Se esiste ancora qualche remora a considerare le piante grasse come una pietanza da servire sulle nostre tavole, tra non molto potremmo ricrederci. Prendiamo il fico d’India: questo cactus è originario di zone piuttosto aride a sud degli Stati Uniti e nel Messico, dove la fertilità dei terreni scarseggia, ma dietro le sue spine e il suo aspetto coriaceo nasconde ottime opportunità culinarie e proprietà nutrizionali. La sua scoperta si deve ai Maya, che ne sfruttavano ampiamente la foglia, cioè il nopal, come alimento.
Il fico d’India (che appartiene al genere opuntia) può vivere a lungo, fino a cinquant’anni o più, e raggiungere i cinque metri d’altezza. Ha un fiore giallo, che sboccia proprio sul nopal, e un frutto, dalla tinta porpora, che si scurisce con la maturazione, e che può rientrare nella nostra dieta anche se provvisto di sottilissime spine, perché possiede una polpa rossastra succosa e zuccherina che contiene numerosi piccoli semi ricchi di vitamina C. Coltivare l’opuntia non è difficile: è sufficiente evitare le condizioni di umidità, l’acqua stagnante nel suolo e una scarsa esposizione alla luce, per il resto, come tutti i cactus, ha una grande capacità di adattamento. È per questo, e anche per loro ricchezza nutrizionale, che le piante grasse possono essere annoverate tra i cibi del futuro.
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Cactus: un concentrato di vitamine e minerali
Da ricerche e report scientifici realizzati dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) risulta che i cactus, tra cui il fico d’India, contengono ottime quantità di vitamina C ed E, aminoacidi e fibre, oltre che, ovviamente, di acqua. Il nopal, in particolare, gode di una densa concentrazione di sali minerali, come potassio, ferro, magnesio, calcio e manganese, e conta su ulteriori vitamine, come la A, la B e la K. Questo profilo nutrizionale, analogamente a quello di tutti i vegetali, genera una serie di benefici per l’organismo: le fibre, ad esempio, sono un modo ottimale per prevenire problematiche intestinali e digestive. I frutti del fico d’India, invece, contengono polifenoli e betalaine, dei composti fitochimici ad attività antinfiammatoria e antiossidante. Come effetti dell’assunzione delle piante grasse vanno considerati l’incremento della diuresi e dell’equilibrio degli zuccheri nel sangue. Grazie al loro apporto vitaminico, poi, il sistema immunitario godrà di un netto irrobustimento.
La sostenibilità dell’opuntia
«La peculiare anatomia e fisiologia delle specie di opuntia rende queste piante adatte ai climi secchi, proprio come quelli del sud Italia», spiega Federica Blando, ricercatrice presso l’Istituto di scienze delle produzioni alimentari del Cnr di Lecce. «E questo aspetto risulta ancor più rilevante oggi, in vista di un incremento sostanziale della popolazione mondiale, del cambiamento climatico e della scarsità di acqua e di terreno coltivabile». La sfida principale è produrre di più con meno risorse, preservando e valorizzando le condizioni di coltivazione e garantendo l’accesso al cibo anche ai più vulnerabili.
«Gli attuali sistemi alimentari sono spesso ecologicamente poco sostenibili, perciò vi è una crescente attenzione verso nuovi prodotti, che da una parte possano incrementare la disponibilità di nutrienti e dall’altra avere un impatto meno negativo o neutro sull’ambiente», interviene Antonella Leone, primo ricercatore dell’Istituto di scienze delle produzioni alimentari del Cnr di Lecce. Per passare a sistemi alimentari più sostenibili si deve fare un uso più efficiente degli approvvigionamenti, diminuendo allo stesso tempo i combustibili fossili, le emissioni di gas serra e conservando la biodiversità. È indispensabile che la tecnologia, la ricerca scientifica e le metodologie di produzione del futuro siano orientate alla riduzione degli sprechi e al risparmio. Alcune piante grasse, come i cactus, possono contribuire attivamente a questo scopo perché offrono cibo, purificano l’aria assorbendo l’anidride carbonica e le radiazioni circostanti, e regolano anche il ciclo dell’acqua trattenendo quella piovana, contrastando così gli effetti del cambiamento climatico.
Il fico d’India è visto solo come un’icona mediterranea, al massimo come frutto
In Italia esistono coltivazioni di opuntia che spaziano tra Sardegna, Calabria, Puglia e Sicilia. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), fa sapere che l’opuntia ficus indica, cioè il comune fico d’India, si trova sul mercato come alimento e ingrediente già da tempo, addirittura da prima della legge sui novel food, che ne ha autorizzato la produzione e la commercializzazione come cibo, non soltanto del frutto, ma anche delle foglie. Nonostante ciò, la barriera psicologica nei confronti del nopal è ancora forte e l’Italia ancora lo utilizza poco.
Se non fosse per la Sicilia, che lo sfrutta in tutte le sue parti, nel resto d’Italia il fico d’India è visto solo come un’icona mediterranea, al massimo come frutto, e di certo non viene considerato come una papabile verdura da mettere nel piatto. Al momento, soltanto l’approvvigionamento autonomo presso le coltivazioni del sud Italia e qualche negozio di alimentari locale garantiscono di poter trovare nopal a chilometro zero. Presso le grandi piattaforme di e-commerce, invece, è disponibile in confezioni di cubetti già puliti.
Fico d’India: idee in cucina
Il nopal si consuma cotto, saltato in padella o fritto, una volta rimosse le spine e tagliato a cubetti, perché contiene un gel che ne rende difficoltosa la masticazione a crudo. Le foglie dell’opuntia, infatti, condividono con quelle di aloe vera un gel benefico per la pelle, dalle proprietà cicatrizzanti e utili contro le infiammazioni. Ma mentre il gel di aloe vera è controindicato per uso alimentare, quello del fico d’India può essere una gradita aggiunta a frullati e yogurt.
Questa tipologia di novel food, quindi, è pronta ad affermarsi in cucina diventando protagonista di ricette invitanti: si può preparare una grigliata di foglie (prima di cucinarlo alla brace solitamente va sbollentato per mezz’ora aggiungendo del bicarbonato per farlo ammorbidire) oppure si può condire in insalata, ad esempio con cipolle, pomodori, cetrioli e tonno, ideale per piatti estivi, nutrienti e sfiziosi. Per cimentarsi in preparazioni più creative si può sperimentare una parmigiana, in cui le foglie di cactus si sostituiscono alle melanzane, ma anche un risotto o una frittata. Se poi si vuole trattare il nopal come semplice contorno, si può passare in padella con aglio, cipolla e pomodoro, oppure spezzettarlo in uno sfizioso piatto a base di quinoa, mais e pollo.
Il vantaggio della frittura…
È la frittura, però, il miglior metodo di cottura, secondo Antonio Galatà, nutrizionista e presidente dell’Associazione italiana nutrizionisti in cucina (Ainc), perché gli antiossidanti e la vitamina C si conservano meglio. «In tre minuti di frittura», spiega, «il vegetale non si espone all’ossidazione mentre sulla griglia il rischio è disperdere i nutrienti per via della temperatura elevata, andando così a dissipare l’ingrediente vivo e correndo il rischio di formare sostanze tossiche in cottura».
…E della vasocottura
La variante in vasocottura premia invece la sostenibilità. «Grazie alle conserve in vetro si amplia la dispensa con alimenti utili per tutto l’anno» aggiunge l’esperto. «Per evitare la proliferazione microbica, anziché l’aggiunta di zuccheri si può abbassare il pH aggiungendo alla conserva una soluzione acetica (50% acqua e 50% aceto) e poi si può insaporire con componenti aromatiche come salvia, bacche di ginepro, rosmarino o semi di finocchietto». Infine, il fico d’India, inteso come frutto, può essere spremuto per fare un succo, lavorato per una marmellata oppure per un gelato.
I cactus sotto osservazione: la Hoodia Gordonii e la Hoodia Parviflora
L’Efsa ha ricevuto anche una richiesta per autorizzare la Hoodia Gordonii e la Hoodia Parviflora, piante grasse simili al cactus originarie del Sud Africa, ma appartenenti a un’altra famiglia, quella delle Asclepiadaceae. Entrambe, però, sono ancora sotto lente d’ingrandimento. Per quanto riguarda la prima, Antonella Leone sostiene che «si tratta di una categoria le cui proprietà sono in fase di studio relativamente alle ipotesi sui suoi effetti benefici e sul suo utilizzo come integratore. Quindi occorre attendere i risultati degli studi per le indicazioni di sicurezza alimentare».
L’Hoodia Parviflora, invece, viene tradizionalmente utilizzata dal popolo africano dei boscimani per ridurre il senso di fame e sete durante i lunghi viaggi di caccia, e sebbene il panel di esperti Efsa non abbia individuato problemi di sicurezza alimentare e il rischio di sviluppare reazioni allergiche sia considerato basso, per il momento se ne consiglia l’uso solo come integratore a basse dosi o come ingrediente destinato ad alimenti a basso contenuto calorico e senza zuccheri.