Sessualità

Il pudore tra cultura e biologia: perché ci copriamo le parti intime?

La nudità è sempre stata tenuta nascosta, con alcune differenze nel corso della storia e secondo le popolazioni. Vediamo le ragioni

«Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi. Intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture» (Genesi 3:7). Così accadde ad Adamo ed Eva quando vennero scacciati dal Paradiso terrestre. Prima di aver assaggiato il frutto proibito dell’Albero del bene e del male, la prima coppia umana non sapeva di essere nuda. E quindi, immaginiamo, non conosceva il sesso. Il gesto di Eva cambia tutto. Nasce il pudore. E, in ultima analisi, l’erotismo.

Ma, si sa, la Bibbia non è un trattato di scienza e ogni volta che si è tentato di usarla a questo scopo il sole si è messo a girare attorno alla terra. Anche l’idea che lo stato di natura sia privo di pudicizia non ha retto all’attento occhio degli scienziati. Perché, sorprendentemente, la natura è assai più pudica di quanto si possa comunemente pensare. Ed esiste quindi una vera e propria biologia del pudore. Naturalmente non universale, come la quasi totalità delle leggi biologiche. E, nella nostra specie, strettamente legata alla cultura e alle norme sociali.

Gruppo San Donato

Il pudore della «scimmia nuda» e dei Romani

La scimmia nuda è il titolo-manifesto del fortunatissimo libro divulgativo pubblicato nel 1967 da Desmond Morris. Un’opera che descrive la specie umana attraverso l’occhio dell’etologo. La tesi principale è che il pudore, rappresentato dalla pelle priva di peli (evidenti) sia l’organo (sessuale) che distingue fondamentalmente gli esseri umani dalle altre scimmie.

La scimmia nuda si vergogna di mostrare i propri genitali. Infatti, il verbo latino «pudere» significa proprio «aver vergogna». In questo i romani erano ben diversi dai greci, che imitavano per tante altre cose. Loro se ne stavano nudi nel ginnasio come in battaglia e le grazie delle veneri venivano ovunque mostrate. Ma anche lì attenzione. I segnali del pudore sono già evidenti nell’Ellade. La Venere di Milo si copre i genitali, che d’altra parte sono pudicamente piccolissimi negli atleti, negli eroi omerici e negli dei delle statue, crateri, anfore e ariballi con l’eccezione del popolarissimo e volgarotto Priapo. Lui di Venere e Dioniso era figlio e aveva un pene così grande da apparire grottesco, e quindi, in ultima analisi, non realmente impudico.

Ecco così che nella Roma classica la Modestia, la Pudicizia, diventa essa stessa una dea cui si dedicano templi (non casualmente riservati alle sole donne). E raffigurata anche sulle monete, principalmente a seguito della politica moralizzatrice di Augusto. 

Il pudore cambia a seconda della cultura e dell’epoca

Certo, per noi umani il pudore è prima di tutto una questione culturale. Per alcune sensibilità mostrare i capelli in pubblico, soprattutto di una donna, è un atto impudico. Mentre per le stesse non lo è mostrare il piede femminile nudo. Cosa che in altre società è fonte di grande attenzione sessuale che può arrivare al feticismo. In un articolo molto citato che scrissi anni fa con i colleghi dell’Università di Stoccolma, dimostrammo che quello dei piedi, in occidente, è di gran lunga il più frequente di tutti feticismi. Ma c’è di più. Molte culture tradizionali non solo accettano la nudità ma la sottolineano, magari nascondendola parzialmente. Come nel caso dell’astuccio penieno (il Koteka) usato come unico abbigliamento, ad esempio, in Nuova Guinea. È utilizzato anche per identificare il censo e il rango del gentiluomo che lo porta.

Ma il comune senso del pudore cambia a seconda dell’epoca storica. Oggi come oggi a Saint-Tropez il topless non fa più notizia. Ma in alcuni stati fondamentalisti la squadra olimpica femminile deve ancora nuotare coperta. A ulteriore riprova delle profonde origini culturali del pudore è proprio il fatto che può cambiare in maniera rapida a seconda dell’epoca storica. L’ombelico di Raffaella Carrà del Tuca-Tuca di Canzonissima 1971 fece arroventare i centralini della Rai. Seni nudi in chiesa se ne son visti ben pochi, salvo in qualche gargoyle medioevale e in raffigurazioni della Madonna del latte, fino al 2014, quando il neoeletto Papa Francesco ha incoraggiato le madri ad allattare in chiesa i loro pargoli affamati.

Il pudore nel pubblico e nel privato

pudore o vergogna

In contesti semi-pubblici gli standard di pudicizia variano, e anche molto. La nudità può essere accettabile negli spogliatoi dello stesso sesso di una palestra o per la visita medica di massa di persone per il servizio militare, come si faceva nei famosi «tre giorni» che precedevano la naja in Italia.

In privato, gli standard dipendono ancora dalle circostanze. Molti si spoglierebbero senza problemi in presenza di un medico del sesso opposto. Altri lo farebbero più volentieri se il medico fosse dello stesso sesso. Anche per questo esistono ginecologi e ginecologhe. Anche se le androloghe sono ancora proprio pochine. E non solo da noi, segno che i maschietti sono quelli che hanno più problemi a denudarsi. Ennesima prova della fragilità identitaria maschile.

I nudisti rifiutano il pudore

E poi ci sono delle minoranze, ma senz’altro in crescita, di persone che si definiscono naturisti per il contatto con la natura che cercano metodicamente e ideologicamente. E che, quando si raccolgono senza vestiti in località balneari e turistiche dedicate, sono chiamati nudisti. La filosofia naturista-nudista rifiuta il pudore generato dalla cultura, immaginata come repressiva. E si rifiutano di attribuire alla nudità caratteristiche di indecenza o degrado o immoralità.

Per loro i vestiti e le sovrastrutture sociali del pudore ridurrebbero l’accettazione del proprio corpo, e di quello degli altri. È interessante notare che trasgressione ed esibizionismo sono del tutto estranei alla pratica naturista e nudista. E che in quei contesti può esistere un pudore al contrario. Se piombate in giacca e cravatta o in tailleur in un campo nudista troverete molti che guardano male. Talvolta con l’espressione che vedreste se vi presentaste in mutande nell’ufficio delle poste e telegrafi del paesino dei nonni. Probabilmente l’idea che lo stato di natura sia nudo e impudico è molto ideologica non è del tutto corretta.

Il pudore è anche istinto

Però ho anche promesso che avrei dimostrato che il pudore ha ugualmente un aspetto biologico. Infatti la pudicizia può essere un sentimento estremamente radicato, quasi istintuale. Pur essendo assai governato dalla cultura. Anche in una situazione di estrema emergenza, moltissime persone non sono in grado di abbandonare il bisogno di nascondere il proprio corpo, anche a rischio della propria vita. Ad esempio, non sempre dopo un attacco chimico o biologico o un incidente radioattivo si ha il buon senso di rimuovere, ovunque ci si trovi, gli indumenti contaminati. Allo stesso modo, per sfuggire a un incendio notturno, non sono pochi coloro che hanno ritardato la loro salvezza per mettersi le brache. Si potrebbe pensare che questo sia dovuto a una eccessiva pressione culturale. Ma è verosimile che la nostra natura (appunto!) sociale preveda la pudicizia come caratteristica fondamentale e, sostanzialmente, irrinunciabile. Che forse non è nemmeno esclusiva della nostra specie. 

Il pudore durante il sesso

In realtà, infatti, se molti animali fanno sesso in pubblico, senza curarsi troppo di chi c’è in giro, molti altri si nascondono accuratamente per copulare. Se ci pensiamo bene, scopriamo che un significato adattativo prossimale, immediato ma certamente importante, il pudore ce l’ha. L’accoppiamento è un atto rischiosissimo per il pericolo di essere predati. Si è infatti totalmente concentrati sul sesso, neuroni, neurotrasmettitori, neuromodulatori e ormoni sono focalizzati alla copula. E si è incapaci di reagire con le classiche risposte di attacco o fuga che rappresentano la salvezza di fronte a un eventuale predatore.

Meglio quindi, per una coppia paleolitica, imparare a rifugiarsi in fondo alla caverna che farlo al centro della savana. Soprattutto quando ci sono le tigri con denti a sciabola che girano intorno fameliche. È proprio questa pericolosità dell’atto sessuale stesso che è alla base dell’attitudine a rendere la copula nella maggior parte degli animali molto rapida. Si chiama «coitus citus» (=coito più rapido possibile) ed è la base biologica del più diffuso sintomo sessuale maschile, l’eiaculazione precoce su cui ho dedicato tantissimi studi. A noi umani, cui piace far l’amore a lungo e che abbiamo imparato a considerare la strategia dell’eiaculazione precoce fallimentare per il benessere della coppia, non resta che essere pudichi e nasconderci quando lo facciamo. Proprio per minimizzare i rischi.

Il pudore ha cambiato la scelta del partner

Ma c’è anche un qualcos’altro di inaspettato sotto il manto della pudicizia. In moltissime specie le scelte sessuali si compiono proprio sulla base degli ornamenti sessuali, delle dimensioni, del colore, degli odori dei genitali. Ornamenti che per essere capaci di attrarre devono essere visibili. Cosa che con la pudicizia non accade se non attraverso l’erotismo. Cioè il non-visto, l’intuìto, il promesso ma non direttamente visto ed esposto. Sorprendentemente, tutto ciò ha avuto nel corso dell’evoluzione un importante effetto sulle… dimensioni del pene.

Prima dell’invenzione dell’abbigliamento, il pene umano non retrattile era ben visibile per i potenziali partner. Influenzandone quindi la scelta. Questo ha suggerito che le dimensioni del pene umano (in effetti uno dei più grossi in relazione alle dimensioni del corpo) si siano inizialmente evolute proprio (o anche) a causa della scelta femminile compiuta, diciamo così, con cognizione di causa. Poi è arrivato il pudore che ha nascosto il pene prima dell’incontro sessuale e ha azzerato questo effetto della selezione sessuale. Così è successo che la curva gaussiana, il grafico «a cappello di Napoleone» della distribuzione delle dimensioni del pene nella popolazione generale, si è allargata, da più stretta che era.

Il pudore ha influenzato le dimensioni del pene?

Ora nelle mutande degli umani ci sono peni di varie dimensioni. Anche se solo molto raramente veramente troppo grossi o troppo piccoli. In moltissime società tradizionali si comprava infatti «a scatola chiusa». Non esisteva (e non esiste, perlomeno ufficialmente) la possibilità di avere rapporti prematrimoniali e verificare le dimensioni dell’organo maschile. Abolendo, di fatto, quella che si chiama pressione selettiva che prediligerebbe individui più sessualmente dotati. È l’interessante tesi di Michael D. Jennions della Research School of Biology di Canberra, pubblicata sui prestigiosissimi Proceedings dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Usa.

All’ipotesi dei colleghi australiani se ne potrebbe aggiungere un’altra, pur priva di solide evidenze empiriche. Che sia stata (anche) la differente cultura africana, dove le forme si vedono in genere assai meglio rispetto a quella indoeuropea e mongolica, dove ci si copre i genitali assai di più, ad avere contribuito a selezionare membri maschili statisticamente più grossi rispetti a quelli degli altri ceppi umani? Vedremo se i pochi anni dalla rivoluzione sessuale degli anni 60, che hanno reso i rapporti (e quindi la selezione) prematrimoniale, la regola e non l’eccezione, cambieranno questo scenario, confermando o smentendo questa teoria.

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