Pandemia, guerra, vaccini e ancora stragi, catastrofi ambientali e aumento dei costi. Oggi la nostra mente è bombardata da un flusso continuo di cattive notizie che non fanno altro che influenzarne la condizione emotiva. E se da un lato c’è chi è in grado di “disconnettersi” dalle informazioni stressanti, distraendosi con altro, c’è chi invece diventa dipendente, se non ossessionato, dall’impulso di scovare notizie negative navigando sul web e sui social network. Un’abitudine che oggi prende il nome di “doomscrolling”.
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Cos’è il doomscrolling
Il termine “doomscrolling”, detto anche “doomsurfing”, è un neologismo inglese selezionato da Oxford Dictionary come Word of the Year per il 2020 e indica, letteralmente, la tendenza patologica a far scorrere (scrolling) lo schermo dello smartphone (del pc o dell’ipad) per cercare nei feed di quotidiani online e social network informazioni su catastrofi e sventure (dooms) che capitano nel mondo.
Tale condizione può essere paragonata all’ipocondria, ma in versione mediatico-digitale: la preoccupazione non riguarda la propria saluta, ma le news tristi e deprimenti che popolano il web. E così entra in una sorta di loop in cui più si stressa per ciò che succede nel mondo, più sente la necessità di saperne ancora.
Il perché di questa dipendenza
L’essere umano è curioso. E lo è ancor di più il suo occhio, costantemente tentato da stimoli esterni: notizie di cronaca, immagini dall’effetto “wow”, titoli di giornali accattivanti e video scandalo sul web, ma non solo. Basti pensare agli schermi nelle stazioni metropolitane o ai cartelloni pubblicitari sui mezzi pubblici. Spesso quindi non si è consapevoli di fare “doomscrolling”, il che è un problema, perché a lungo andare può influenzare la vita di tutti i giorni, portando a una costante sensazione di malessere psicofisico e angoscia.
Senza dubbio ad accentuare tale abitudine è stato il Covid, che ha innescato nell’essere umano il terrore del contagio, della malattia e della morte. Da lì in poi la necessità di monitorare le notizie per essere costantemente aggiornati è aumentata a dismisura. Oggi il doomscrolling si manifesta in particolar modo in chi ha una predisposizione genetica per disturbi psicologici. Chi già soffre di ansia e depressione è infatti sempre alla ricerca di “bias di conferma” sulla propria visione negativa del mondo e della vita.
Non si tratta dunque di un semplice “trend” del momento, ma di un vero fenomeno psicologico e a dimostrarne la serietà è stata Ariane Ling, psicologa nello Steven A. Cohen Military Family Center del NYU Lanogone Health (USA), chiamata a discuterne al World Economic Forum lo scorso anno.
Come uscirne
Come per tutte le dipendenze, il primo passo per uscirne è riconoscere l’esistenza del problema, tenendo presente che, come per i social, anche il doomscrolling è alimentato dagli algoritmi che tendono a riproporre ciò su cui ci si sofferma più di frequente. Quindi, più si cercano notizie negative, tanto più verranno proposti argomenti di quel genere. Basterà dunque controllare la cronologia delle ricerche per aumentare la propria consapevolezza e migliorare la qualità del proprio tempo.
La domanda da porsi è: “che cosa farei se non avessi il telefono?”. Come spiega Ling, «una volta presa consapevolezza di quanto tempo si sta trascorrendo sugli smartphone, si fa spazio alla curiosità: potrei leggere o cucinare o allenarmi». Ciò non significa smettere di informarsi, ma «imporsi dei limiti, darsi il permesso di scorrere le notizie mezz’ora al mattino, qualche minuto al pomeriggio, ma non di più».