Se l’autostima fosse un oggetto sarebbe una bilancia. Su un piatto ci siamo noi, con la leggerezza inconsistente delle nostre fragilità e insicurezze. Sull’altro il resto del mondo, con il suo cuore di pietra e il dito puntato, sempre pronto a dare giudizi pesanti come macigni. È in questo sbilanciamento la ragione profonda di molte frustrazioni e di tante rinunce. Nelle sue lettere dal carcere, Antonio Gramsci scriveva: «Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze. Non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni». Chiaro il messaggio. Se c’è qualcuno che può darci la forza di realizzare i nostri sogni, ma anche di superare un momento no e ripartire di slancio, quel qualcuno siamo noi stessi.
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Aumentare l’autostima: la forza dell’io
Quante volte disperdiamo energie inutili nella ricerca di un appiglio a cui aggrapparci per risalire la china. Quando la chiave di volta è dentro di noi. «Nel perseguimento dei propri obiettivi la fiducia in se stessi, la convinzione di potercela fare, conta moltissimo», conferma Chiara Venturi, psicologa e psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico. «Potremmo dire che se crediamo in noi, siamo già a metà dell’opera. La possibilità di immaginare e visualizzare i propri risultati, e la fiducia di poterli raggiungere, sono sempre presupposti indispensabili».
«Spesso abbandoniamo sogni e progetti quasi subito. Perché scoraggiati e convinti di non riuscirci, di non essere all’altezza. Non ci proviamo neppure. Oppure rimandiamo, procrastiniamo il da farsi in preda all’ansia o all’insicurezza. Per poi scoprire, quando ormai è tardi, che il tempo è scaduto. È comprensibile. Rimanere della zona di comfort è rassicurante. Ma il rischio è di entrare in un circolo vizioso di sfiducia, bassa autostima e insoddisfazione che si autoalimenta e allontana sempre di più dalla felicità».
Gli incoraggiamenti e le pacche sulla spalla aiutano, ma il vero motorino d’avviamento parte da dentro. «Per costruire qualcosa di solido è fondamentale essere propositivi, ottimisti. Anche un po’ sanamente aggressivi, nel senso di pronti a difendere il valore di sé e del proprio lavoro», aggiunge Andrea Castiello D’Antonio, psicoterapeuta, psicologo clinico e del lavoro, già docente all’Università Europea di Roma. «Una volta veniva chiamata “forza dell’Io”. È la capacità di fare affidamento sulla propria individualità. Al di là del riscontro sociale, di cui tuttavia abbiamo tutti fortemente bisogno per sentirci riconosciuti e integrati».
Il concetto di resilienza
«Quello della resilienza è un concetto abusato. Ma se ci rifacciamo al suo significato originario, cioè la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi, oppure la capacità dell’elastico di tendersi e di tornare alla posizione di partenza, è un sostantivo sempre valido. Specialmente in questo periodo», continua Chiara Venturi. L’espressione «mi piego ma non mi spezzo» indica proprio la capacità di adattamento agli eventi avversi della vita.
«Chi sviluppa la resilienza supera gli ostacoli che incontra uscendone addirittura rinforzato», aggiunge Castiello D’Antonio. Per poi rendersi conto, guardandosi indietro, di avercela fatta con le proprie forze. «La pandemia ha stravolto le nostre vite eppure eccoci qui, pronti a ripartire», afferma la psicoterapeuta. «Secondo il concetto di crescita post-traumatica siamo in grado di compiere straordinarie evoluzioni in seguito a un grave evento che ci ha colpiti. Come nel caso attuale. Quando viviamo un evento esterno, di fronte al quale ci sentiamo impotenti, concentrarci e trovare le risorse interiori per affrontarlo ci restituisce padronanza, forza e controllo. E l’azione è la nostra migliore alleata».
Aumentare l’autostima: accettarsi e conoscersi
L’accettazione di sè è il punto di partenza. «Bisogna ripetersi che nessuno è bravo in tutto», spiega Venturi. «E il mondo non è diviso in capaci e incapaci. Ciascuno è un mix unico e irripetibile di pregi e difetti, forze e fragilità. Scontato? Niente affatto. Mettere la bilancia in pareggio, trovare il giusto equilibrio tra lo sforzo di migliorarsi e l’accettazione dei propri punti deboli, resistendo agli attacchi esterni, è alla base di tutto».
Le aspettative
Conta molto anche il carattere. Ci sono persone più attive e intraprendenti, altre più passive e gregarie. Ma un margine di cambiamento c’è sempre. Non sono portato per la cucina ma vorrei imparare? Posso fare un corso mettendoci tutto il mio impegno. Non diventerò uno chef, ma acquisirò competenze, destrezza e anche una maggiore sicurezza in me stesso. Ridimensionare le aspettative, inseguire obiettivi alla propria portata. Non è un segno di debolezza. Anzi, significa accettare i propri limiti ed è indice di grande intelligenza.
I punti deboli
Non dobbiamo però mettere in croce i nostri difetti. Accusandoli di essere i portatori di ogni fallimento annunciato. «I nostri punti deboli ci dicono molto di noi», prosegue la psicologa. «Interroghiamoci sulle origini di una nostra fragilità. Per esempio una profonda timidezza che ci blocca nelle situazioni più difficili. Se ci chiediamo da dove viene, cosa ci ha insegnato e magari da cosa ci ha protetti in alcuni casi (per esempio dal rischio della competizione), potremmo scoprire degli aspetti interessanti di noi».
Le passioni
Rivalutiamo poi passioni e passatempi. Quelli che magari abbiamo accantonato perché non ci sentivamo abbastanza bravi. Oppure perché qualcuno (un insegnante?, un genitore?, un compagno di squadra?) ha messo in dubbio le nostre capacità, portandoci a desistere. «Se dipingere ci fa sentire bene, al di là al risultato finale, riprendiamo in mano il pennello», consiglia l’esperta. «Non si vive solo di lavoro e performance. La nostra mente ha bisogno di “ricambi d’aria”. Ovvero di momenti di vero stacco e di sano svago (l’ozio su Instagram non vale). Inoltre ritorneremo al nostro lavoro più nutriti, più ricchi ed energici. Magari con qualche nuova idea e con un punto di vista più aggiornato e meno “stagnante”. Anche nelle situazioni lavorative».
Il modo in cui parliamo di noi
Le parole hanno un peso. Non solo quelle degli altri. «Il modo in cui ci parliamo, ci rappresentiamo a noi stessi, modella le nostre capacità e influenza il nostro agire», afferma Castiello D’Antonio. «Se ci dipingiamo come persone fragili, in balia degli eventi, sempre in cerca di una caverna in cui nascondersi dai pericoli, non andremo da nessuna parte. Al contrario, la capacità di rappresentarsi mentalmente come individui capaci di attrezzarsi, con le proprie abilità e i propri tempi, per fronteggiare le difficoltà e mettersi in gioco, ha un effetto straordinario sulla ripresa personale e professionale».
Bisogna imparare a trattarsi in modo più accogliente. Meno critico. «Non ce la farò mai, non lo merito, non sono all’altezza. Molti di noi hanno una vocina interiore che cerca di boicottare», dice Chiara Venturi. «Ogni volta che le pronunciamo o anche solo le pensiamo, queste frasi autodistruttive diventano nutrimento della nostra disistima. La nostra voce interna giudicante è svalutante perché noi ci conosciamo dall’interno. Abbiamo ben presenti i nostri talloni d’Achille. Oppure perché qualcuno si è rivolto a noi così in passato e abbiamo interiorizzato questa voce. Gli altri invece li vediamo da fuori. Osserviamo ciò che mostrano, l’apparenza e quindi soprattutto i loro punti di forza. Mentre non conosciamo le loro imperfezioni nascoste.
Aumentare l’autostima: la “self compassion”
Cambiamo registro linguistico. Usiamone uno che ci rafforzi, non che ci svaluti. Proviamo a sostituire “sono sbagliato” con “ho sbagliato”. Fa un altro effetto. Chiediamolo a chi ci vuole bene. “Mi sento una nullità perché non riesco a ottenere ciò che vorrei: secondo te, valgo davvero così poco?” Una persona di fiducia è sincera e obiettiva nell’esprimere una valutazione che, sicuramente, è più benevola della nostra. Pur non risparmiando critiche costruttive, se servono. Da alcuni anni si sono diffuse anche nuove pratiche di meditazione che insegnano proprio questa abilità, chiamata “self compassion”. Un atteggiamento di accettazione, pazienza e gentilezza verso di sé. Benefico soprattutto per chi tende a essere troppo duro e intransigente con se stesso».
Resistere al confronto con gli altri
Non è facile. In un mondo super competitivo come quello attuale. In cui è impossibile non fare i conti in ogni istante con i successi degli altri. Ci confrontiamo continuamente, in modo ossessivo. «I social network sono ottime casse di risonanza di un Ego traballante. Ma il problema del condizionamento esterno è sempre esistito», spiega Castiello D’Antonio. Oggi ci sono i Ferragnez. Una volta c’erano gli yuppies.
«Negli anni Ottanta erano i giovani rampanti iper ambiziosi, sicuri di sé. Pronti a scalare il mondo. Divennero per tutti il sinonimo di successo e carriera. Non possiamo sottrarci a questi modelli, il cui fascino è innegabile. Ma possiamo lavorare su di noi. Se, per esempio, in un contesto lavorativo non ci sentiamo valorizzati e viviamo con troppa sofferenza il confronto con modelli vincenti, o magari anche solo il fatto di non essere supportati e apprezzati come vorremmo, possiamo decidere di andarcene. Ma se non costruiremo un Ego più solido e consapevole, il problema si ripresenterà. Meglio restare e combattere, forgiando il carattere. Lo dicono anche i più grandi della storia. “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso”, tuonava l’ex first lady Eleanor Roosevelt. Donna determinata e di carattere».
Fare un bilancio della vita
«Il lockdown ci ha lasciato molto tempo per fare un bilancio della nostra vita. Per riflettere da un lato sulle conquiste, anche piccole, che abbiamo raggiunto e di cui magari non percepivamo l’importanza, dall’altro sui passi non ancora compiuti, i sogni rimasti nel cassetto, congelati dall’emergenza sanitaria o da situazioni personali», riprende Venturi. «Proviamo a fare la conta di ciò che abbiamo raggiunto finora. Per esempio osservando nero su bianco il curriculum vitae (lavorativo e non solo). Poi rileggiamolo annotando, per ciascun punto, gli strumenti e le strategie che abbiamo usato per arrivare al risultato. Noteremo come, man mano che gli anni sono passati, abbiamo raggiunto piccoli o grandi traguardi soprattutto con le nostre sole forze».
Non rimuginare, ma agire
E i fallimenti? «Bisogna lasciarli andare e imparare a perdonarsi». I rimugini sono come le sabbie mobili. Ti impantani e non ne esci più. Lo scrittore Carlos Castaneda diceva: «Possiamo fare di noi stessi persone infelici oppure forti. La quantità di lavoro è la stessa». Rimbocchiamoci le maniche anziché crogiolarci nell’autocommiserazione. Gli americani la chiamano mastery: senso di padronanza della realtà. «Indica la capacità di essere protagonisti della propria esistenza», chiarisce Castiello D’Antonio. «Prendendo delle decisioni per libera scelta e non per costrizione. Sapendo cogliere e interpretare ogni svolta personale o professionale come opportunità costruttiva».
Aggiunge Venturi: «L’errore è parte integrante delle esperienze della vita. È impossibile non farne e vale anche per i migliori. La vita non può consistere in un successo dietro l’altro. Come il giorno e la notte, successi e battute d’arresto si passano il testimone in una trama complessa e affascinante. In cui ogni evento, positivo o negativo, lascia un messaggio, un insegnamento. Anziché indugiare nei rimpianti, proviamo a chiederci: cosa posso imparare da quello che è successo? In che modo può essermi utile? De André cantava: “dal letame nascono i fiori”. Dalle crisi nascono le opportunità. Bisogna trasformare il letame in concime».
Aumentare l’autostima: procedere a piccoli passi
«Una delle eredità più preziose del duro lockdown dell’anno passato», racconta Castiello D’Antonio, «è stata la nostra capacità di concentrarci sulle piccole cose, per istinto di sopravvivenza. Riscoprire la fatica di portare a termine anche le più semplici azioni quotidiane, in un clima di angoscia e profonda incertezza, è stata una sorta di àncora psicologica di salvezza, un “ritorno al passato” che ha fatto tabula rasa del superfluo, portandoci alla riscoperta dell’essenziale». Nell’anno della ripartenza, facciamo tesoro di questo insegnamento e impariamo a porci obiettivi realistici (uno per volta, senza mettere troppa carne al fuoco) e fare qualcosa ogni giorno per raggiungerli, anche un piccolo gesto di pochi minuti. Oltre a farci sentire fisicamente sempre più vicini alla meta, queste azioni hanno un preciso obiettivo psicologico.
Il rinforzo positivo
Si chiama rinforzo positivo: è il meccanismo per cui tendiamo a ripetere i comportamenti che producono gratificazione e ci fanno sentire motivati nel proseguire. Stabilire obiettivi sostenibili e fare qualche piccolo passo ogni giorno procura un mix di soddisfazione e autostima, che diventa carburante per il giorno successivo. «Per esempio», dice Chiara Venturi, «se aspetto un compagno per andare a fare una corsa al parco, può essere che io non inizi mai. Se invece decido di iniziare oggi, anche con 10 minuti di corsa lenta, poi di ripeterlo nei giorni successivi, mi sentirò spronato anche ad andare il giorno successivo. L’obiettivo è l’acquisizione di un’autostima solida e interiorizzata, che resista anche alle intemperie, alle critiche pungenti, alla mancanza di aiuti esterni che magari ci aspettavamo di ricevere».
L’obiettivo da raggiungere
Ultimo consiglio: prima di passare all’azione, individuare il cosiddetto delta. Lo spiega Castiello D’Antonio: «Il delta è la distanza virtuale che separa il come si è dal come si vorrebbe essere. In pratica, indica le lacune da riempire per raggiungere il proprio obiettivo. Per esempio: se si vuole fare il dirigente d’azienda, ma non si possiedono le qualità richieste (determinazione, capacità organizzative), bisogna impegnarsi per raggiungerle, per esempio con corsi di formazione o training sul campo».
Infine, oltre all’obiettivo finale, è importante individuare le tappe intermedie del progetto. Tornando all’esempio di prima, si possono aggiungere 10 minuti di corsa ogni settimana, per arrivare a un’ora di allenamento entro qualche mese, senza essere troppo rigidi nello schema e tenendo conto di eventuali stop o rallentamenti imprevisti. «Seguire passo per passo un programma predefinito», conclude lo psicologo del lavoro, «serve a capire se si sta seguendo la strada giusta e se è il caso di andare avanti».