Una dieta ormai non deve essere solo sana, dev’essere anche una dieta sostenibile. C’è chi della bistecca non ne vuole mai sapere, chi la porta in tavola solo una volta a settimana, chi esclude bovini, polli e maiali ma cucina il pesce. C’è poi chi sceglie la carne in base all’impatto che ha sul clima. Il tema della sostenibilità in fatto di alimentazione è diventato prioritario da quando i dati ci ricordano che entro il 2050 sulla Terra abiteranno 9 miliardi di persone, con un inevitabile aumento della domanda alimentare. Qui puoi trovare i regimi alimentari più diffusi.
In questo articolo
Cosa significa scegliere alimenti sostenibili?
Gli attuali sistemi di produzione rappresentano una delle principali cause di danno ambientale, compreso il cambiamento climatico e l’impoverimento delle risorse naturali. Per questo motivo la Fao definisce sostenibile un cibo se può essere prodotto con un basso impatto sull’ambiente. Questo significa che deve garantire un consumo scarso di suolo e acqua e con basse emissioni di carbonio e azoto. Altre caratteristiche richieste sono il rispetto degli ecosistemi, il legame con le tradizioni locali e dulcis in fundo, se è sano dal punto di vista nutrizionale.
Quali sono i pilastri di una dieta sostenibile?
Per seguire una dieta sostenibile bisognerebbe puntare su tre principi cardine:
- consumare e sprecare meno cibo;
- ridurre il consumo di prodotti di origine animale;
- optare per le alternative vegetali. Le fonti proteiche come legumi, cereali integrali e frutta a guscio rappresentano le opzioni più rispettose per il pianeta.
Diete come la vegetariana, la flexitariana, la pescetariana e la carnivora climatica ruotano intorno a questi tre pilastri e sono modelli alimentari sempre più diffusi tra chi cerca di fare scelte sane e sostenibili. Ma lo sono davvero?
Dieta sostenibile: la scelta vegetariana
La dieta vegetariana ha il vantaggio indiscusso di escludere la maggior parte dei prodotti di origine animale. Per essere prodotti hanno bisogno di un maggior dispendio di risorse e un maggiore sfruttamento delle risorse agricole e idriche rispetto a quelle necessarie per i prodotti di origine vegetale, con elevate emissioni di anidride carbonica.
Un recente studio pubblicato su The American Journal of Clinical Nutrition si occupa proprio di questo. Se anche solo il 20% della popolazione sostituisse una porzione di carne di manzo al giorno con qualcos’altro, l’impatto complessivo della dieta umana sull’ambiente sarebbe ridotto del 9,6 per cento. L’impatto sullo sfruttamento delle acque del 5,9 per cento.
Frutta e verdura rigorosamente di stagione
«La dieta vegetariana è sostenibile se viene seguita scegliendo prodotti di stagione». Laura Rossi è ricercatrice del Crea – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. «Se troviamo ciliegie a gennaio, castagne a luglio o zucchine a dicembre, è facile che la loro produzione sia stata effettuata con sistemi che richiedono un forte dispendio energetico». «Un frutto consumato fuori stagione, richiede un controllo della temperatura di produzione che non è del tutto green. Viene colto prima della completa maturazione, per poi essere conservato dentro apposite celle frigorifere a bassa temperatura (0-4 °C) e con un’atmosfera ricca di anidride carbonica». Anche Marika Ferrari è ricercatrice del Crea.
Meno avocado, più prodotti locali
Se si portano in tavola prodotti vegetali esotici si rischia un impatto ambientale rilevante. Quindi chi segue un regime vegetariano ma acquista tutte le settimane avocado proveniente dal Sud America non sta facendo una scelta sostenibile, pur non mangiando carne. Non è sempre facile, consultando l’etichetta, capire se si sta acquistando un prodotto sostenibile o meno. «I sistemi agricoli che richiedono pochi input sono quelli di piccole aziende agricole che si avvalgono della vendita diretta attraverso mercati rionali o i cosiddetti Gas, cioè Gruppi di acquisto solidali».
I prodotti sostitutivi per vegetariani sono green?
Meritano una riflessione anche i prodotti per vegetariani, come i veggie burger. In genere sono a base di cereali, legumi, ortaggi, seitan o tofu. Per soddisfare le esigenze di questi consumatori l’offerta sugli scaffali dei supermercati si è fatta sempre più ricca. In tanti però si chiedono se l’assenza totale di ingredienti animali significhi automaticamente che questa alternativa sia anche più sana e sostenibile. Per ora una risposta definitiva non c’è, più che altro perché sono prodotti molto eterogenei tra loro. Una cosa, però, è certa.
Quando si trasformano le verdure in alimenti “ricorda-carne” c’è sempre un pesante intervento industriale
Trasformare ingredienti vegetali in qualcosa che, in forma e consistenza, deve ricordare la carne richiede svariati processi industriali e ciò può non essere positivo dal punto di vista ambientale. «Nella scelta di queste alternative vegetali è bene leggere attentamente l’etichetta», spiega Rossi. Non solo per motivi di sostenibilità, ma anche di salute. «Possono essere ricchi di sale e grassi per aumentarne l’appetibilità. Vanno quindi consumati come secondi piatti in sostituzione della carne, alternando con altre fonti proteiche come il pesce, le uova e i formaggi».
Dieta sostenibile: la flexitariana
La dieta flexitariana «si ispira alla vegetariana, ma è più elastica perché una o due volte a settimana si possono consumare carne, pesce, pollame, frutti di mare e uova, meglio se bio e a chilometro zero. Per certi versi somiglia molto alla Mediterranea e quindi è un regime alimentare che ha una sostenibilità abbastanza alta». Nel 2018 uno studio della rivista Nature suggeriva che per nutrire in modo sostenibile i 9 miliardi di persone che popoleranno la Terra nel 2050 senza danneggiare o sfruttare eccessivamente il pianeta, bisognerebbe adottare proprio un regime flexitariano. Seguire un’alimentazione più ricca di verdure ma senza rinunciare a consumare carne di tanto in tanto, sostenevano infatti i ricercatori, potrebbe dimezzare a livello globale le emissioni di gas serra, oltre a ridurre l’uso di concimi chimici, terreni e risorse idriche. Anche in questo caso, vale la regola della stagionalità.
Pollo e pesce al posto delle bistecche
Il discorso torna a ripetersi con altre due diete considerate salutari, la pescetariana, un regime semi-vegetariano che include il consumo di pesce, crostacei o molluschi. Non c’è la carne. C’è invece la carnivora climatica, che, all’interno di uno stile onnivoro, sostituisce almeno il 75% del consumo di carne di ruminanti e di prodotti lattiero-caseari con carne di maiale, coniglio, pollo e tacchino.
Pescetariana sostenibile se si scelgono i pesci giusti
«La dieta pescetariana si può considerare positiva per l’ambiente solo se si scelgono cibi da stock sostenibili. Ad esempio piccoli pesci del Mediterraneo, oppure allevati da acquacoltura, controllando i marchi di protezione ambientale che spesso vengono apposti sulle etichette. Un menù pescetariano con specie di grande taglia come pesce spada, tonno o salmone, invece, erode le risorse ittiche e ambientali». «La dieta carnivora climatica, infine, è meno impattante di una carnivora tradizionale, in cui si porta in tavola anche carne di bovino, latte e formaggi, solo se le carni bianche con cui si sostituiscono questi prodotti arrivano da allevamenti sostenibili», sottolinea Rossi. Dopotutto, i dati dicono che la produzione di un chilo di carne rossa causa un’emissione di anidride carbonica sette volte maggiore rispetto alla stessa quantità di carne di pollo.
Dieta sostenibile: qual è la scelta migliore?
La verità è che in un Paese come l’Italia per essere sostenibili basterebbe tornare alle origini, quindi ai dettami della Dieta Mediterranea. «Oltre a essere un modello alimentare di sostegno alla salute, dato evidenziato da una miriade di studi scientifici, è anche la scelta migliore per l’ambiente». Andrea Pezzana è direttore della struttura di nutrizione clinica all’Asl Città di Torino e coordinatore di un progetto ministeriale dedicato ai modelli di diete sani e sostenibili. «Per garantire apporti calorici equivalenti, la Dieta Mediterranea ha un vantaggio in termini ambientali quantificabile in circa il 60% in meno. Salvaguarda gli aspetti socio-culturali, perché valorizza la tradizione e le ritualità collettive. Ha anche un impatto economico positivo. Garantisce un ruolo attivo ai piccoli produttori locali, veri custodi della biodiversità e delle tecniche tradizionali».