Quante volte avete provato a
tenere il conto delle calorie ingurgitate nell’arco della
giornata? E quante volte avete rinunciato a farlo, assaliti dalla
terribile “sindrome del ragioniere”? Ebbene, ci sono buone
notizie per voi. Per dimagrire non è necessario impazzire tra
etichette e calcolatrici: basta semplicemente contare il numero
dei bocconi fatti a tavola. Questa semplice abitudine (forse un
filo paranoica, diciamolo pure!) aumenta la consapevolezza di quanto
mangiamo: per questo potrebbe aiutare soprattutto le persone in
forte sovrappeso che hanno bisogno di iniziare la dieta in
maniera graduale ma convinta, tagliando le quantità “con
l’accetta” senza andare troppo per il sottile. A dirlo sono i
ricercatori statunitensi della Brigham Young University, che hanno
testato questa strategia dimagrante su 60 pazienti ottenendo subito
buoni risultati: meno due chili in un solo mese.
Il
loro studio, pubblicato su Advances
in Obesity, Weight Management & Control,
dimostra che per
raggiungere questo obiettivo basta
ridurre del 20% il numero dei bocconi di
cibo e dei sorsi di bevande diverse dall’acqua, senza modificare gli
alimenti ingeriti o la quantità di attività fisica praticata.
«Questo
studio conferma ciò che sapevamo già: consumare meno cibo fa la
differenza. Non stiamo dicendo alle persone di affarmarsi – spiega il
coordinatore dello studio, Josh West – ma semplicemente di mangiare
meno rispetto a quanto fanno abitualmente». «Al giorno d’oggi
consumiamo molte più calorie rispetto a quelle che assumevamo solo
una o due generazioni fa, e allo stesso tempo siamo molto meno
attivi», aggiunge il collega Ben Crookston. «La
buona notizia è che non è necessario tagliare le calorie in maniera
drastica: anche una riduzione del 20% dei bocconi riesce a fare la
differenza».
E
per i più pigri che faticano anche a tenere il conto dei bocconi,
potrebbe presto arrivare una app
collegata ad un dispositivo indossabile che farà il conto per noi: i
ricercatori la stanno mettendo a punto insieme ad una start-up
chiamata, non a caso, “SmartBites”.
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