La scienza medica avanza continuamente nella cura delle cosiddette malattie del benessere – aterosclerosi, diabete, ipertensione, obesità – ma questo non è sufficiente per sconfiggerle. Occorre che l’intera società contribuisca a tale progresso con una nuova cultura della prevenzione, che non si esaurisca nella diagnostica, ma si concentri innanzitutto sugli stili di vita alimentari e ambientali.
«Fino agli anni 80 del secolo scorso», spiega Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), «dei cosiddetti alimenti funzionali, ossia dei cibi capaci di influire positivamente su funzioni dell’organismo, non si parlava perché erano la prassi. Non si parlava neanche di prodotti a chilometro zero, perché le filiere corte erano normali. Oggi, invece, tutto questo è considerato una conquista. L’alimentazione ha, infatti, un impatto rilevante sull’uso del territorio, oltre che sul consumo di risorse naturali, se si considera che il 30% dell’impronta ecologica di una nazione come l’Italia è connessa alla catena di produzione e al consumo di cibo. Ma ambiente è anche ciò che occupa gli spazi vuoti all’interno del nostro organismo: cavità buccale, esofago, stomaco, trachea, bronchi e polmoni. È, quindi, da considerarsi ambiente il cibo che mangiamo al pari dell’aria che respiriamo».
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La dieta mediterranea è sana, ecosostenibile ed economica
Ecco, allora, l’importanza della Dieta Mediterranea, vincente sia sotto il profilo della prevenzione sia dal punto di vista del rispetto ambientale. «Messa a confronto, mediante il metodo dell’impronta ecologica, con il modello di alimentazione statunitense», conferma Miani, «risulta comportare un minor uso di suolo agricolo e una maggiore sostenibilità, implicando un guadagno in termini di ricadute sia locali (per esempio, più foreste e feedback sui sistemi di partenza) sia globali (il clima). Studi hanno analizzato e stimato l’impatto ambientale delle due diete oggi prevalenti nel mondo occidentale: la dieta nordamericana e quella mediterranea. La prima, che qualifica con forza il modello alimentare degli Usa, è caratterizzata da un consumo prevalente di carne, dolci e alimenti con alte concentrazioni di zuccheri e grassi, quindi ad alto contenuto calorico. La Dieta Mediterranea, invece, che qualifica con forza il modello alimentare presente in Italia e in alcuni Paesi dell’area del Mediterraneo, si distingue per un maggiore consumo di carboidrati, frutta e verdura».
Il vantaggio nell’adottare una Dieta Mediterranea si conferma anche sul versante economico. Utilizzando i dati Istat, è stato calcolato il costo di entrambi i possibili menu: «Quello mediterraneo comporta una spesa giornaliera di circa quattro euro, mentre quello riconducibile allo stile americano ha un costo di circa sei euro», annota il presidente SIMA. «Tuttavia, scegliere la Dieta Mediterranea non significa solo mangiare cibo sano, promuovere filiere corte, chilometro zero, avere rispetto della stagionalità, salvaguardare l’ambiente, valorizzare i territori, le loro tipicità e le tradizioni dei molti luoghi meravigliosi che costellano l’Italia, ma è anche e soprattutto seguire uno stile di vita che, unitamente a un’alimentazione equilibrata e funzionale, può garantire il mantenimento del benessere o il raggiungimento di uno stato di salute ottimale».
Uno stile di vita, si associa Marcello Iriti, docente presso il dipartimento di Scienze agrarie e ambientali dell’Università degli Studi di Milano e membro del Comitato Scientifico SIMA, che comprende «un basso livello di sedentarietà mutuato dalla tradizione contadina, quindi un’attività fisica moderata giornaliera, e la convivialità, il piacere di mangiare insieme», seduti a una tavola dove non viene tralasciato alcun nutriente essenziale. Vediamo, dunque, quali sono gli alimenti protagonisti della Dieta Mediterranea.
Gli spaghetti integrali al pomodoro sono il piatto simbolo
Tra i prodotti del mondo vegetale, alla base della Dieta Mediterranea ci sono i cereali, a iniziare da pane, pasta e riso. «Sarebbe opportuno consumare quelli integrali», sottolinea Iriti, «perché sono ricchi di fibra alimentare, che migliora il traffico intestinale ed è preventiva nei confronti di alcune neoplasie, come il tumore del colon-retto». Secondo quanto emerso dal rapporto 2020 dell’American Institute for Cancer Research (AICR) e del World Cancer Research Fund (WCRF), basato su dati estrapolati da 99 studi per un totale di oltre 29 milioni di persone coinvolte, il rischio di contrarre il carcinoma in questione si riduce del 17% se si consumano in media 90 grammi di cereali integrali al giorno.
Seguono, quindi, i prodotti ortofrutticoli. «Tutta la verdura a foglia verde», interviene Annamaria Colao, titolare della cattedra Unesco all’educazione alla salute e allo sviluppo sostenibile dell’Università degli studi Federico II di Napoli e membro del Comitato Scientifico SIMA, «è ricca non solo di vitamina K, che favorisce la coagulazione del sangue, ma anche di tutte quelle sostanze organiche dalle proprietà antiossidanti chiamate polifenoli – dalla quercetina alle antocianine, andando verso il colore viola dell’ortaggio – estremamente protettive del sistema immunitario e delle arterie. Inoltre questi ortaggi contengono magnesio, calcio, selenio, tutti oligoelementi indispensabili sempre per il funzionamento immunitario, al quale siamo particolarmente attenti in questo momento di pandemia».
Iriti scende nel particolare degli effetti positivi sulla salute delle varie famiglie botaniche, partendo dai legumi (fagioli, piselli, ceci, fave, lenticchie): «Hanno capacità assolutamente preventive perché contengono sostanze nutraceutiche particolari, i fitoestrogeni, la cui attività biologica richiama quella svolta dagli estrogeni» e, quindi, può andare a ridurre i disturbi dovuti sia alla carenza sia all’eccesso di questi ormoni sessuali. Sempre al consumo di fitoestrogeni sembrerebbero anche connessi una riduzione degli effetti collaterali della menopausa e dei livelli del colesterolo nel sangue, un minor rischio di problemi cardiovascolari, di fratture in caso di osteoporosi e di contrarre tumori alla mammella, all’endometrio e all’ovaio. «Andrebbero consumati fino a quattro volte alla settimana, ma purtroppo spesso questo non avviene per gli effetti collaterali che possono provocare, come gonfiore addominale e flatulenza».
Quindi tocca alle crucifere (cavoli, cavolfiori, broccoli, verze, cavoletti di Bruxelles), «ricche di sostanze protettive, i glucosinolati, che i microrganismi presenti nel nostro intestino trasformano in benefici isotiocianati, composti solforati – responsabili dell’odore pungente che sentiamo quando cuciniamo queste verdure – in grado d’inibire alcune fasi del processo che trasforma le cellule normali in cancerose (carcinogenesi)».
Tra le apiacee le carote sono ricche soprattutto di betacarotene (precursore della vitamina A), antiossidante utile per prevenire malattie cardiovascolari e cancro e amico di vista e pelle, mentre il sedano, fonte di vitamina A e potassio, contrasta ipertensione, ritenzione idrica, reumatismi e i finocchi grazie ai flavonoidi hanno proprietà antiossidanti e antinvecchiamento. Le zucche, appartenenti alle cucurbitacee, al pari delle carote contengono il betacarotene.
Domina le solanacee, invece, il pomodoro, che garantisce l’apporto di licopene, «il carotenoide che», prosegue Iriti, «gli conferisce il colore rosso ed è protettivo in rapporto al tumore alla prostata. In salse o conserve ha una maggiore concentrazione e il consumo risulta ancora più efficace. Inoltre, per le sue caratteristiche lipidiche, il licopene è assorbito meglio dal nostro apparato gastrointestinale se associato a una sostanza grassa quale l’olio d’oliva, magari nel preparare i classici spaghetti al pomodoro».
Frutta di stagione
Ovviamente il discorso fatto per le verdure vale anche per i frutti, i quali contengono centinaia di sostanze nutraceutiche (o composti fitochimici). «Tutta la frutta, soprattutto andando verso quella di colore arancio e rosso, è ricca di vitamina A, protettrice della vista e del sistema immunitario», spiega Annamaria Colao. «Molta, inoltre, contiene vitamina C: non solo gli agrumi, ma anche, per esempio, il kiwi, tra i frutti più popolari non originari dell’Italia».
Un’altra caratteristica aumenta, poi, gli effetti benefici dei prodotti che madre natura ci fornisce. «Quanto più frutta e verdura sono fresche, cioè derivano da coltivazioni vicine ai luoghi di acquisto e di elaborazione in cucina», prosegue la docente napoletana, vincitrice del Geoffrey Harris Award 2020 per il miglior neuroendocrinologo d’Europa, «tanto più hanno contenuti elevati di sali minerali e vitamine. Tra l’altro, la frutta e verdura fresche maturate al sole contengono una forma di vitamina D – la D2, più precisamente – che, pur non avendo l’efficacia della D3 di origine animale, aiuta, comunque, nel dare solidità alle nostre ossa».
I LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia) per la popolazione italiana prevedono un consumo giornaliero di cinque porzioni totali, tre di verdura e due di frutta, che, però, interviene ancora Iriti, «oggi è consigliato aumentare, facendo sempre attenzione anche alla grammatura delle singole dosi». Sempre stando ai LARN, la porzione standard per verdure e ortaggi è di 200 grammi, ma, per esempio, quella d’insalata scende a 80 grammi, mentre per quanto riguarda la frutta fresca la quota è media è fissata a 150 grammi.
L’olio di oliva e il vino rosso fanno la differenza
Peculiarità della Dieta Mediterranea sono, però, l’olio d’oliva e il vino rosso. Quest’ultimo, tuttavia, contiene in media un 12% di etanolo (alcol etilico), composto derivato dalla fermentazione alcolica degli zuccheri presenti nei mosti, che è nocivo. «Fino a qualche anno fa», ricorda il docente di Scienze agrarie e ambientali, «la comunità scientifica era unanime nel sostenere che un regolare consumo basso-moderato – uno o due bicchieri da 125 millilitri quotidianamente durante i pasti principali – fosse benefico per il mantenimento dello stato di salute di una persona sana grazie al contenuto di polifenoli, a partire dal resveratrolo. Oggi, invece, si è divisa in due correnti: una che difende la vecchia tesi e un’altra che boccia il vino in toto proprio a motivo dell’etanolo. Ma esistono studi, anche dell’Università di Milano, che dimostrano come gli ipotetici effetti dell’etanolo, presente in quantità minima nella bevanda, sono controbilanciati dalla componente benefica del vino, cioè dai polifenoli. Va detto che manca ancora un’evidenza scientifica definitiva e, quindi, la discussione è ancora aperta, ma io mi sento di promuovere i classici due bicchieri giornalieri all’uomo e uno alle donne, a patto che ovviamente i bevitori siano in salute».
Il re della Dieta Mediterranea è, comunque, l’olio extravergine d’oliva, al cui consumo regolare e moderato sono ascrivibili molti benefici di questo stile alimentare e di vita, dovuti all’azione antiossidante dei polifenoli, in particolare l’oleocantale, l’idrossitirosolo (entrambi responsabili del retrogusto leggermente amaro e piccante dell’extravergine) e l’oleuropeina. Un elisir di lunga vita sul quale Olio Levante, l’azienda di Andria leader nel mercato mondiale dei prodotti certificati, ha in corso studi di ricerca e sviluppo in collaborazione con l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e alla Fondazione Italiana del Rene (FIR) per valorizzare la produzione di olio extravergine di oliva cultivar coratina, tipica dell’agro pugliese a nord di Bari. «Lo scorso aprile», dice Riccardo Cassetta, amministratore unico della società e vicepresidente di Confindustria Bari e Barletta-Andria-Trani, «abbiamo presentato un olio innovativo a base di coratina 100%, quello con la maggiore quantità di polifenoli a partire dall’oleocantale, con l’aggiunta di un distillato di foglie e polpa di olivo di coratina. Un prodotto nutraceutico a tutti gli effetti».
Anche perché «più alti sono i valori di polifenoli e l’olio più a lungo si conserva ed è migliore dal punto di vista organolettico», osserva un altro produttore di olio extravergine d’oliva bio d’eccellenza, Federico Montagnani, titolare della Tenuta Montagnani di San Gimignano (Siena). «E per ottenere in maggior misura questi composti naturali occorre che le olive siano perfettamente sane e vengano raccolte ancora verdi o all’inizio dell’invaiatura, quando hanno appena cominciato a cambiare colore, cioè ai primi di ottobre». A proposito di conservazione, Cassetta, quarta generazione di una famiglia che produce olio dal 1902, si è personalmente occupato «di una sperimentazione per allungare la shelf-life tramite l’aggiunta nel confezionamento di una piccolissima percentuale d’idrolato, un distillato naturale che permette al consumatore di riceve il prodotto “fresco” come se fosse stato appena franto».
Entrambe le aziende fanno del rispetto della natura, a iniziare dal non uso di pesticidi, e delle peculiarità del territorio il caposaldo della loro filosofia. Montagnani ha ricevuto il premio Oscar Green Toscana per il progetto Olimpolli Montagnani il cui obiettivo, spiega lui, «è incrementare attraverso l’impollinazione assistita con l’ausilio di droni la produttività degli oliveti, preservando le varietà autoctone di olivo dall’avvento degli impianti con varietà straniere. Potremo, così, continuare a custodire e valorizzare territori unici senza standardizzare il paesaggio, le colture e le modalità di coltivazione».
Olio Levante, da parte sua, utilizza l’energia solare nell’intero processo di confezionamento (l’80% degli immobili di proprietà sono coperti da pannelli solari) ed è un esempio di economia circolare attraverso il reimpiego degli scarti delle materie prime del ciclo produttivo: «Le acque reflue dei frantoi», specifica Cassetta, «sono usate come fertilizzanti dei suoli agricoli e il nocciolino che resta dopo la spremitura delle olive come combustibile, che vendiamo anche. Ora l’obiettivo è produrre biogas dai residui della sansa, un sottoprodotto del processo di estrazione dell’olio di oliva composto da scarti, residui della polpa e frammenti di nocciolino: abbiamo già costruito una piccola centrale. I progetti in cantiere sono molteplici, in un momento così complicato e che vede tutto in salita, mi sento di “accelerare” sulla progettazione».
Non è un regime vegetariano o vegano
La Dieta Mediterranea, comunque, non è vegetariana o vegana, ma prevede anche molti prodotti di origine animale. I più consumati sono i lattiero-caseari (formaggio, yogurt, ricotta), ma anche la carne, precisa Iriti, «può essere salutistica quanto i vegetali se la si consuma moderatamente e non tutti i giorni. Per tradizione nel nostro regime alimentare ce n’è poca di rossa – sulla cui demonizzazione oggi nascono dubbi: l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, IARC, si è espresse sulla sua cancerogenicità con criteri che non sempre collimano con quelli di chi fa ricerca scientifica – mentre è tipica la bianca (di pollo, agnello, capra, pecora), meno additata rispetto alla presunta nocività. Ricordiamo, tuttavia, che la carne è una fonte primaria di vitamina B12 e ferro, nutrienti essenziali per il nostro organismo. Ma un posto rilevante è rivestito anche dal pesce, l’unica fonte significativa di un gruppo di nutrienti di cui non possiamo fare a meno, gli omega-3, acidi grassi polinsaturi che il nostro organismo non riesce a produrre».
In Italia il pesce oggi maggiormente impiegato in acquacoltura è la trota iridea (Oncorhynchus mykiss). «Oltre a contenere vitamina D, con 140 grammi vengono soddisfatte le esigenze di omega-3 di una persona adulta per una settimana, come certificato dall’Università di Varese che testa i nostri prodotti», prende la parola, dall’alto della sua decennale esperienza nell’acquacoltura, Maurizio Grispan, uno dei soci della società agricola Fattoria del Pesce di Cassolnovo (Pavia), eccellenza italiana nel settore. «Sapendola ben condire, si digerisce in 90 minuti, quindi è perfetta non solo per chi pratica sport e per gli anziani, ma anche per un bambino di otto mesi. Tra l’altro, le sostanze utilizzate per ottenere la salmonatura (farine di gambero) hanno spiccate proprietà antiossidanti in quanto ricche di carotenoidi». La Fattoria del Pesce si può fregiare del marchio Parco Ticino – Produzione Controllata, concesso alle aziende agricole operanti nell’area naturale protetta che adottano buone tecniche di gestione sotto il profilo agronomico e ambientale.
«Quello della trota è l’allevamento ittico più ecosostenibile. Ha un indice di conversione alimentare eccezionale: con un chilo di mangime – prodotto composto di farina di pesce e vegetali di buona qualità – si riesce a ottenere un chilo di pesce. Inoltre, proprio grazie a questi mangimi digeribili, le acque delle vasche che rimettiamo in circolo hanno una qualità molto vicina a quelle d’ingresso, essendo praticamente prive di alimenti rifiutati». Del resto la trota iridea è un indicatore biologico di purezza: «Per essere allevata esige le migliori condizioni ambientali, con acque limpide, incontaminate, ben ossigenate, fresche, di una purezza vicina alla potabilità, tanto che in passato è stata utilizzata per il controllo della qualità delle acque negli acquedotti che riforniscono le città». Insomma, sintetizza Miani, «l’ecologia della nutrizione ha una paternità tutta italiana. E da qui bisogna ripartire per coniugare la tutela dell’ambiente e del territorio con quella della salute».
Gli integratori per chi non può permettersi i superfood
«Ben vengano, perciò, sulle nostre tavole frutta, verdura, pesce, latticini, olio di oliva e un buon bicchiere di vino rosso a ogni pasto», prosegue il presidente SIMA, «ma anche gli integratori alimentari naturali che nelle loro formulazioni racchiudono tutte le proprietà nutrizionali e funzionali che la natura sa donarci».
Come quelli prodotti dall’azienda trentina Zuccari fin dal 1993. «Quando ho iniziato a parlare di alimenti funzionali in Italia, gli sguardi che ricevevo non erano del tutto convinti. Il potenziale dei supercibi, così chiaro per me, era evidentemente ancora oscuro», osserva il Ceo e fondatore, Stefano Sala. «Negli ultimi dieci anni l’idea che alcuni cibi abbiano proprietà particolari si è diffusa dagli scaffali dei supermercati, entrando nella vita delle persone. L’alimentazione è sempre più una scelta di nutrimento e sempre meno un gesto meccanico di approvvigionamento, una consapevolezza che diventa responsabilità. Eppure una buona dose di realismo mi ha portato a fare una considerazione: non tutte le persone hanno modo di introdurre nella loro alimentazione quotidiana i superfood. Prendiamo l’ananas: il frutto fresco è ottimo, ricco di bromelina (enzima proteolitico impiegato in ambito medico come antiedematoso). In molti, però, finiscono per scegliere l’ananas in scatola, ricco di zuccheri, per questioni di tempo e praticità. I Functional Food Zuccari sono nati così, da questa esigenza di isolare l’attività specifica di alcuni alimenti, concentrarla e renderla disponibile in integratori che uscissero dai classici canoni della somministrazione percepita. Super Ananas e Super Ananas Slim, per esempio, hanno le virtù del frutto fresco in un’alta concentrazione, ma con il piacere vellutato che ricorda un succo fresco: il primo è una forza drenante della natura, il secondo vede l’aggiunta di garcinia cambogia e matè per un effetto “slimmante”».
Formaggio, caffè e cioccolato fondente sono gli amici del nostro sorriso
L’usura dentaria, con i difetti funzionali ed estetici che comporta, sarà la patologia odontoiatrica del futuro e soppianterà anche la carie. Un rischio che, però, oggi gran parte della popolazione trascura. A lanciare l’allarme è Luca Levrini, docente di odontoiatria presso l’Università dell’Insubria, presidente della Fondazione Volta di Como, membro del Comitato Scientifico SIMA e autore de “La dieta del sorriso” (Mondadori, 2016), il regime alimentare che consiglia per difendere «lo smalto, una struttura determinante per la difesa dei nostri denti ed estremamente dinamica. Quotidianamente si dissolve per l’acidità della saliva durante i pasti e si ristruttura nel corso del resto della giornata, ma, se mangiamo in maniera non corretta, con il tempo questa compensazione risulta impossibile e i denti diventano da bianchi a gialli per l’emergere della dentina, la sostanza sottostante lo smalto. Inoltre, possono diventare sensibili e dare disfunzioni occlusali». I grandi nemici dello smalto sono gli zuccheri semplici (quelli bianchi, per intenderci), «che vengono direttamente metabolizzati e, quindi, subito trasformati in acido dai batteri presenti nel cavo orale. Effetto negativo che, invece, richiede una tempistica più lunga nel caso degli zuccheri complessi, come pasta, pane, frutta e verdura».
Esiste, per contro, tutta una serie di alimenti amici dei denti che Levrini elenca modificando il principio del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach «siamo quello che mangiamo» in «mangiamo quello che siamo», considerando, dunque, non l’effetto degli alimenti ma partendo dalla composizione degli elementi del nostro corpo.
Ecco, allora, che al nostro sorriso fa bene «consumare il calcio e i fosfati dei formaggi, le proteine e i sali minerali delle uova, la caseina del latte e i probiotici dello yogurt. I pesci, invece, sono fonti di omega-3, vitamine e minerali essenziali, a partire dal fluoro, contenuto nelle lische. Le alici, per esempio, sono perfette, meglio ancora se sott’olio, perché l’olio extravergine di oliva contiene, al pari del cioccolato fondente con oltre il 70% di cacao amaro, sostanze antiossidanti e competitive contro i batteri principali responsabili della carie e gengivite».
Tra le bevande la regina è l’acqua, «soprattutto se con un alto residuo fisso, in quanto ottima fonte di minerali ed in grado di rendere basica la saliva. Per questo è necessario che i bambini a scuola bevano sempre, magari con la loro borraccia sul banco assieme ai libri». Promossi pure il caffè, in cui abbondano polifenoli e antiossidanti, il tè e le tisane con zenzero, curcuma, cannella o mirtillo. Tutte ovviamente senza zucchero: «Al massimo si può ipotizzare come dolcificante il miele sciolto nell’acqua o nel latte caldo, un buon antibatterico, o la stevia, competitiva verso i batteri della placca. Inoltre la tisana non va subito deglutita, ma deve essere trattenuta un po’ in bocca per darle il tempo di esercitare l’azione benefica». Le bibite sono, invece, bevande acide, quindi dannose per i denti: «Se non se ne può fare a meno», osserva l’esperto, «meglio concentrarle durante i pasti principali, per, poi, lasciare riposare lo smalto durante la mattina e al pomeriggio, quando possiamo consumare come spuntini yogurt, frutta e frappé, tutti alimenti benefici per i denti».
Ma della dieta è importante anche la solidità: «I cibi consistenti stimolano la masticazione e, di conseguenza, fanno sviluppare correttamente le funzioni e le ossa dei mascellari», sottolinea Levrini. «Perciò no a merendine e hamburger e sì a mele, carote e altra verdura cruda». Fermo restando l’importanza di lavarsi i denti, ma non subito terminato il pasto, quando «lo smalto è ancora debole dopo essere stato aggredito dall’acidità dei cibi consumati. Occorre attendere che si ristrutturi, cioè una quarantina di minuti».