Sessualità

I bambini grassocci saranno adulti ipodotati

Il sovrappeso, che apre le porte al diabete e all’obesità, è strettamente legato al calo delle prestazioni sessuali maschili

«Mangia, Adrià, che ti fai grosso! Mangia, bello a nonna tua!». Adriano ha quattro anni e ha avuto la fortuna di nascere in un piccolo borgo. Tra i più belli e incontaminati (direi quasi per fortuna) della Sabina. Rocchette, frazione medioevale di Torri, ora provincia di Rieti ma un tempo di Perugia. Che ha conservato della sua origine di castello duecentesco a difesa del fiume Aia la maggior parte delle pietre e l’intero impianto urbanistico. È anche fortunato a vivere una dimensione di paese, dove ti aspetti che spunti un cavaliere dietro ogni angolo e le vecchiette son ben disposte a raccontarti leggende e favole di altri tempi.

Ma Rocchette è anche stato un paese povero. I nonni di Adriano, un po’ come tutti, non avevano elettricità, né acqua corrente o bagni in casa e si rompevano la schiena a portare fino in cima (immaginate una microscopica Mont-Saint-Michel immersa nel verde anziché nel mare) fascine di legna e grolle d’acqua.

Gruppo San Donato

L’esperienza della fame, i cui morsi sono diventati più feroci durante le due guerre, come ovunque, riecheggia tutta nelle parole pronunciate in dialetto rocchettano al bel pargolo. Che è già, con tutta evidenza, piuttosto grassottello. Per la nonna di Adriano l’abbondanza di cibo equivale a salute e in effetti salsicce e lonzine, formaggi e uova di giornata, l’eccellente carne biologica e il famoso olio della Sabina, squisiti prodotti a chilometro zero, sono molto sani se usati con parsimonia. Ma diventano pericolosi se si abbonda, soprattutto a scapito di frutta e verdura che, troppo spesso, non fanno parte dell’educazione alimentare dei piccoli di oggi. Quello che la nonna non sa è che sta condannando, per amore, il povero Adriano a dover trascorrere la sua vita da adulto lottando per avere una vita sessuale serena e forse anche per qualcosa di più grave.

Il caso Guangzhou

Dong Zhang è un mio studente di Guangzhou. Porto cinese a noi noto col nome europeizzato di Canton. Qui all’Università di Tor Vergata, dove sta frequentando il dottorato di ricerca, si fa chiamare Clutch. Il progetto di studio che abbiamo messo a punto insieme è molto interessante. Valutare l’impatto del diabete sulla sessualità della ricca provincia del Guangdong, nel sud della Cina.

I nonni di Clutch hanno vissuto gli anni della fame feroce del «Grande Balzo in Avanti» (1958-61). Quando la pretesa di trasformare una società da millenni agricola e rurale in un’economia industriale in un battibaleno provocò, a seconda degli storici, da 14 a 43 milioni di morti. Di fame. Non andò nemmeno troppo bene ai genitori di Dong, cresciuti durante la Rivoluzione Culturale che di perdite per cause violente e, ancora, per fame, ne provocò «soltanto» 20 milioni. Clutch ci racconta che ora la gente dimentica questo passato, in fondo così recente, anche cambiando radicalmente stile di vita, soprattutto alimentare.

Da una cucina estremamente variegata e fantasiosa, piuttosto parca (a meno di non essere un potente mandarino della corte imperiale o della nomenklatura al potere) si è passati al modello alimentare del trash food di ispirazione nordamericana. La maggior parte dei ragazzi è (sovra)alimentata a cheeseburger e non più a saporite e assai più sane zuppe di verdure e zampe di gallina tipiche della cucina tradizionale cinese.

La Cina serbatoio di diabete

La conseguenza? Il Paese asiatico sta diventando il più grande serbatoio del mondo di diabetici. I contadini cinesi, che mangiavano legumi, fibre, cibi integrali e assai poche proteine, che si muovevano a piedi, magari tirando un risciò, si ammalavano molto meno di malattie degenerative dei loro nipoti. Secondo uno studio dell’autorevole rivista scientifica JAMA ci sono oggi oltre 110 milioni di cinesi diabetici. Ma altri 500 milioni sono già prediabetici, ovvero svilupperanno la malattia nel giro di pochi anni. Mezzo miliardo di persone candidate, tra l’altro, all’infelicità sessuale. Il paradiso dei diabetologi e di noi sessuologi medici e l’inferno per tutte queste persone che dell’american way of life stanno prendendo il peggio.

L’esempio del docufilm «Super Size Me»

Super Size Me è un docufilm del 2004, candidato a un Oscar che avrebbe dovuto senz’altro vincere se non avesse attaccato uno dei modelli fondamentali dello stile di vita americano: il fast food. La pellicola documenta con precisione la vita reale del protagonista che si alimenterà esclusivamente, per trenta giorni, in una celeberrima catena di panini e patatine fritte. Dopo meno di una settimana ha già preso cinque chili, che diventano rapidamente undici alla fine del mese.

Attorno al ventesimo giorno soffre di tachicardia e il suo fegato «si sta trasformando in pâté», dice uno dei dottori che lo segue e che gli chiede di smettere prima dei trenta giorni sperimentali per non rovinarsi la salute definitivamente. Il protagonista (che poi è Morgan Spurlock, sceneggiatore e regista del film) si rifiuta di farlo fino a che la fidanzata, dopo aver fatto l’amore, non gli rivela di essersi accorta che il pene era molto più flaccido del solito. A questo punto lo spettro dell’impotenza convince il ragazzo a smettere di fare da cavia di un esperimento quasi suicida davanti a una telecamera 24 ore al giorno.

I ragazzi obesi hanno il pene più corto

Franco Folli è il collega professore ordinario di endocrinologia dell’Ospedale San Paolo dell’Università di Milano. Lavorando prima negli Stati Uniti e poi in Italia, è diventato un noto esperto di diabete e del ruolo degli ormoni nel metabolismo. Il professore ha appena pubblicato con la sua équipe sul più letto giornale scientifico di endocrinologia, il Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, una ricerca che farà molto riflettere, soprattutto le mamme.

I colleghi milanesi sapevano bene che la crescita dei genitali maschili rappresenta un importante indicatore dello sviluppo sessuale. E che la dimensione del testicolo è tradizionalmente considerato il parametro principale per valutarla. Per farlo il pediatra usa una sorta di rosario di testicoli in plastica di varie dimensioni per individuare, per comparazione, il volume testicolare del bimbo. L’orchidometro di Prader. Invece, per quanto riguarda i cambiamenti di lunghezza del pene durante la pubertà e i fattori che possono influenzarli, si sa ben poco. Così Franco Folli ha deciso di studiare la crescita del pene e i livelli di testosterone in bambini e adolescenti obesi rispetto a quelli normopeso. L’obiettivo era valutare una possibile influenza dell’obesità sullo sviluppo genitale. E in particolare su quello del pene, in ben 1.130 ragazzi dalla nascita fino all’età di 20 anni. 

I risultati di questo studio, uno dei più approfonditi mai pubblicati, sono chiari quanto impietosi. Dimostrano che fino alla pubertà il testosterone, ridotto negli obesi, svolge un ruolo determinate e diretto nel provocare l’allungamento del pene. Ma soprattutto che la lunghezza finale del pene risultata, per conseguenza, significativamente ridotta (di ben il 10%. Un’enormità. Su dieci centimetri significa un enorme centimetro in meno) nei ragazzi obesi rispetto ai ragazzi di peso normale.

Le dimensioni si possono modificare?

Il «furto del centimetro», purtroppo, è verosimilmente irrecuperabile terminato il ciclo puberale. Per motivi evolutivamente non chiari, mentre il clitoride mantiene la responsività al testosterone fino all’ultimo giorno della vita della donna, il pene maschile la perde proprio dopo la pubertà. Se un adulto normale si inietta, si cosparge, si inghiotte dosi anche cospicue di testosterone le sue dimensioni nei pantaloni non cambiano di un millimetro. Se c’è stato un effetto dell’obesità giovanile, il danno è ormai fatto. E per tutta la vita adulta le dimensioni non miglioreranno. Salvo a ridursi fisiologicamente nell’invecchiamento o se la riduzione del testosterone, come avviene spesso nel diabete, diventa più severa.

La teoria dei primi mille giorni

La medicina dei sistemi è una nuovissima branca della scienza medica che interpreta le malattie come risultato di moltissimi fattori ambientali, esogeni ed endogeni. In pratica, si è capito che la prevenzione e la cura delle patologie non può non considerare come queste si sono generate, attraverso quali errori comportamentali, individuali o sociali ci si ammala. E, come nel nostro caso, come si riducono le dimensioni del pene.

È la cosiddetta teoria dei primi mille giorni, che sempre più si impone in medicina. Il destino sanitario di un giovane, poi adulto, poi vecchio, è inesorabilmente deciso nella prima e poi via via nella seconda infanzia. E quindi dai genitori e dai parenti. Ormai sappiamo che se contro i geni poco si può, quando si ha la sfortuna di averne ereditati non funzionali, la probabilità di subire durante la vita adulta infarti e ictus, cancri e malattie immunitarie, patologie neurologiche e psichiatriche, ma anche diabete e impotenza è largamente dovuta a errori di stile di vita.

Errori che, a quella età, non dipendono certo dal bimbo, ma da chi lo ha accudito. In pratica, semplificando ma nemmeno troppo, la capacità degli adipociti di rimpinzarsi di grasso e di trattenerlo cronicamente nei tessuti, l’incapacità delle cellule di rispondere correttamente all’insulina e la stessa abilità a difendersi dalle malattie croniche e degenerative è in gran parte decisa nell’infanzia. Per questo è così drammaticamente critico voler bene ai nostri davvero, anche insegnando loro un corretto stile alimentare.

Il cibo è usato per compensare vuoti affettivi

È il momento di tornare alle cure amorose della nonna di Adriano. La sua cultura le ha insegnato che il bimbo grasso, come i putti e gli angioletti tardo secenteschi della bellissima chiesa parrocchiale di Rocchette, è un bimbo sano. La nonna sbaglia. Ma purtroppo è in buona compagnia. In realtà, sono note tante altre ragioni che nei genitori e nei parenti provocano effetti simili a quelli nella nonna di quel delizioso borgo. Carenze e insicurezze personali possono essere compensate sovra-alimentando i figli e i nipoti.

Il cibo stesso può deviare, mediare, simboleggiare o sostituire gli scambi emotivi genitore-bambino. Le abbondanti pietanze possono funzionare come una sorta di parafulmine per limitare le tensioni interne e l’eventuale tensione familiare. Generando dipendenza emotiva reciproca, creando iperprotezione, con l’effetto di ridurre il senso di identità del bimbo, oltre a farlo ingrassare, riducendo così la sua autostima e le capacità di autocontrollo. E poi c’è la pigrizia.

È molto più facile spalmare la boccuccia del bimbo di una deliziosa crema di cioccolato e nocciole e ingozzargli il gargarozzo di bevande gassate, colorate e tremendamente zuccherate che abituarlo a sgranocchiare una carota cruda o a bere un frullato di mela e sedano. Se non bastasse lo spettro che tutto ciò ridurrà la sua speranza di vita e la sua qualità di vita. Come prevede la teoria dei primi mille giorni estesa a tutta l’infanzia, sappiano genitori, zii e nonni che generano e creano bimbi grassi che combatteranno tutta la vita con le diete, e che le loro dimensioni del pene ne soffriranno specificamente e definitivamente. E questo non è di sicuro un atto d’amore.

E le bambine?

E se ho una figlia, o una nipotina? Posso dare sfogo al mio bisogno di ingozzarla come un tacchino? In realtà, pur essendo la letteratura scientifica meno indirizzata (per ora) sulle disfunzioni sessuali, l’obesità infantile femminile può avere un drammatico effetto prima di tutto per motivi psicologici. Ma anche per ragioni specificamente riproduttive.

Le ragazzine subiscono gli stessi effetti degli errori dei primi mille giorni di vita e, se sovrappeso o obese, dovranno poi combattere con la bilancia – e con lo specchio! – tutta la vita. Inoltre, avranno problemi con la pubertà. Con lo stesso ciclo mestruale che sarà facilmente irregolare o assente e con l’attività ovarica. Da adulte, potranno avere peli superflui, fino all’irsutismo. E, più facilmente delle altre donne, soffriranno di infertilità. Per non parlare del rischio di disturbi del comportamento alimentare veri e propri. Insomma, anche le bambine devono essere alimentate altrettanto attentamente e coscientemente dei loro fratellini!

Emmanuele A. Jannini

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