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Job creep: cos’è e quali sono gli effetti psicologici

Si tratta di una tendenza che porta i lavoratori ad andare oltre orari e responsabilità d'ufficio con aspettative sempre più alte

Un numero crescente di responsabilità, un eccesso di disponibilità, un costante collegamento ai media devices e orari sempre più dilatati. È questo il “job creep”, un fenomeno aziendale che sta prendendo sempre più piede anche in Italia, assottigliando il confine tra lavoro e vita privata. E che, a lungo andare, fa leva anche su alcuni aspetti psicologici.

Le origini del job creep

Il “job creep”, letteralmente tradotto “lavoro strisciante”, era in voga negli anni 2000, poi “apparentemente” scomparso dai dibattiti sul lavoro dalla crisi finanziaria del 2008. Di recente i media inglesi hanno parlato di un ritorno di tendenza che è rimbalzato fino a noi.

Gruppo San Donato

Complice la pandemia, che ha spinto il boom dello smart-working e del lavoro ibrido, fornendo nuove modalità e strumenti alternativi per lavorare efficientemente anche da casa. Basti pensare alle videocall, alle app di messaggistica immediata o ai software per l’avanzamento di progetti. Ma così facendo, il canonico contratto di lavoro da dipendente (8 ore per 5 giorni alla settimana) ha ceduto il posto a una maggiore e volontaria disponibilità, cui non è detto corrispondano promozioni, aumenti o riconoscimenti.

I campanelli d’allarme

Dilatare l’orario di lavoro oltre i limiti contrattuali, essere a completa disposizione di superiori e colleghi, rimanere sempre collegati ai device e controllare assiduamente mail e chat aziendali. Ma anche assumersi incarichi extra non sempre pertinenti al proprio ruolo, passare la pausa pranzo davanti al pc e non staccare durante il week-end. Sono questi i campanelli d’allarme comuni del job creep.

Alla base di questa tendenza risiede un particolare interesse da parte del lavoratore (collaboratore o consulente) verso un’azienda o un settore, ma anche la volontà di riconoscimento e il desiderio di soddisfare le aspettative del proprio capo, così come del team, con performance sempre più ambiziose.

Le conseguenze psicologiche del job creep

Ma, l’incapacità di rallentare i ritmi e voler “strafare” si traduce spesso in un aumento dei livelli di stress che non solo peggiorano la qualità della vita, ma possono portare al cosiddetto “burnout”, cioè all’esaurimento delle risorse psico-fisiche e alla manifestazione di sintomi psicologici negativi associati al contesto lavorativo.

In un’ottica di work-life balance, quindi di equilibrio tra vita privata e lavoro, oggi più che mai bisogna imparare a disconnettersi dal mondo virtuale e riconnettersi con quello reale.

La soluzione è avere una mente “sgombra”

Il primo passo per “combattere” questo fenomeno è «essere onesti quando fissiamo le nostre aspettative con noi stessi, col nostro team e con i nostri superiori, cercando di essere efficienti, ma con un occhio più critico e senza avere paura di dire di no», testimonia su LinkedIn Kim Marie Thore, esperta di marketing, comunicazione e relazioni pubbliche, focalizzata su strategie e risultati aziendali.

Perché, «un lavoratore sano, con la mente sgombra, è di sicuro più efficiente di uno pressato dalla mole di progetti. Spezziamo la convinzione che dire sempre sì induca ad un miglioramento della propria posizione» conclude Kim.

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Beatrice Foresti

Giornalista pubblicista, collabora con OK Salute e Benessere, insieme ad altre testate. È laureata in Comunicazione, Media e Pubblicità all’Università IULM di Milano e ha da poco terminato un Master in Giornalismo alla RCS Academy. È appassionata di scrittura, radio, fotografia e viaggi.
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