Nel menù quotidiano possono essere presenti cibi e bevande che, in combinazione con le medicine, ne alterano la funzionalità. «Le interazioni riguardano i farmaci che si assumono per bocca, che vanno deglutiti sempre con un liquido, in modo da accelerare il passaggio nello stomaco e nell’intestino ed evitare che aderiscano alle pareti dell’esofago, provocando, in alcuni casi, piccole ulcerazioni», spiega Paolo Grieco, professore di chimica farmaceutica all’Università Federico II di Napoli e autore del libro Le interazioni farmaco-cibo. Un rischio sottostimato (edizioni Maya Idee). «Una volta inghiottiti, i farmaci giungono nello stomaco, dove vengono “disintegrati” affinché si “liberi” il principio attivo (ciò non avviene nel caso di formulazioni liquide, come gocce o sciroppi, oppure gastroresistenti, che vengono rilasciate direttamente nell’intestino). Quindi attraversano la parete intestinale, per passare nel sangue. Poi vengono convogliati nel fegato, dove vengono trasformati prima di raggiungere le sedi di azione». E proprio in questo percorso, i farmaci possono incappare in alimenti che influiscono sul loro assorbimento e sulla loro efficacia.
Talvolta, determinati cibi possono anche potenziare gli effetti collaterali dei farmaci, fino ad arrivare, nei casi più gravi, a una vera e propria tossicità. Non è un caso che importanti enti, come l’AIFA, l’EMA e la FDA, abbiano pubblicato vari documenti scientifici per mettere in guardia dal problema. Ecco una guida che indica, per i principali farmaci usati nelle malattie croniche, i cibi da evitare e quelli consigliati. Con la raccomandazione, sempre valida, di leggere con attenzione il foglietto illustrativo e di bussare all’ambulatorio del medico o, ancora meglio, alla più vicina farmacia per chiedere suggerimenti specifici.
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Farmaci antipertensivi
Moltissime sono le molecole per ridurre la pressione alta. Tra le principali, per le quali occorre fare attenzione a tavola, ci sono, ad esempio, gli ace-inibitori (come captopril, enalapril) e i diuretici (come bumetanide, idroclorotiazide, furosemide). «I primi e la maggior parte dei secondi tendono, infatti, a trattenere il potassio, che, se raggiunge elevati livelli nel sangue, può provocare giramenti di testa e alterazioni del ritmo cardiaco», spiega Grieco. «Ecco perché, quando si assumono questi farmaci, è bene evitare di assumere grandi quantità di cibi ricchi di questo minerale, come banane, arance, verdure a foglia verde. Per lo stesso motivo, non bisogna adoperare come condimento i sostituti del sale a base di potassio».
Un nemico giurato degli antipertensivi, così come di molti altri farmaci, è il famigerato pompelmo. I primi studi riguardanti questa accoppiata risalgono a una ventina di anni fa, quando David Bailey, farmacologo dell’università dell’Ontario, in Canada, scoprì che somministrando la felodipina, un antipertensivo, assieme al succo dell’agrume, si manifestava un drastico aumento dei livelli del farmaco nel sangue con conseguenti effetti tossici. Alla base di questi guai ci sono le furanocumarine, composti presenti nel frutto che bloccano sia la Glicoproteina-P, che regola il passaggio di molecole nell’intestino, sia l’enzima CYP3A4, che si trova a livello gastrointestinale e che serve a metabolizzare e inattivare molti medicinali. In sostanza, chi è in trattamento con antipertensivi e beve succo di pompelmo va di fatto in «overdose», perché il farmaco resta in circolo senza essere eliminato. «Così, il dosaggio di una pastiglia assunta con il succo di pompelmo può essere anche cinque o dieci volte maggiore di quello della stessa medicina inghiottita con l’acqua», avverte Grieco. E per rischiare conseguenze serie non occorre bere litri di succo o farlo in contemporanea all’assunzione del farmaco, basta una dose relativamente modesta di pompelmo, come un frutto intero o un solo bicchiere bevuto anche molte ore prima.
Farmaci anti-colesterolo
I principali farmaci per abbassare il colesterolo «cattivo» (Ldl) sono le statine, come atorvastatina, lovastatina, simvastatina. Chi le assume deve bandire il pompelmo che, proprio come accade con gli antipertensivi, può aumentare i livelli del farmaco e quindi la probabilità di effetti collaterali. Basti pensare che, secondo una ricerca svolta dagli studiosi dell’Università dell’Ontario, in Canada, e pubblicata sul Canadian Medical Association Journal, assumendo simvastatina è sufficiente un bicchiere di succo una volta al giorno per tre giorni per vedere un incremento addirittura del 330% della concentrazione del medicinale nel sangue.
Farmaci anticoagulanti
Il più conosciuto e utilizzato anticoagulante per bocca è il warfarin, che serve per fluidificare il sangue, impedendo così che si formino dei coaguli (trombi) all’interno della circolazione. «Nel sangue si trovano alcune sostanze, chiamate fattori della coagulazione, che, grazie alla vitamina K, si attivano quando è necessario formare un coagulo», spiega Grieco. «Gli anticoagulanti orali inibiscono l’azione di questa vitamina, rendendo quindi il sangue meno coagulabile». Di fatto, warfarin e vitamina K agiscono quindi in direzioni opposte, al punto che quest’ultima può addirittura essere usata come antidoto in caso di dosaggio eccessivo del primo. Va da sé che, «per non interferire con la terapia, è necessario limitare il consumo di alimenti ad alto contenuto di vitamina K, senza mai associarli tra di loro», fa presente il nutrizionista Pietro Migliaccio. «Tra questi, soprattutto spezie, come prezzemolo, basilico, salvia, origano, erba cipollina; verdure, come cicoria, lattuga, spinaci, broccoli, cavolo, cime di rapa, cavoletti di Bruxelles, rucola, verza; olio di soia; bevande come tè verde o nero». Questo però non vale per tutte le statine. Infatti, la pravastatina non è affetta da questa interazione, per cui, nel dubbio di una sospetta interazione con un alimento o con altri farmaci, possiamo utilizzare questa statina.
Farmaci antistaminici
Servono a trattare o alleviare i fastidiosi sintomi delle allergie, come naso che cola, starnuti a raffica, lacrimazione e bruciore agli occhi. Fanno parte della categoria molecole come cetirizina, clorfeniramina, clemastina, desloratadina, che agiscono bloccando l’istamina, il messaggero responsabile della reazione allergica. Per chi le assume solo un unico, importante avvertimento: poiché molti di questi medicinali provocano, come effetto collaterale, una certa sonnolenza, è importante stare alla larga dall’alcol per evitare di aumentarla. E, comunque, la maggior parte di essi si assumono a stomaco vuoto.
Farmaci broncodilatatori
Usati soprattutto contro l’asma, questi farmaci, tra cui salbutamolo e teofillina, servono a rilassare la muscolatura delle vie respiratorie, in modo da favorire il passaggio dell’aria e alleviare fastidiosi sintomi come il respiro affannoso e l’oppressione toracica. Durante la terapia occorre evitare la caffeina, presente soprattutto in caffè, tè, cola, e l’alcol. Entrambi possono aumentare la probabilità di effetti collaterali: nel primo caso nervosismo e battito cardiaco accelerato, nel secondo nausea, vomito, mal di testa. Attenzione anche alla carne grigliata e al barbecue che liberano sostanze che riducono l’effetto broncodilatatore.
Farmaci antidepressivi
Ce ne sono di varie categorie, ma la maggior parte agisce regolando nel cervello i livelli di noradrenalina, serotonina, dopamina, gli ormoni del benessere. «Chi assume un particolare tipo di antidepressivi, gli inibitori delle monoaminossidasi, deve stare all’erta nei confronti di alimenti, come formaggi fermentati, vino, carne, che contengono tiramina, una molecola che stimola il rilascio di noradrenalina e adrenalina, con un conseguente aumento della pressione arteriosa», chiarisce Grieco. E, se di norma la quantità necessaria perché ciò si verifichi è molto alta (da 300 a 600 milligrammi) e non viene raggiunta con un pasto, durante la terapia sono sufficienti 10-20 milligrammi per aumentare in modo repentino la pressione massima (sistolica) di 20 millimetri di mercurio.
Ansiolitici
Tra i farmaci più prescritti per mettere ko l’ansia e l’insonnia ci sono soprattutto le benzodiazepine, come alprazolam e lorazepam, che agiscono su particolari recettori, denominati Gaba, presenti nel sistema nervoso centrale, riducendo l’eccitabilità dei neuroni ed esercitando un’azione tranquillante. A potenziare il loro effetto è il pompelmo, mentre a contrastarlo sono caffè, tè, cioccolato, ma anche alimenti come pomodori, crostacei e
molluschi, formaggi stagionati, vino bianco, fragole, che producono istamina, un «attivatore» della veglia, e cibi come lupini, grana, soia, che sono ricchi di glutammato, un aminoacido che stimola il sistema nervoso. Da privilegiare, invece, alimenti che infondono calma, come latte e pasta, ma anche riso, che, secondo uno studio condotto dai ricercatori giapponesi della Kanazawa Medical University e pubblicato su Plos One, influenza positivamente la qualità del sonno. Da provare anche spezie come origano e maggiorana, preziose quando si hanno difficoltà ad addormentarsi. Se consumate a cena, favoriscono un rigenerante riposo notturno.
Farmaci antiepilettici
Chi soffre di epilessia può oggi beneficiare dei farmaci anticonvulsivanti, come fenitoina, carbamazepina, acido valproico. In questi casi, occorre innanzitutto eliminare la caffeina e il tè, che remano in direzione contraria alle medicine, favorendo gli attacchi epilettici. Inoltre, poiché questi medicinali possono provocare, soprattutto nel lungo periodo, una demineralizzazione delle ossa, è bene non fare mancare sulla tavola cibi ricchi
di minerali, soprattutto da fonti vegetali. Qualche esempio? Il calcio presente in soia, mandorle, fagioli, riso integrale; il magnesio contenuto in nocciole, fiocchi di avena, pane integrale, lenticchie, banane; lo zinco di cui sono ricchi avena, germe di grano, piselli, noci, semi di girasole, soia; il manganese che si trova in alimenti come
banane, legumi, cereali integrali, olio di germe di grano, mirtilli.
Farmaci cortisonici
Utile, per la sua spiccata attività antinfiammatoria, in una varietà di condizioni patologiche, dall’artrite ai disturbi
ormonali, dalle malattie del sistema immunitario ai problemi respiratori, il cortisone è lo spauracchio di chi, costretto ad assumerlo per lunghi periodi, teme di accumulare chili di troppo. «In effetti può accadere che il cortisone determini un incremento del peso corporeo (di solito il grasso si concentra soprattutto su collo e viso, dando al volto un aspetto più tondo e pieno, mentre la contemporanea riduzione della massa muscolare porta braccia e gambe ad assottigliarsi)», conferma Migliaccio. «Ciò succede sia perché l’appetito tende ad aumentare, sia perché l’organismo trattiene più liquidi. Il consiglio, in questi casi, è da un lato seguire un’alimentazione varia ed equilibrata, prediligendo soprattutto cereali integrali, carni bianche e pesce, frutta e verdura, e dall’altro contrastare la ritenzione idrica diminuendo la quantità di sale. Per farlo, sono sufficienti piccoli accorgimenti, come sostituire il sale con le spezie per insaporire i piatti, evitare di mettere la saliera in tavola, fare attenzione anche al sodio già presente negli alimenti. In proposito, è bene preferire cibi freschi e poco lavorati, riducendo salumi e cibi in scatola. Attenzione anche ai prodotti da forno come cracker o grissini, di solito molto ricchi di sodio».
Farmaci ipoglicemizzanti
Molto usati per tenere a bada il diabete di tipo II, nel quale, a differenza di quello di tipo I, non è di solito necessaria l’insulina, gli ipoglicemizzanti includono una varietà di molecole, tra cui metformina, tolbutamide, clorpropamide, che riducono la quantità di zuccheri nel sangue. Anche in questo caso, banditi succo di pompelmo e alcol, che può provocare entro pochi minuti dall’ingestione vampate di calore, nausea, vomito, sudorazione, sete. Meglio, inoltre, non esagerare con la cipolla, un ortaggio ricco di glucochinina, un ipoglicemizzante naturale che potenzia l’effetto dei farmaci. Si rischiano, quindi, cali ipoglicemici con debolezza e svenimenti. Benefici, invece, sono gli alimenti che contengono cromo, un minerale presente in tracce nell’organismo che contribuisce a regolare la glicemia in entrambe le direzioni: la innalza o la riduce aiutando a riportarla ai valori normali. Si trova, in quantità variabili, in lievito di birra, cereali, asparagi, broccoli, frutti di mare,
tuorlo dell’uovo, germe di grano, funghi, barbabietola, mais, birra, fegato, nocciole, prugne, patate, formaggi, timo, pepe nero.
Antibiotici
Attenzione al latte e ai suoi derivati, che contengono una grande quantità di calcio e di magnesio, minerali che intrappolano (chelano) alcuni tipi di antibiotici, come le tetracicline o i chinoloni, mettendone a rischio l’assorbimento, con una concentrazione nel sangue che può risultare ridotta di oltre il 50%.
Levodopa (contro il Parkinson)
Uno dei farmaci più usati per trattare la malattia di Parkinson è la levodopa. «Grazie a una dieta adeguata si può ottimizzare l’azione di questo medicinale», spiega Migliaccio. «Innanzitutto, meglio non eccedere con le proteine, grandi molecole costituite da catene di aminoacidi. Questo perché anche la levodopa è un aminoacido, che, una volta giunto nella prima parte dell’intestino (il tenue), ha bisogno di “molecole di trasporto” che lo veicolino al sangue e al cervello. E gli aminoacidi assunti con l’alimentazione, che utilizzano lo stesso sistema di trasferimento del medicinale, entrano in competizione con quest’ultimo, limitando la sua capacità di giungere a livello cerebrale. In particolare, per non correre rischi le proteine non dovrebbero superare gli 0,8 grammi per chilo di peso corporeo ideale al giorno. Ad esempio, una persona che pesa 70 chili dovrebbe introdurne non più di 56 grammi».
Ma occorre tenere in considerazione anche una seconda questione: la levodopa, soprattutto dopo alcuni anni di utilizzazione, può causare un particolare effetto collaterale, costituito da movimenti involontari ripetitivi (discinesie). Questi ultimi, soprattutto se frequenti e particolarmente accentuati, possono indurre un aumento del consumo energetico che, unito alla difficoltà ad alimentarsi tipica di molti anziani, potrebbe rendere insufficienti le calorie di solito introdotte. Ecco perché è importante salire sulla bilancia con regolarità (una volta alla settimana, preferibilmente al mattino), verificando che l’eventuale perdita di peso non sia maggiore del 10% in tre mesi. In quest’ultimo caso, è bene incrementare un po’ la dose quotidiana di pane, pasta, cereali, meglio se integrali, e di grassi insaturi, come, ad esempio, l’olio di oliva.
Bifosfonati (contro l’osteoporosi)
Per trattare la rapida perdita di calcio nelle ossa (osteoporosi), di solito il medico prescrive i bifosfonati, come alendronato, risedronato, ibandronato. La principale avvertenza è quella di non assumerli in contemporanea con i latticini, perché il calcio presente nel latte e nei formaggi riduce l’assorbimento di quello contenuto nei farmaci. Ma, soprattutto, assumerli a stomaco vuoto e con acqua naturale.