Nella vita bisogna stringere i denti, è vero, ma per un italiano su tre questo detto popolare si è purtroppo trasformato in una dolorosa realtà quotidiana: per colpa dei ritmi di vita frenetici, del fumo e del consumo di alcol e droghe, sono sempre più numerose le persone che soffrono di bruxismo, un disturbo che determina il serramento della mascella e il digrignamento dei denti con l’insorgenza di tensioni muscolari e un progressivo danneggiamento della dentatura. A fare il punto della situazione sono gli esperti dell’Accademia Italiana di Odontoiatria Protesica (Aiop).
I dati raccolti indicano che il bruxismo colpisce ormai a «tutte le età, compresi i bambini, con un trend che negli ultimi anni, complice il cambiamento negli stili di vita, ha visto aumentare la sua incidenza nella popolazione mondiale».
Secondo le stime dell’Aiop, «in Occidente il 12% delle persone soffre di bruxismo notturno, mentre circa il 30% avrebbe episodi di bruxismo diurno nel corso della giornata. In Italia, le “vittime” potrebbero arrivare a 15-18 milioni».
A favorire la diffusione del bruxismo, spiegano gli esperti, sarebbero «anche i ritmi di vita sempre più frenetici e alcuni comportamenti a rischio, quali il fumo o il consumo di alcolici, mentre fra i giovani il disturbo può manifestarsi anche come effetto secondario di alcune droghe sintetiche, come l’ecstasy».
Spesso chi “bruxa” non se ne accorge neppure, perché lo fa in maniera inconsapevole mentre dorme o quando è soprappensiero. Per scoprirlo, però, basta fare attenzione ad alcuni segnali che ci invia il nostro corpo, come spiega Fabio Carboncini, presidente dell’Aiop: «oltre ad una dentatura danneggiata o consumata, vi sono il rumore notturno (presente nel 25% dei casi), la sensazione di tensione mandibolare al risveglio o di dolore localizzato alle arcate dentali e la ricorrenza di cefalee muscolo-tensive. In passato – continua Carboncini – grande importanza è stata attribuita alla malocclusione dentale come causa di bruxismo. Oggi, invece, autorevoli ricerche scientifiche ne hanno ridimensionato la portata, spostando l’attenzione verso fattori psicologici e vari aspetti neurologici legati alla struttura del sonno. In altre parole, il disturbo sarebbe regolato dal sistema nervoso centrale e non dagli stimoli periferici».
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