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Tumori ginecologici: tutte le cure disponibili, sempre più su misura

Nuovi farmaci per impedire le recidive del cancro ovarico, chirurgia laparoscopica per quello dell’endometrio, immunoterapia per le neoplasie della cervice uterina. E il tasso di mortalità per queste malattie è in calo

inalmente ci sono buone notizie nella lotta al tumore ovarico: nel 2022 il tasso di mortalità in Italia è previsto in calo di quasi il 9% rispetto a soli cinque anni fa. È quanto emerge da uno studio internazionale coordinato dall’Università degli Studi di Milano con l’Università di Bologna, grazie al sostegno di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. Secondo gli esperti guidati da Carlo La Vecchia, docente di statistica medica alla Statale di Milano, questo trend in discesa è dovuto a un mix di fattori, come l’uso sempre più precoce e diffuso dei contraccettivi orali e i progressi fatti nella diagnosi e nella terapia.

La ricerca scientifica sta infatti cambiando radicalmente l’approccio a questa malattia, così come agli altri tumori ginecologici più diffusi: quello dell’endometrio e quello della cervice uterina. «In questi ultimi anni la ginecologia oncologica sta facendo progressi che non vedevamo da tempo», conferma Alice Bergamini, ginecologa presso l’unità di ginecologia e ostetricia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano diretta da Massimo Candiani. «In particolare, sta migliorando la nostra comprensione del profilo biologico e molecolare dei tumori e questo ci permette di offrire terapie sempre più mirate e personalizzate».

Gruppo San Donato

Tumore dell’ovaio: i vantaggi dei Parp-inibitori 

Il tumore dell’ovaio è l’esempio più lampante di questa svolta. Ogni anno in Italia colpisce circa 5000 donne (soprattutto over 50 in post-menopausa) e da sempre è considerato un big killer per la prognosi infausta: a causa della diagnosi spesso tardiva, la sopravvivenza a cinque anni si aggira intorno al 30-40%. «Per decenni le pazienti sono state trattate tutte in maniera standard, con chirurgia e chemioterapia, ma ora che abbiamo scoperto molte delle alterazioni molecolari alla base della malattia siamo consapevoli di non avere a che fare con un’entità unica, ma con diversi sottotipi che vanno trattati in modi differenti», sottolinea Giorgia Mangili, responsabile dell’unità di ginecologia oncologica all’interno dell’unità di ginecologia e ostetricia del San Raffaele. «È un nuovo approccio che sta nettamente migliorando la prognosi soprattutto di alcuni sottogruppi di pazienti, come quelle che presentano mutazioni dei geni BRCA 1 e 2».

Se l’intervento chirurgico per l’asportazione del tumore e la chemioterapia restano tappe obbligate per tutte, quello che sta cambiando profondamente è la terapia di mantenimento che si assume dopo, per ridurre il rischio di recidive. La novità che ha sparigliato le carte è stata la recente introduzione dei Parp-inibitori, farmaci a somministrazione orale che riescono a inibire i meccanismi di riparazione del Dna messi in atto dalle cellule tumorali per resistere alla chemioterapia. «Grazie a queste nuove molecole, oltre la metà delle pazienti con mutazioni di BRCA non sviluppa recidive a distanza di cinque anni, con un miglioramento dell’aspettativa di vita», precisa Giorgia Mangili.

La combinazione dei Parp-inibitori con l’anticorpo monoclonale Bevacizumab

Benefici (pur se in misura minore) possono essere ottenuti anche nelle donne che non hanno mutazioni di BRCA ma un difetto di ricombinazione omologa (Homologous Recombination Deficiency, HRD), ovvero un deficit dei meccanismi di riparazione del Dna che aumenta pericolosamente l’instabilità genetica delle cellule tumorali: in questi casi i Parp-inibitori possono essere combinati con un anticorpo monoclonale (chiamato Bevacizumab) che «affama» il tumore impedendo la formazione di nuovi vasi sanguigni.

Tumore dell’endometrio: chirurgia mininvasiva 

Molto sta cambiando anche per il tumore ginecologico più diffuso, quello dell’endometrio, ovvero la mucosa che riveste la cavità interna dell’utero: ogni anno conta circa 8000 nuovi casi in Italia, soprattutto tra le donne in post-menopausa. «L’intervento chirurgico è spesso risolutivo senza la necessità di altre terapie e oggi può essere eseguito per via laparoscopica», afferma Alice Bergamini. «Attraverso piccole incisioni è possibile asportare l’utero, le ovaie e il primo linfonodo sentinella, evitando così la linfoadenectomia sistematica, cioè l’asportazione di tutti i linfonodi, una procedura che può comportare complicazioni in sala operatoria ma anche dopo, con gonfiore (linfedema) dovuto al cattivo drenaggio dei tessuti». L’intervento laparoscopico, adatto anche alle pazienti obese, permette di accorciare il ricovero a soli tre-quattro giorni e di riconquistare rapidamente una buona qualità di vita. L’eventuale terapia adiuvante, per scongiurare recidive nelle pazienti a rischio, viene poi «cucita su misura» in base al quadro clinico e al profilo biomolecolare del tumore.

In caso di recidiva c’è anche l’immunoterapia

In caso di recidiva di malattia, oltre alla radio e chemioterapia, è oggi disponibile una nuova strategia terapeutica, l’immunoterapia, che stimola il sistema immunitario ad attaccare le cellule malate. «È un’alternativa importante che ha migliorato la qualità di vita delle pazienti e ha ridotto del 38% il rischio di morte per la malattia», osserva la ginecologa. «Ormai è diventata la terapia standard per quei tumori dell’endometrio (circa il 30%) che presentano un difetto dei meccanismi di riparazione del Dna tecnicamente definito come “instabilità dei microsatelliti”. Anche i tumori che non hanno questo difetto possono essere candidati all’immunoterapia, combinata con i farmaci antiangiogenici per tagliare i “rifornimenti” al tumore».

Tumore della cervice uterina: progressi grazie all’immunoterapia

Passi avanti si stanno compiendo grazie all’immunoterapia anche nel trattamento del tumore della cervice uterina, che rimane la seconda causa di morte per cancro nelle giovani donne tra i 15 e i 44 anni nonostante sia in atto una progressiva riduzione del numero di casi (circa 2.400 all’anno) per merito dello screening con il Pap-test e della vaccinazione contro l’Hpv. «Se la malattia viene scoperta nelle fasi iniziali, quando interessa solo lo strato più superficiale della cervice, è ancora possibile risparmiare l’utero con una chirurgia conservativa», afferma Alice Bergamini.

«Altrimenti non restano che due alternative tra cui scegliere, in base all’età della paziente: l’asportazione chirurgica dell’utero (isterectomia radicale) o la radioterapia». Se la malattia è localmente avanzata o in metastasi non si può fare a meno della chemioterapia, ma fortunatamente oggi c’è una nuova strategia per potenziarne gli effetti. «Lo studio internazionale Keynote-826, recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine, dimostra che il farmaco immunoterapico Pembrolizumab, usato in prima linea con la chemioterapia standard, può migliorare la sopravvivenza globale nelle pazienti con tumore recidivante o metastatico», spiega Giorgia Mangili. «Alla luce di dati così incoraggianti ci aspettiamo che a breve diventi la terapia standard».

Per i tumori ovarici rari spesso non serve la chemio

Fanno paura perché colpiscono soprattutto le giovanissime, ma in realtà non sono così invincibili come sembrano: i tumori germinali rappresentano il 15-20% di tutte le neoplasie ovariche, ma quelli maligni sono meno del 5%. «La chirurgia conservativa è possibile per tutte, anche quando la malattia è diffusa», rassicura Giorgia Mangili, responsabile dell’unità di ginecologia oncologica all’interno dell’unità di ginecologia e ostetricia dell’Ospedale San Raffaele di Milano. «Nelle forme sensibili alla chemioterapia si arriva alla guarigione in oltre l’80% dei casi, un enorme balzo in avanti se pensiamo che negli anni Settanta si arrivava a malapena al 15%».

L’impiego dei farmaci chemioterapici sta però diventando sempre più selettivo: a volte si può perfino evitare. «È un successo tutto italiano, frutto di oltre dieci anni di studi», spiega la specialista. «In pratica si è scoperto che in determinati casi non è necessario fare subito la chemio: la paziente, una volta operata, può essere sottoposta a una serie di controlli ravvicinati per monitorare l’evoluzione della malattia, in modo da ricorrere ai chemioterapici solamente se si verifica una recidiva. Questa strategia permette di risparmiare il trattamento quando non è necessario, oppure di posticiparlo mantenendo sempre le stesse probabilità di guarigione».

In molti casi si può diventare mamme

Diventare mamma nonostante un tumore ginecologico non è una missione impossibile, ma il fattore tempo è determinante. In caso di tumore della cervice uterina è possibile salvare l’utero con una chirurgia conservativa se la diagnosi è molto precoce e riesce a identificare le prime lesioni quando ancora colpiscono lo strato più superficiale della cervice.

Un intervento tempestivo nelle primissime fasi di malattia permette un approccio conservativo anche nei tumori ovarici germinali che colpiscono le più giovani: si può preservare l’utero, l’ovaio sano (se la malattia è monolaterale) ed eventualmente ricorrere al congelamento degli ovuli prima di iniziare la chemioterapia. Per quanto riguarda il tumore dell’endometrio, invece, ci sono casi selezionati in cui è possibile ricorrere alla terapia ormonale per far regredire la malattia e guadagnare una parentesi di alcuni mesi in cui tentare la gravidanza, rinviando l’asportazione dell’utero a dopo il parto.

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