Rimarranno finalmente aperti i musei? Speriamo di sì. Perché la Venere di Botticelli o la Gioconda di Leonardo con un meccanismo simile a quello dell’arteterapia possono aiutare a superare lo stress da Covid-19. I dati parlano chiaro. La pandemia non espone solo al rischio di contrarre il virus ma sta avendo ripercussioni psicologiche anche tra chi non è venuto a contatto diretto con la malattia o non ha subito la perdita di persone care. I casi di ansia, insonnia, stati depressivi, ipocondria stanno crescendo tra la popolazione.
E, stando ai dati presentati dalla Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia, nei prossimi mesi potranno emergere fino a 800mila nuovi casi di depressione. A cui se ne andranno ad aggiungere almeno 150mila correlati alla crisi economica e alla disoccupazione. Ad aumentare le condizioni di stress ci si mettono il martellamento di notizie legate a diffusione dei contagi e vaccini (la cosiddetta infodemia), la sensazione di solitudine, dilagata a causa delle misure di sicurezza, l’impossibilità di viaggiare e di evadere da una quotidianità faticosa.
Eppure l’arte può fare da terapia. Visitare un museo o una mostra, ascoltare la lettura di una poesia, assistere a uno spettacolo teatrale o a un concerto possono contribuire ad alleviare almeno i casi meno gravi. Cioè la stragrande maggioranza, che, se protratti a lungo, potrebbero sfociare in stati d’ansia patologici.
In questo articolo
I benefici dell’arte evidenziati da oltre 900 studi
Se infatti è ormai assodato che l’arte praticata può essere efficace come una terapia in casi di malattie quali autismo o Parkinson, sono altrettanto certi anche i benefici della fruizione passiva delle arti sul benessere generale. La Health Evidence Network, la rete di informazione sanitaria creata dalla Commissione europea, ne ha raccolto le prove in un report, diffuso dopo aver analizzato oltre 900 studi e ricerche, effettuati con metodologie diverse tra il 2000 e il 2019. Stando a questo rapporto, pittura, teatro, danza e musica non si rivelano solo utili nella prevenzione delle malattie fisiche e mentali. Ma evidenziano benefici conclamati anche in mancanza di patologie. Migliorando lo stato mentale e neurologico, incoraggiando i buoni comportamenti e sollecitando il corretto sviluppo cognitivo ed emotivo dei bambini.
L’arte è necessaria per vivere meglio
«L’arte è una dimensione intrinseca dell’essere umano», conferma Gabriella Gilli, professoressa associata di psicologia generale all’Università Cattolica di Milano. «Promuove la crescita, promuove il pensiero, rilassa e cura, perché ci attiva, ci procura piacere, ci fa ragionare ed emozionare. Il pittore e fotografo statunitense Edward Ruscha, esponente della Pop art, diceva che è arte quello “che ti fa grattare la testa”. Cioè quello che ti porta a pensare, a interrogarti. Su ciò che stai guardando, su quello che c’era nella mente dell’artista quando ha creato l’opera. E su quello che suscita in te che vivi quell’opera. Ma è proprio interrogarsi su quello che c’è nella mente dell’altro, il domandarsi che cosa pensa e prova l’altro, che rende umano l’essere umano. Perciò l’arte, che ti costringe a farlo, diventa per l’uomo un bisogno».
Durante la pandemia successo delle visite virtuali
Un bisogno che l’individuo cerca di soddisfare anche quando non ha la possibilità di fruire dell’arte nelle sue forme tradizionali. Il successo delle visite virtuali alle attività culturali e l’aumento dei followers dei profili social dei musei lo dimostrano. Gli accessi al nuovo database del Musée du Louvre di Parigi, che dal 26 marzo ha portato online il 75% delle sue collezioni, sono quadruplicati rispetto a quelli del vecchio sito. E il tour virtuale degli Uffizi di Firenze, già nei primi due mesi di attivazione, era stato visto da una media di quattromila spettatori al giorno.
«Iniziative ottime», commenta la psicologa, «che dimostrano il bisogno dell’uomo di accostarsi alla bellezza. Intendendo per bello qualcosa che attira ed emoziona. Nell’arte, infatti, non c’è solo la rappresentazione della bellezza e dell’armonia. C’è il conflitto, c’è il dolore, c’è la tragedia. Prendiamo Guernica di Picasso. È la rappresentazione della guerra, e che la guerra non sia una cosa bella siamo tutti d’accordo. Eppure davanti al gigantesco dipinto del pittore spagnolo la tragedia diventa bellezza perché ne diventa testimonianza, elaborazione, rappresentazione e monito».
L’arte fa bene dal vivo
Proprio Picasso, del resto, diceva che «l’arte spazza via la quotidianità dalla nostra anima». Trasportandoci in una realtà nuova e differente. «E Flaubert diceva: “Ama l’arte, tra tutte le menzogne è quella che mente di meno”», precisa Gilli. «Perché le arti ci proiettano in una dimensione diversa da quella che viviamo quotidianamente. Ma questa nuova dimensione non è altro che una reinterpretazione della realtà che fa risuonare in noi qualcosa di conosciuto. C’è anche un aspetto sociale in questa reinterpretazione. Io artista, che ti racconto la realtà per come la vedo, mi metto in comunicazione con te che vivi le mie opere, e tu, che mi vedi e mi ascolti, condividi le stesse emozioni non solo con me, ma anche con chi vive quelle emozioni vicino a te.
È importante che i musei si siano attivati per portare le loro collezioni su Internet. Ma entrare in contatto con l’arte di persona è tutta un’altra cosa. Pensiamo solo a cosa vuoi dire andare ad ascoltare un concerto dal vivo, con altre persone che ascoltano la stessa musica: è come vivere un sogno condiviso».
Solitudine e mancanza di condivisione sono state, soprattutto per alcune categorie di persone, tra le cause maggiori di stress durante la pandemia. Ma in generale ben prima dell’emergenza Covid, anche in questa che è l’epoca della comunicazione, pochi riescono ad avere un dialogo profondo con l’altro. L’arte allora può aiutare anche a mettere in comunicazione i singoli? «Fa molto di più. Ci allena al pensiero plurale», conclude l’esperta. «Ci espone alla possibilità di avere idee diverse. Ci consente l’espressione delle differenze e ci insegna a rispettare questa diversità».
Arteterapia: pennelli e creta per frenare la demenza senile
Disegnare, affondare le mani nella creta o danzare può aiutare anche in caso di malattie gravi. Praticata con successo da anni negli Stati Uniti e nel Regno Unito, e oggi sempre più diffusa anche in Italia, l’arteterapia «è una disciplina che coniuga il fare arte e il processo creativo come espressione delle emozioni con la dimensione del benessere», spiega Barbara Fiore, arteterapeuta e docente di arteterapia presso l’associazione Art Therapy Italiana di Torino.
L’azione dell’arte e l’utilizzo di materiali plastico-pittorici, in altre parole, diventa un modo per esprimere se stessi e le proprie emozioni. Ha potenzialità trasformative e risulta perciò molto utile ed efficace in condizioni in cui una persona ha difficoltà proprio a rapportarsi con queste. Come nei casi di stress post traumatico, su cui proprio recentemente sono iniziati studi più approfonditi. O in condizioni come l’autismo o l’Alzheimer.
«L’arteterapia uno strumento molto versatile che può essere utilizzato in tante diverse forme di disagio mentale o con persone che vivono particolari condizioni esistenziali», continua l’esperta. «Per esempio ci sono riscontri positivi nella sua applicazione nelle case di riposo. Gli anziani, guidati da una persona che ha una formazione specifica, riescono a rimettersi in gioco sul piano emotivo, cognitivo e introspettivo. Ma è risultata efficace addirittura con le persone non vedenti. Che possono utilizzare la dimensione tattile o sensoriale, o in casi di demenza senile».
Chi è l’arteterapeuta?
L’arteterapeuta, che modula sempre la terapia sull’utente (non essendo una professione sanitaria non si può parlare di pazienti), non lavora mai da solo. Ma sempre in équipe con professioni socio-sanitarie come psichiatri, psicologi e psicoterapeuti. «Il rapporto con l’arte aiuta a dare forme a stati d’animo che in un secondo momento possono essere verbalizzati e successivamente elaborati a livello psicologico e psicoterapico», conclude Fiore. «Noi forniamo il materiale raccolto con il nostro lavoro a figure che hanno gli strumenti e le competenze per prendere in mano la situazione dal punto di vista più strettamente terapeutico. E loro poi lo utilizzano per sviluppare percorsi e interventi sanitari».