Paola (il nome è di fantasia per tutelare la sua privacy) è una giovane donna che, nel 2019, si sottopone a un trattamento di epilazione laser per rimuovere definitivamente i peli superflui. Durante la procedura, eseguita senza previa applicazione di prodotti specifici e con una frequenza del macchinario troppo elevata, la ragazza avverte un forte bruciore alla gamba destra e lo comunica all’estetista, la quale non dà peso alle lamentele della cliente. Passata alla gamba sinistra, l’operatrice corregge la frequenza e prosegue con il trattamento, questa volta indolore. Nei giorni successivi alla seduta, Paola prova forti dolori all’arto inferiore destro, tanto da doversi recare al Pronto Soccorso. Qui le riscontrano ustioni di secondo grado che, dopo essere state curate da un dermatologo, lasciano un segno permanente, ossia una discromia: il colore della gamba destra, cioè, è diverso da quello della sinistra. Gli esperti di questioni legali ravvisano un danno estetico.
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Prima dell’introduzione del concetto di danno estetico, si risarciva solo il danno alla salute che avesse risvolti patrimoniali
«Quella del danno estetico è una nozione nata tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta per colmare un vuoto normativo piuttosto ingente», spiega Gabriele Chiarini, avvocato dello Studio legale Chiarini, esperto di malpractice medico-sanitaria e responsabilità per fatto illecito. «Prima di allora, infatti, la nostra giurisprudenza considerava risarcibile solo il danno alla salute che avesse dei risvolti patrimoniali, cioè comportasse la perdita di una possibilità di guadagno per il soggetto danneggiato. Poiché si riteneva che una cicatrice, uno sfregio o una lesione, seppur permanenti e oltraggiosi, non precludessero l’attività lavorativa e la capacità di produrre reddito, fatta eccezione per chi avesse incentrato la professione sulla propria immagine (come nel caso di modelli e attori), il danno non avrebbe potuto dare luogo ad alcun risarcimento. Di fatto, non si indennizzava tutto ciò che avesse dei riflessi di carattere non patrimoniale.
Per ovviare a questa evidente ingiustizia, la giurisprudenza ha introdotto appunto il concetto di danno estetico, sostenendo che la compromissione dell’integrità esteriore di un individuo potesse pregiudicare le sue relazioni interpersonali e, per questo motivo, incidere anche sulle sue possibilità di far carriera e, quindi, di incrementare i propri guadagni. Nasce, dunque, come ipotesi di pregiudizio patrimoniale, ma dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 1986 trova la sua collocazione più appropriata e viene finalmente inquadrato come pregiudizio non patrimoniale, lesivo, cioè, di un valore della personalità umana e che quindi deve essere liquidato indipendentemente dai riflessi sulla situazione patrimoniale del danneggiato».
Il danno estetico sussiste quando c’è un’alterazione peggiorativa nella percezione della propria immagine
Sebbene sia stato riconosciuto dalla nostra giurisprudenza, il danno estetico non è una categoria autonoma ma rientra fra le molteplici forme in cui la lesione alla salute, definita danno biologico, si può manifestare. «Non sussiste solo in presenza di una cicatrice più o meno evidente, anche se questo è il caso più frequente e citato, ma in tutte quelle circostanze nelle quali si verifica un’alterazione peggiorativa nella percezione della propria immagine, a causa di uno sfregio, una deformazione, un’amputazione o una menomazione originati da qualsiasi evento traumatico o illecito, come l’incidente stradale, l’aggressione, l’intervento chirurgico, l’errore o l’omissione da parte di operatori sanitari e non solo», precisa l’avvocato.
In presenza, dunque, di una compromissione dell’integrità fisiognomica, il primo passo è quello di accertare se a provocarla sia stata una violazione di una norma di condotta, che è fonte di responsabilità civile e dà diritto a potenziale risarcibilità. Poi, bisogna valutare l’entità del pregiudizio incorso e stabilire quanto valga il danno non patrimoniale in termini economici: in questa fase è particolarmente prezioso il supporto del medico legale che collabora a stretto contatto con il giurista.
La visita medico-legale è necessaria per valutare l’entità del danno e stabilire il risarcimento
Paola, la ragazza protagonista della disavventura nel centro estetico, si è sottoposta a una visita medico-legale, che alla fine ha evidenziato la responsabilità dell’operatrice sia per l’omessa preparazione della pelle pre-trattamento sia per l’errata frequenza impostata. Ma quali criteri adotta lo specialista incaricato per esaminare il caso? «Per inquadrare al meglio il danno estetico occorre partire dalla definizione che nel 1947 l’Organizzazione mondiale della sanità ha dato di “salute”, intesa come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente come “assenza di malattie o infermità”», interviene Benedetto Vergari, specialista in medicina legale e delle assicurazioni e co-autore di Il danno estetico. Valutazione medico-legale (Giuffrè Editore).
«Partendo da questo concetto, dobbiamo valutare il danno estetico considerando non solo l’oggettività della lesione in sé ma anche la percezione che l’individuo ha di quella compromissione esteriore e come quest’ultima potrebbe riflettersi sulla vita psico-relazionale, sociale, culturale e affettiva del danneggiato. Per farlo è necessario analizzare, in prima battuta, alcuni aspetti personali e specifici, che possano contribuire alla definizione dell’entità del danno subito. In particolare si valutano la sede e le caratteristiche della lesione, il sesso, l’età, l’etnia e il colore della pelle dell’individuo, i risvolti comportamentali e psicologici del trauma estetico e la sua emendabilità, cioè la possibilità che la deturpazione possa essere corretta o addirittura eliminata con particolari trattamenti e interventi». L’esame dei rilievi obiettivi è comunque fondamentale in quanto la dottrina medico-legale impone criteri rigorosi, che non si possono prestare a eccessive discrezionalità interpretative.
Le tabelle della Società italiana di medicina legale per la valutazione del danno
Nella valutazione del danno biologico in ambito civilistico vigono le tabelle della Società italiana di medicina legale (Simla), da considerare le più autorevoli. Queste linee guida suddividono il pregiudizio estetico in sei classi di crescente gravità, che considerano il danno alla funzione estetica in base alle caratteristiche intrinseche ed estrinseche, prevedendo fasce percentuali del danno biologico.
«La prima classe, che va dall’1 al 5%, la seconda, dal 6 al 15%, e la terza, dal 16 al 25%, sono di più frequente applicazione; si va da cicatrici più o meno estese, per esempio piccole gibbosità o deformazioni più marcate del naso, sugli arti inferiori o superiori. In presenza di compromissioni più gravi e importanti, non solo a livello del viso ma anche delle altre regioni più esposte, si prendono in considerazione la quarta classe, dal 26 al 35%, e la quinta, dal 36 al 50%, fino ai casi estremi della sesta classe, che va dal 51 al 65%, come estesissimi esiti cicatriziali o perdita importante di tessuti o appendici corporee», conclude Vergari.
Come si intraprende la procedura risarcitoria patrimoniale
Dopo aver valutato l’entità del danno attraverso la perizia medico-legale, si intraprende materialmente la procedura risarcitoria patrimoniale, per rimborsare le spese affrontate a causa del danno subito e i guadagni che il danneggiato avrebbe potuto percepire in assenza della lesione in questione, e non patrimoniale. Tale procedura può essere stragiudiziale, cioè che si svolge al di fuori del tribunale senza l’intervento del giudice, o, al contrario, giudiziale.
La fase stragiudiziale
«Nella fase stragiudiziale l’avvocato della persona danneggiata si mette in contatto con il responsabile o con la sua compagnia di assicurazioni, cercando di raggiungere una definizione bonaria dell’illecito con un risarcimento concordato e liquidato all’avente diritto. Il responsabile del danno estetico è sempre colui che deve risarcire ma, se è coperto da una polizza assicurativa, e in alcuni casi è obbligato a esserlo (ad esempio, se guida un veicolo), si evita l’onere risarcitorio perché questo ricade proprio sulla sua assicurazione. Talvolta ci si avvale di strumenti giuridici particolari, come la mediazione, che consentono alle parti di raggiungere una soluzione stragiudiziale e, in caso di mancato accordo, di attivare il giudizio, in quanto condizione di procedibilità dell’azione civile di risarcimento del danno secondo la legge Gelli 24/2017», aggiunge Chiarini. Se si riesce a risolvere la questione in via stragiudiziale, si può aspirare a un’erogazione del risarcimento indicativamente in sei-otto mesi.
La fase giudiziale
«Se fallisce qualsiasi tentativo in via stragiudiziale e non c’è margine per raggiungere bonariamente un’intesa, bisogna andare davanti a un giudice, il quale, dopo aver accertato tutti i requisiti del risarcimento, come l’illiceità della condotta, il nesso causale, il danno estetico e la sua entità, provvederà a pronunciare una sentenza o un provvedimento conclusivo di condanna. Se si procede per via giudiziale, i tempi si allungano notevolmente perché un processo civile, per quanto poco complesso possa essere, non dura quasi mai meno di due anni».
Italia al quinto posto per trattamenti medici a finalità estetica
Stando ai dati diffusi dall’Associazione italiana di chirurgia plastica estetica (Aicpe), nel 2019 in Italia è stato effettuato più di un milione di pratiche di medicina o chirurgia estetica, con un aumento del 7,8% rispetto all’anno precedente. Il nostro Paese, dunque, si posiziona al quinto posto per totale di procedure, dopo Stati Uniti, Brasile, Giappone e Messico. A fronte di questi dati, anche la giurisprudenza e la medicina legale si sono trovate sempre più spesso ad avere a che fare con il fenomeno dei trattamenti medici a finalità estetica. Non è così raro, infatti, imbattersi nell’errore o nell’insuccesso, che talvolta possono comportare un danno estetico più o meno esteso.
Chi fa un “ritocchino” e subisce un danno, può ottenere un risarcimento?
Ma chi sceglie di ricorrere al bisturi o a trattamenti non chirurgici per finalità estetiche e subisce un pregiudizio ha meno diritti di chi si imbatte in un danno estetico causato da un incidente o da un’aggressione? «Assolutamente no, chi si sottopone a un intervento di chirurgia plastica o di medicina estetica ha diritto a essere adeguatamente risarcito in caso di danno, proprio come avviene in tutti gli altri casi», interviene Piergiovanni Rocchi, psicoterapeuta, specialista in dermatologia e medicina legale e delle assicurazioni e co-autore di Il danno estetico. Valutazione medico-legale (Giuffrè Editore).
La sentenza del Tribunale di Milano del 2017
A confermarlo è anche una sentenza del Tribunale di Milano del 2017, che ha stabilito che chi si rivolge a uno specialista di chirurgia plastica o medicina estetica «lo fa per finalità spesso esclusivamente estetiche e, dunque, per rimuovere un difetto, e per raggiungere un determinato risultato, e non per curare una malattia. Ne consegue che il risultato rappresentato dal miglioramento estetico dell’aspetto del paziente non è solo un motivo, ma entra a far parte del nucleo causale del contratto, e ne determina la natura».
Dunque l’errore, l’insuccesso e l’omissione restano comunque tali anche se il paziente si sottopone a interventi estetici e non prettamente terapeutici. «Chi ricorre a trattamenti estetici lo fa per migliorare la propria esteriorità o correggere imperfezioni fisiognomiche, nell’ottica di stare meglio con se stesso e verso gli altri. Spesso, infatti, alla base delle richieste di questi pazienti, ci sono problematiche psico-relazionali importanti, che creano disagio e malessere. In queste persone, dunque, il danno può ledere non solo l’immagine ma anche la sfera emotiva del danneggiato. Aspetti, questi, dei quali il medico legale deve tenere conto in sede di valutazione del danno estetico, ai quali si sommano i fattori già citati dal professor Vergari e le tabelle della Società italiana di medicina legale», conclude Rocchi.