L’insufficienza intestinale cronica benigna (IICB), dove per benigna si intende l’assenza di tumore maligno, è l’insufficienza d’organo che si verifica quando l’intestino non è in grado di mantenere il normale stato di nutrizione dell’individuo a causa della perdita della capacità di assumere e assorbire il cibo. È una patologia rara che interessa in Italia circa 15 casi su un milione, dei quali due in età pediatrica. Loris Pironi, direttore del Centro per l’insufficienza intestinale cronica dell’IRCCS Policlinico S. Orsola Malpighi e professore ordinario di scienze dell’alimentazione all’Università di Bologna, spiega meglio di cosa si tratta.
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Quali sono le cause dell’insufficienza intestinale cronica benigna?
Può verificarsi a qualsiasi età come conseguenza di malattie congenite o acquisite dell’apparato digerente o come complicanza gastrointestinale di malattie sistemiche. In alcune malattie è necessaria l’asportazione chirurgica di lunghi tratti di intestino, con conseguente comparsa della sindrome da intestino corto; in altri casi, l’intestino è intatto ma ha una funzione fortemente compromessa a causa di danni della mucosa che impediscono l’assorbimento dei nutrienti, oppure di alterazioni della motilità intestinale, una specie di paralisi che impedisce al cibo di progredire lungo l’apparato digerente.
Quali sono i sintomi?
Diarrea cronica, dovuta a malassorbimento degli alimenti ingeriti, nella sindrome dell’intestino corto e nei danni della mucosa intestinale. Nausea, dolore addominale e vomito provocati dall’assunzione di cibo, nelle alterazioni della motilità intestinale. In tutti i casi sono presenti importante perdita di peso e disidratazione.
Come si diagnostica l’insufficienza intestinale cronica benigna?
La diagnosi viene effettuata inizialmente da specialisti (chirurgo, gastroenterologo, internista o specialista in scienza dell’alimentazione), che indirizzeranno poi il paziente ai centri esperti. Nei casi di interventi chirurgici con resezione intestinale, il sospetto diagnostico di intestino corto lo pone il chirurgo nell’immediato post-operatorio, sulla base della lunghezza e della anatomia dell’intestino residuo. Negli altri casi, sono i sintomi gastrointestinali e il calo di peso che si protraggono per settimane o mesi a far da campanello d’allarme. Nei casi congeniti la diagnosi può derivare da accertamenti effettuati durante la gravidanza o da sintomi nei primi giorni di vita.
Come si cura?
La terapia salvavita della IICB è la Nutrizione Parenterale Domiciliare (NPD): consiste nell’infusione nel sangue venoso di adeguate miscele nutritive, tramite appositi cateteri. Il paziente impara a effettuarla in autonomia o con l’aiuto di un familiare, a casa propria. L’infusione in genere avviene durante le ore notturne e, se deve essere effettuata di giorno, esistono dei sistemi portatili, che consentono di muoversi fuori di casa. La NPD deve essere prescritta ed erogata da professionisti esperti (medici, infermieri e farmacisti) per ridurre il rischio di complicanze (ad esempio, infezioni gravi da cateteri venosi). Programmi di «riabilitazione intestinale», basati su interventi dietetici, farmacologici e chirurgici mirano al recupero parziale o totale delle funzioni intestinali perse, con possibilità di sospensione della NPD nel 50% dei casi di sindrome dell’intestino corto e 20% di quelli con alterazioni della motilità intestinale.
Se non trattata, la IICB può essere letale per il paziente a causa della malnutrizione. Quando compaiono complicazioni della malattia intestinale o della NPD tali da mettere a rischio la vita del paziente, vi è l’indicazione al trapianto di intestino.