Alcuni tra i più comuni farmaci antipertensivi possono influire sul rischio di sviluppare depressione e altri disturbi dell’umore: i calcio-antagonisti e i beta-bloccanti sembrano avere un effetto destabilizzante, mentre gli ACE-inibitori e i sartani potrebbero avere addirittura un effetto protettivo. A indicarlo è un ampio studio pubblicato sulla rivista Hypertension dall’Università di Glasgow.
I ricercatori hanno messo sotto osservazione oltre 140mila pazienti tra i 40 e gli 80 anni, in terapia da almeno 90 giorni con le classi di farmaci antipertensivi più comuni: beta-bloccanti, calcio-antagonisti, ACE-inibitori, sartani e diuretici tiazidici. La loro salute mentale è stata monitorata per cinque anni, e i dati raccolti sono stati messi a confronto con quelli di oltre 11.000 persone che non assumevano nessuno di questi farmaci.
Dai risultati è emerso che il rischio di ricovero per disturbi dell’umore è raddoppiato nei pazienti in terapia con beta-bloccanti e calcio-antagonisti rispetto a quelli che assumono ACE-inibitori o sartani. Questi ultimi, al contrario, sembrano correre il rischio più basso in assoluto, sia rispetto agli altri pazienti ipertesi che rispetto alle persone che non assumono alcun farmaco. Il rischio di disturbi dell’umore è invece risultato praticamente invariato in coloro che utilizzano i diuretici tiazidici.
«È importante che questi risultati vengano comunque validati da nuovi studi indipendenti», sottolinea il coordinatore della ricerca, Sandosh Padmanabhan. «Il nostro studio è stato condotto in un unico centro – aggiunge – e ha preso in considerazione solo il rischio di sviluppare i disturbi dell’umore più severi che richiedono il ricovero. Sarebbe importante approfondire l’effetto di questi farmaci anche su condizioni meno gravi, che possono comunque condizionare la qualità di vita dei pazienti ipertesi».
Quel che è certo è che la salute mentale di questi pazienti «è un aspetto spesso trascurato nella pratica clinica», ricorda Padmanabhan. «I medici però dovrebbero essere più consapevoli del possibile impatto dei farmaci e considerare se determinano effetti negativi sui pazienti».
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