonia, Bergamo (Gruppo San Donato), fiore all’occhiello della sanità italiana, invidiato anche all’estero. «Tuttavia può capitare che alcuni pazienti mostrino una certa resistenza ai trattamenti medici, farmacologici e dietologici, che sono sempre la prima opzione terapeutica, e che quindi sia necessario tentare altre strade per restituire un buono stato di salute all’individuo, specialmente in presenza di altre comorbidità. In questi casi la soluzione arriva dalla chirurgia bariatrica, che permette di ridurre drasticamente il peso della persona».
Chi può accedere alla chirurgia bariatrica?
A tal proposito è fondamentale affidarsi a centri d’eccellenza accreditati dalla Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità (SICOB), che possano prendere in carico il paziente attraverso un approccio multidisciplinare, all’insegna della professionalità e dell’affidabilità, e ne analizzino la storia clinica, i comportamenti alimentari, l’idoneità psicologica al fine di personalizzare il percorso terapeutico. «Comunque tendenzialmente i pazienti candidabili alla chirurgia bariatrica hanno un’età compresa tra i 18 e i 65 anni, sono affetti da obesità di secondo (con BMI tra 35 e 39,9) o terzo grado (con BMI superiore a 40) e hanno anche altre patologie croniche. In casi selezionati si può valutare la chirurgia bariatrica anche in pazienti con BMI tra 30 e 34,9 se diabetici» continua Olmi.
I diversi tipi di intervento
La chirurgia bariatrica include una varietà di procedure che promuovono, appunto, una perdita importante di peso. «I principali interventi, che noi eseguiamo al Policlinico San Marco, sono il bendaggio gastrico, la plicatura gastrica, il by-pass e il mini by-pass gastrico e la sleeve gastrectomy. Quest’ultima, che stando ai dati della SICOB relativi al 2019 è in assoluto l’operazione più praticata, consiste in una resezione gastrica verticale, cioè si asportano 4/5 dello stomaco, lungo la grande curvatura. Con la formazione di un nuovo tubulo gastrico si determina un minor introito di cibo: questo intervento, infatti, comporta una diminuzione della secrezione degli ormoni responsabili della fame e aumenta la produzione di quelli in grado di accrescere il senso di sazietà» spiega il professore.
L’innovazione del Policlinico San Marco: sleeve gastrectomy con plastica antireflusso
Secondo diversi studi condotti, però, numerosi pazienti sottoposti a sleeve sviluppano i sintomi tipici da reflusso gastroesofageo, cioè rigurgito acido, bruciori di stomaco, dolore o fastidio retrosternale, fino ad andare incontro, in alcuni casi, a un’esofagite di vario grado.
«Per ovviare a questo problema, con la mia equipe ho messo a punto una sleeve gastrectomy cui viene associata una plastica antireflusso, una pratica eseguita da oltre 50 anni nei pazienti con malattia da reflusso gastrico e che consente di ricostruire la valvola che supplisce la funzione dello sfintere esofageo. Unendo in un solo intervento le due tecniche si ottengono i risultati di una sleeve tradizionale, ossia la perdita di peso e il miglioramento delle patologie legate all’obesità, e si prevengono i sintomi di un potenziale reflusso e dei disturbi a esso associati. Oltre a questa, abbiamo ideato anche una sleeve gastrectomy modificata, una nuova tecnica che evita l’asportazione dello stomaco ed è completamente reversibile, cioè permette di riunire le due parti di stomaco separate» continua lo specialista.
Chirurgia bariatrica sempre più mini-invasiva
Il tipo di intervento viene stabilito dal team multidisciplinare a seconda del grado di obesità, delle patologie presenti e delle abitudini alimentari, prospettando a ciascun paziente un percorso personalizzato, con una chirurgia mirata. «Tutti gli interventi eseguiti al Policlinico San Marco sono effettuati con tecniche mini-invasive in laparoscopia, cioè attraverso quattro piccole incisioni (le dimensioni variano da 0,5 cm a 1 cm), che comportano un trauma addominale e un dolore post-operatorio minimi, tant’è che già il giorno dopo all’operazione il paziente può camminare ed essere autonomo. Il secondo giorno si eseguono gli accertamenti di controllo, come la radiografia del tubo digerente, per verificare che non siano subentrate eventuali complicanze, come sanguinamenti o fistole» prosegue Olmi.
Dieta e controlli post-operatori importanti per la buona riuscita del percorso
Tornato a casa, il paziente deve seguire scrupolosamente le indicazioni alimentari degli specialisti. «Nei primi 15 giorni si ricorre a una dieta liquida (brodi, pastine, passati di verdura, succhi di frutta, omogenizzati, yogurt, centrifugati), dopodiché si passa a una dieta morbida e poi libera. Per almeno 3 mesi l’individuo deve mangiare lentamente, con bocconi piccoli e ben masticati, e bere lontano dai pasti. I controlli post-operatori, importantissimi per la buona riuscita del percorso terapeutico e la sicurezza del paziente, si effettuano tendenzialmente ogni 3 mesi per un anno e successivamente con cadenza annuale» conclude il professore.