Della birra si pensa bene e male. C’è chi la considera adatta a un’alimentazione sana, chi colpevole di fargli venire la pancetta. Una birra piccola apporta circa 68 calorie, una media più o meno 136. «La pancia da birra è un luogo comune. Ma non c’è, invece, un legame causa-effetto. Le calorie che vanno nella pancetta sono quelle in più, ma non hanno la targhetta “birra”» spiega Andrea Ghiselli, presidente della Società italiana di scienze dell’alimentazione.
Il problema della media (o della piccola; ma è più spesso una media) è il modo in cui si consuma. «In genere se ne beve almeno una, spesso fuori pasto, davanti alla televisione o in compagnia di amici». Ecco, quindi, che quantità e calorie salgono e allora sì, anche la birra può contribuire all’aumento del girovita.
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Birra e nutrienti
Quelle degli alcolici sono calorie vuote. «Occupano lo spazio di altre calorie senza dare nutrienti» sottolinea l’esperto. Tra le bevande alcoliche la birra è tra quelle a minor contenuto di alcol. Ma la piccola percentuale di fibre e sali minerali derivanti dal malto e dal luppolo non bastano a sostenere un discorso di benefici nutrizionali. Sul piatto della bilancia pesano di più gli effetti negativi dell’alcol.
I numerosi studi scientifici, alcuni dei quali ne esaltano gli effetti positivi nei confronti di diabete, salute delle ossa o pelle, vanno presi con le pinze perché estrapolano dalla birra solo gli effetti di un singolo componente. Ma gli alimenti vanno visti nella loro interezza e «il componente principale delle bevande alcoliche, dopo l’acqua, è l’alcol e il rischio nel suo consumo è basso solo se inferiore alle due unità alcoliche per l’uomo e una per la donna e l’anziano» continua Ghiselli. Nel caso della birra, unità alcolica significa una lattina.
Birra artigianale
Negli ultimi anni, la passione per la birra gira soprattutto intorno alle produzioni artigianali dei microbirrifici. La differenza tra birra industriale e artigianale? Soprattutto nella produzione e nel sapore. «Per le legge le birre artigianali non possono essere né pastorizzate né micro-filtrate. Sono processi che eliminano i microrganismi nati dalla fermentazione del malto bloccando eventuali alterazioni sensoriali della birra. Gli artigiani non ne hanno bisogno perché non cercano prodotti standardizzati in gusto e aroma. Tuttavia, possono ricorrere alla rifermentazione, se non vogliono alterazioni eccessive, o alla filtrazione, per controllare la torbidità» spiega Giuseppe Perretti, direttore Centro di ricerca per l’eccellenza della birra.
Birra industriale
A differenza di quelle artigianali, invece, «le birre industriali sono quasi tutte pastorizzate, filtrate o micro-filtrate perché hanno bisogno di essere stabili in gusto e aroma. Quando una birra industriale non è pastorizzata si chiama birra cruda». Spesso si pensa che questi processi impoveriscano le birre industriali da un punto di vista nutrizionale, ma «la tecnologia e la ricerca scientifica lo smentiscono» sottolinea l’esperto.
Una è migliore dell’altra?
«Nella produzione delle birre artigianali, più che in quelle industriali, vengono spesso aggiunte spezie, erbe e frutti che ne arricchiscono l’aroma e il sapore» continua Perretti. In alcuni casi, possono anche renderle migliori da un punto di vista nutrizionale». Ipotesi non supportata dal nutrizionista Ghiselli: «si equivalgono. Perché sempre di bevande alcoliche si parla».
Birra al grano saraceno per gli sportivi
Una birra ricca di sostanze antinfiammatorie che può fare bene quando siamo “stressati”. Dallo sport o da un pasto abbondante. È quanto emerso da uno studio del Crea in collaborazione con l’Università della Tuscia, che nel 2016 ha realizzato una birra light a base di grano saraceno tartarico, e che oggi prosegue con l’Università la Sapienza di Roma e il birrificio del Borgo.
I suoi effetti sono stati testati su sportivi post gara e persone che mangiavano al fast food. «Nel primo caso, bere birra di grano saraceno ha ridotto negli atleti lo stato infiammatorio dell’organismo causato dall’attività fisica» spiega Giovanni Bonafaccia, già ricercatore Crea e coordinatore dello studio. «Allo stesso modo, chi nel fast food ha abbinato al cibo ricco di grassi la nostra birra ha avuto un aumento nella produzione di citochine, molecole che riparano i danni dello stress ossidativo, e la contemporanea diminuzione di colesterolo». Il merito è di quercetina e rutina, sostanze antiossidanti e antinfiammatorie di cui è ricco il grano saraceno tartarico.
Birra gluten free per i celiachi
Cosa significa birra senza glutine? Di pari passo con le necessità di chi è celiaco, ma anche degli amici e dei familiari che vogliono condividere momenti conviviali, sono sempre di più le materie prime prive di glutine in studio per la produzione di birre “gluten free”.
«Quelle oggi in commercio sono a base di riso, che non contiene naturalmente glutine, oppure di un malto d’orzo lavorato per contenere meno proteine e di conseguenza una quantità di glutine sufficientemente bassa per essere adatta ai celiaci» spiega ancora Giuseppe Perretti. Secondo quanto sancito dal Codex Alimentarius nel 2008, un prodotto per poter essere definito “senza glutine” non deve contenere più di 20 mg/kg di glutine. La normativa europea ha ribadito questo limite per chi annuncia sul prodotto la promessa “gluten free”.