Sono ormai arrivate sul mercato le creme solari di nuova generazione. Dicono che sarà un’estate caldissima. La vivremo ancora sospesi, liberi solo a metà. Ma almeno ci sarà il sole, a riscaldare pelle e umore. Faremo il pieno di vitamina D, soprannominata proprio la «vitamina del sole» perché sintetizzata principalmente dalla cute, quando irradiata dalla luce solare.
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Vitamina D e Covid
Una molecola preziosa, amica delle ossa e, forse, anche alleata nella lotta al Covid-19. Se ne parla molto, tra dubbi e incertezze. Tutto è cominciato da un’osservazione di medici e ricercatori pubblicata ad agosto 2020 su Lancet Diabetes and Endocrinology. Secondo lo studio in esame le categorie più a rischio di sviluppare forme gravi di malattia da Sars-CoV-2 (persone obese o in età avanzata) sembrano essere in molti casi le stesse in cui di solito si registra una carenza di vitamina D.
«Le recenti evidenze sembrano confermare questa correlazione». Giovanni Leone è coordinatore scientifico dell’Area dermatologia del Centro di fotodermatologia e cura della vitiligine dell’Ospedale Israelitico di Roma. «Per questo motivo di recente sono partiti diversi studi clinici, tuttora in corso».
Il ruolo chiave della vitamina D
In effetti è noto che la vitamina D è coinvolta nelle reazioni immunitarie contro i virus e regola le risposte immunitarie in caso di malattie respiratorie. Sappiamo anche che la quantità contenuta negli alimenti è molto scarsa. Non ci sono tuttavia, al momento, dati sufficienti per raccomandare l’uso di integratori. L’ha ribadito anche il ministero italiano della Salute in una circolare uscita nello stesso periodo. Tuttavia, sottolinea il dermatologo, «considerato che la supplementazione di vitamina D viene usata comunemente per prevenire i disturbi muscolo-scheletrici e garantire la buona salute dell’osso, a dosi che variano da 400 a 800 microgrammi al giorno, potrebbe valere la pena somministrarla anche come prevenzione anti Covid, visto il buon rapporto tra rischi e benefici, cioè l’assenza di pericoli sostanziali a queste dosi».
Creme solari di nuova generazione: abbronzati e difesi (anche dal Covid?)
E il sole? Circa il 90% del fabbisogno di vitamina D, dice l’Istituto superiore di sanità, si ottiene con l’esposizione ai raggi ultravioletti, che interagisce con alcune sostanze presenti sulla cute (dei derivati del colesterolo) e le «converte» nella forma attiva della vitamina. Questa si lega a un recettore presente sulla superficie delle cellule. Da qui comincia a svolgere la sua azione, a favore del buon funzionamento delle ossa, ma non solo. «Di solito, alle nostre latitudini, è sufficiente un’ora circa al giorno di esposizione solare», spiega Leone. Il problema è che l’effetto benefico dei raggi, e di conseguenza la sintesi di vitamina D da parte dell’organismo, dipende da numerose variabili, come:
- l’ora in cui ci si espone,
- la latitudine,
- il colore della pelle.
Proprio per questo entra in gioco la possibilità di un’integrazione per bocca.
Vitamina D e anziani
«Nei più anziani, per esempio, c’è una certa predisposizione a sviluppare una carenza di vitamina D e la capacità di sintesi con l’esposizione al sole è ridotta. In questi casi è consigliabile una supplementazione con integratori. Se invece si cerca un possibile effetto preventivo o attenuante sull’infezione da Sars-CoV-2, si può ragionevolmente consigliare a tutti un’integrazione con basse dosi di vitamina D, oltre all’esposizione solare controllata e protetta». Anche perché è noto ormai che le creme solari protettive inibiscono l’attivazione di questa molecola. Allo stesso tempo sono indispensabili per prevenire tutti i rischi legati a un’esposizione non protetta:
- dal fotoinvecchiamento, che si traduce non solo in macchie e rughe,
- ma anche in fragilità cutanea,
- a malattie della pelle e tumori (solo il melanoma conta ogni anno settemila nuove diagnosi).
Crema solari di nuova generazione: uno schermo anche per smog e luce blu
Sono soprattutto i raggi UVA, quelli che riescono ad arrivare più in profondità nella pelle i maggiori responsabili dei danni cutanei a lungo termine. Sono presenti tutto l’anno, anche in città e persino quando il cielo è nuvoloso. I raggi UVB invece sono quelli che manifestano subito i loro effetti. Si fermano all’epidermide (lo strato più superficiale) e, in assenza di protezione, provocano scottature ed eritemi.
Recenti studi indicano che anche gli infrarossi, a lungo considerati innocui perché meno potenti, generando calore e raggiungendo lo strato più interno del derma, inducono la formazione in eccesso di radicali liberi, che danneggiano il Dna cellulare. La combinazione di queste radiazioni crea un cocktail pericoloso nei vari livelli della cute, compromessa da danni biologici spesso irreversibili, che tendono ad accumularsi nel tempo, mostrando i loro effetti a distanza di anni.
Il ruolo dell’inquinamento
Poi c’è l’inquinamento: favorisce anch’esso lo stress ossidativo, dando un’ulteriore accelerata all’invecchiamento. Tanto che molti nuovi prodotti per la protezione solare, oltre ad assicurare una difesa ad ampio spettro contro le varie componenti della luce solare, contengono anche scudi antismog che bloccano gli effetti delle particelle nocive dell’aria sulla cute.
E quello della luce blu
E la luce blu? Siamo abituati ad associarla a smartphone e computer, ma è una componente importante della luce visibile. Siamo più esposti ai suoi effetti negativi con l’esposizione solare, rispetto alle tante ore passate davanti a uno schermo. Per questo le formule di nuova generazione contengono complessi filtranti efficaci anche nei confronti della luce blu.
Crema solari di nuova generazione, come prodotti personalizzati
«È fondamentale scegliere un prodotto che rispetti tutte queste caratteristiche, perché è anche una questione di gusti e piacevolezza. Protezione ad ampio spettro, resistenza testata all’acqua e fotostabilità, cioè la capacità di mantenere inalterate le virtù protettive ora dopo ora, sono i requisiti essenziali. Al di là di questo, non esiste un prodotto universalmente valido per tutti. Da anni ormai si parla di fotoprotezione personalizzata. Per questo un consulto dal dermatologo è imprescindibile prima della stagione estiva, perché sono davvero tante le variabili da tenere in considerazione.
Quali sono le variabili da tenere in considerazione?
Innanzitutto i fattori legati al luogo di esposizione: latitudine e altitudine, ma anche le modalità e le abitudini al sole. Per esempio, prendiamo una persona che va in vacanza ai tropici e trascorre del tempo in acqua. Ecco, avrà bisogno di un preparato con elevatissimo indice di protezione (Spf 50+) e ottima resistenza all’acqua. Facciamo ora il caso di chi ha una carenza di vitamina D (gli anziani per esempio). Qui sarà importante prescrivere dei prodotti che, pur proteggendo a sufficienza, permettano il passaggio di quella quantità di raggi Uv necessaria alla sintesi del fabbisogno quotidiano di questa vitamina. Bisogna anche tenere conto di eventuali patologie dermatologiche. Vitiligine o psoriasi, per esempio, traggono vantaggi da una moderata esposizione al sole. Necessitano di prodotti dedicati, che lascino passare in modo selettivo solo le componenti della luce solare che hanno un effetto benefico».
Crema solari di nuova generazione: formulazioni miste con altri effetti cosmetici
«La visita specialistica consiste in un accurato interrogatorio per individuare i fattori di rischio e un esame dettagliato di tutta la superficie cutanea per svelare eventuali lesioni sospette (nei di forma irregolare, lesioni precancerose). Il dermatologo effettua un check up del fototipo con particolari strumentazioni quali il simulatore solare e, in base alle informazioni ottenute, prescrive il solare più idoneo».
I fototipi
La pelle sensibile (fototipi 1 e 2, con pelle e capelli chiari o molto chiari), per esempio, è quella più vulnerabile ai raggi. Si scotta subito, si abbronza difficilmente, è più esposta a rughe e avvizzimento. Uno studio Ipsos del 2007 sostiene che invecchia cinque anni prima degli altri tipi di pelle. «Ha bisogno innanzitutto di un consulto dermatologico per la scelta del solare. Si opterà per formule specifiche, a elevata tollerabilità e con complessi difensivi rinforzati. Arricchiti magari di attivi lenitivi e idratanti, perché questo tipo di cute ha una fotoprotezione naturale più debole, spesso insufficiente». Chi invece cerca una spiccata azione antiage dovrà ricadere su ingredienti con azione antiossidante e antiradicali, come vitamine C ed E, peptidi o estratti vegetali ad azione antirughe.
L’etichetta è la carta d’identità fondamentale del solare
Occhio agli ingredienti in cima alla lista. Sono quelli presenti in percentuale maggiore, che determinano l’azione cosmetica principale del prodotto. L’acido ialuronico, per esempio è un potente idratante. La niacinamide, conosciuta anche come vitamina B3, riduce la comparsa di macchie scure e agisce sulle irregolarità della pigmentazione. La glicerina ammorbidisce e nutre (perfetta per la pelle secca e disidratata). L’acqua termale calma i rossori e disinfiamma. Poi ci sono le formule per la pelle impura, che associano polveri assorbenti ad attivi che normalizzano la produzione di sebo e offrono consistenze leggere, che non ungono la pelle. E così via.
Crema solari di nuova generazione: il ruolo del dermatologo
«Una visita dermatologica è fortemente indicata per individui a rischio come chi:
- ha familiarità per tumori cutanei,
- presenta molti nei,
- è affetto da particolari patologie come le fotodermatosi, legate a un’intolleranza alla luce solare, che si manifestano con la comparsa di prurito ed eruzioni alle prime esposizioni».
«Fondamentale il consiglio dello specialista anche per un’eventuale riduzione del fattore di protezione, che può essere “scalato” nel corso della vacanza, ma solo dietro consiglio medico. In condizioni adeguate infatti si può cautamente procedere a una variazione del solare, passando a un Spf inferiore. Fondamentale, tuttavia, ricordare che nessun prodotto può garantire una protezione totale dai raggi del sole. È essenziale:
- esporsi gradualmente nei primi giorni, evitando sempre le ore centrali della giornata (anche quando si è già abbronzati),
- applicare il solare circa mezz’ora prima di esporsi, stendendo una quantità di prodotto sufficiente (per la crema, l’equivalente di una monetina per il viso e almeno una noce per il corpo)
- e, soprattutto, ripetere regolarmente le applicazioni, ogni due ore circa o anche più spesso dopo aver nuotato, se si suda molto o ci si avvolge nell’asciugamano.
Le creme ecosostenibili
L’oceano ricopre attualmente circa il 70% della superficie del pianeta. È però intossicato ogni anno da otto milioni di tonnellate di rifiuti in plastica di varia provenienza. Più di 500 le specie animali a rischio, anche a causa dei residui dei cosmetici che finiscono in acqua. Per salvaguardare l’ecosistema marino i prodotti solari sono sempre più eco-friendly. Eliminano tutto ciò che può avere un impatto negativo come microplastiche, acrilati, siliconi e filtri. Sono prodotti responsabili dello sbiancamento dei coralli e tutte le sostanze che potrebbero accumularsi facilmente negli organismi acquatici. Sono formulati sfruttando fonti sostenibili e rinnovabili, utilizzano filtri solari non idrosolubili e ingredienti biodegradabili in acqua di mare. Le confezioni sono in materie prime di origine vegetale o plastica riciclata. Anche le formulazioni water resistant sono una strategia ecologica utile per ridurre la dispersione dei prodotti solari nell’ambiente marino.
Una scorta per l’inverno
Una moderata esposizione solare durante i mesi primaverili ed estivi consente una sintesi di vitamina D nella pelle, nell’apparato muscolo-scheletrico e nel tessuto adiposo sufficiente a garantire un’adeguata conservazione anche durante il periodo invernale. Una vera e propria scorta. La vitamina D è necessaria per l’assorbimento e l’utilizzo del calcio (che, senza di lei, viene assorbito solo per il 10-15%) e per il buon funzionamento del sistema immunitario. La carenza potrebbe favorire disturbi cardiovascolari, diabete, malattie autoimmuni e tumori, sostiene l’International Journal of Molecular Sciences. Allo studio anche un possibile legame con il microbiota, l’insieme dei microbi che popolano l’intestino.