Proprio come le donne che aspettano un bimbo, anche chi è in attesa di un trapianto ha una borsa vicino alla porta. Va preparata perché non appena arriva la chiamata che l’organo c’è ed è pronto per essere trapiantato va presa al volo per correre in ospedale. Essere veloci è fondamentale: dalla telefonata al trapianto devono passare pochissime ore, pena la non riuscita dell’intervento. In Italia vivono in questo stato di sospensione e speranza quasi 8.500 persone e per sei mesi, nel 2010, lo ha vissuto anche Anita Siletto.
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La lista di attesa per il trapianto
«Avevo una cirrosi epatica, insorta a causa del virus dell’epatite C, e dopo il suo peggioramento i medici mi hanno detto che per andare avanti avrei avuto bisogno di un nuovo fegato. Dopo la diagnosi sono passati circa tre anni prima di essere inserita in lista d’attesa e poi sei mesi per ricevere l’organo», racconta Anita, che ai tempi aveva 49 anni.
Mettersi “in coda”, infatti, non è immediato. I pazienti devono fare una serie di esami, necessari a verificare il loro stato di salute fisico e psicologico. «Lo psicoterapeuta serve a darti supporto nel percorso che porta al trapianto. Ma anche a capire se accetterai l’organo estraneo e sarai in grado di condurre una vita normale».
Prima del trapianto di fegato
Perché dopo il peggioramento della cirrosi epatica la vita di Anita non si poteva certo definire “normale”. «All’inizio avevo solo fortissime coliche ma poi, piano piano, è decaduto tutto il corpo» racconta. «Le gambe erano gonfie, a causa della forte ritenzione idrica, e la testa non c’era più, per delle encefalopatie che mi facevano dimenticare persino il mio numero di telefono. Poi le forze hanno iniziato ad abbandonarmi. Non riuscivo più a fare la spesa e le pulizie. Alla fine ho dovuto lasciare il mio lavoro di insegnante». Prima del trapianto Anita stava male, ma aveva anche paura che l’organo non arrivasse in tempo. «I medici non mi hanno mai detto entro quando sarebbe dovuto arrivare, però io sentivo che la vita mi stava sfuggendo e che il tempo stava per scadere».
Dopo il trapianto di fegato
Dopo l’intervento, invece, la luce. Nel giro di sei mesi Anita riacquista le forze e il colore, perché con il nuovo fegato tutte le conseguenze che l’epatite aveva causato sul “vecchio” erano scomparse. «Ovviamente il trapianto non aveva eliminato il virus. Però, fortunatamente, un anno dopo l’intervento ho potuto debellarlo grazie alla scoperta di una terapia» ricorda Anita. «Non ho mai avuto paura del rigetto, scongiurato dai farmaci immunosoppressori che noi trapiantati dobbiamo assumere per sempre, ma in cuor mio ho sempre considerato l’arrivo di questo fegato come un regalo. Ricordo che dopo essere riemersa dal torpore dell’anestesia e dal dolore, l’ho toccato raccomandandogli di andare d’accordo con tutti i “condomini” a lui vicini».
Donare organi e sangue
Nella sua nuova vita Anita non è tornata a scuola come insegnante. Ci è tornata come volontaria dell’Associazione Italiana Trapiantati di Fegato, in cui è entrata a far parte dopo l’intervento. «Le mie giornate sono quasi più impegnate di prima» dice Anita. «E quando incontro i ragazzi nelle scuole li invito a valutare la scelta della donazione una volta maggiorenni». Una scelta su cui riporta l’attenzione anche la 24esima Giornata nazionale della donazione e il trapianto di organi e tessuti, che si celebra l’11 aprile. Ad oggi in Italia sono state registrate 9 milioni e mezzo di dichiarazioni di volontà. Ma se 7 milioni sono affermative, ancora troppe (2 milioni e mezzo, quindi il 33,2%) sono negative.
Importante anche la donazione di sangue, come spiega Anita ai ragazzi. «È un primo passo di aiuto perché viene usato nei pronto soccorso, nei grandi interventi e soprattutto nei trapianti, che non sarebbero possibili senza le sacche di sangue già pronte. Io stessa ho avuto bisogno di trasfusioni prima dell’operazione. Riceverla è stata un’emozione perché dopo, quando mi sono specchiata, il mio viso aveva riacquistato colore».
Tante le iniziative messe in campo nella giornata, sia informative a livello nazionale, come il sito sceglididonare.it del Ministero della Salute, sia simboliche, a livello locale. Domenica a Torino, per esempio, la Fondazione DOT Onlus ha organizzato l’illuminazione della Mole Antonelliana in rosso, il colore simbolo della donazione.
I due compleanni di Anita
Oggi, a distanza di dieci anni dall’intervento, Anita porta nelle scuole anche la sua storia. E rinnova ogni giorno la sua gratitudine verso il suo donatore (di cui per legge non ha mai potuto conoscere l’identità). «A giugno saranno undici anni. In questo tempo ho potuto continuare a progettare la vita con mio marito dopo 38 anni insieme, ho visto mia figlia crescere e ho potuto anche accudire mia mamma, che ha compiuto 90 anni. Ogni anno festeggio due compleanni – conclude – il giorno in cui sono nata e il giorno del trapianto che mi ha riportato alla vita».