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Defibrillatore cardiaco impiantabile: a cosa serve e come funziona?

Al calciatore Christian Eriksen verrà impiantato questo apparecchio, che consente di "resettare" il battito del cuore qualora andasse in cortocircuito

Ci sono aritmie che possono portare a morte improvvisa ma che, se individuate tempestivamente, possono essere tenute sotto controllo con il defibrillatore cardiaco impiantabile (ICD), che “corregge” il battito erogando degli impulsi elettrici al cuore. Anche a Christian Eriksen, il calciatore danese che ha avuto un arresto cardiaco durante la partita Danimarca – Finlandia di Euro 2020, verrà messo questo apparecchio, qualora in futuro dovesse avvenire nuovamente un cortocircuito elettrico. Anche se non si conosce ancora la causa del malore, ora l’obiettivo dei medici è quello di mettere a disposizione dello sportivo uno strumento in grado di fornire subito una scarica che “resetti” il cuore e lo faccia ripartire in caso di necessità.

Defibrillatore cardiaco impiantabile: a cosa serve e come funziona?

Messo a punto dal cardiologo polacco Michel Mirowski verso la fine degli anni Settanta, il defibrillatore cardiaco impiantabile cominciò a essere utilizzato solo al termine del decennio successivo. «Si tratta di un apparecchio di piccole dimensioni simile a un pacemaker. È composto da due parti: un generatore di impulsi a batteria che, attraverso algoritmi specifici, monitora il battito cardiaco ed eroga una scarica elettrica quando rileva un ritmo anomalo; vari cateteri, cioè sottili cavi che mettono in comunicazione il tessuto cardiaco con il generatore stesso», spiega Paolo Della Bella, primario dell’unità operativa di aritmologia ed elettrofisiologia cardiaca dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano..

Gruppo San Donato

Durante l’intervento di impianto del dispositivo, il chirurgo esegue una piccola incisione nella zona sottostante la clavicola. Qui crea una «tasca» di alloggiamento fra la cute e il muscolo, nella quale posiziona il generatore. Poi, attraverso le vene, fa arrivare i cateteri fino all’interno del cuore. In genere l’intervento dura un paio d’ore, ma può protrarsi anche più a lungo nei casi complessi. Di solito, il paziente effettua il primo controllo del dispositivo dopo un mese dall’impianto e poi ogni sei mesi.

Bisogna individuare i pazienti a elevato rischio aritmico

«Tali sistemi, molto sofisticati e costosi, richiedono un intervento chirurgico per l’impianto che, come ogni atto medico invasivo, non è scevro da un piccolo ma possibile rischio di complicanze», interviene Giuseppe Cattafi, direttore di Cardiologia 3 – Elettrofisiologia all’Ospedale Niguarda di Milano. «Il defibrillatore cardiaco impiantabile è poi soggetto nel tempo a un rischio di infezioni e malfunzionamenti che accompagnerà il paziente per il resto della vita. Per questo diventa cruciale identificare correttamente quei pazienti a elevato rischio aritmico per cui la bilancia “rischio-beneficio” penda comunque a favore del defibrillatore che, grazie alle ultime novità tecnologiche, è sempre più piccolo, affidabile e di lunga durata».

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Chiara Caretoni

Giornalista pubblicista, lavora come redattrice per OK Salute e Benessere dal 2015 e dal 2021 è coordinatrice editoriale della redazione digital. È laureata in Lettere Moderne e in Filologia Moderna all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha accumulato diverse esperienze lavorative tra carta stampata, web e tv, e attualmente conduce anche una rubrica quotidiana di salute su Radio LatteMiele e sul Circuito Nazionale Radiofonico (CNR). Nel 2018 vince il XIV Premio Giornalistico SOI – Società Oftalmologica Italiana, nel 2021 porta a casa la seconda edizione del Premio Giornalistico Umberto Rosa, istituito da Confindustria Dispositivi Medici e, infine, nel 2022 vince il Premio "Tabacco e Salute", istituito da SITAB e Fondazione Umberto Veronesi.
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