Cosa c’è di vero su ciò che si sente dire sulle persone con sindrome di Down? Purtroppo i pregiudizi su questa condizione sono ancora molti. Nonostante siano stati fatti molti passi avanti, infatti, c’è ancora tanto lavoro da fare. Un lavoro che vede impegnate soprattutto le associazioni, come l’Associazione Italiana Persone Down (Aipd), la cui coordinatrice nazionale, Anna Contardi, ha scritto 10 Cose che ogni persona con sindrome di Down vorrebbe che tu sapessi (Erickson). Un libro rivolto non tanto ai genitori e alle famiglie di persone disabili, ma a tutti gli altri, che ne sanno poco e niente. O meglio, si pensa di saperne, ma in realtà si ragiona per luoghi comuni: sono tutti uguali, sono lenti, non sono indipendenti e rimarranno degli eterni bambini.
«La situazione negli ultimi 40 anni è migliorata molto e nel libro faccio un confronto soprattutto dal punto di vista dell’inclusione», spiega l’autrice. «Tuttavia, le conoscenze sulle potenzialità delle persone con sindrome di Down sono ancora basse: si tende a omologare, a pensare che queste persone siano tutte simili e che non abbiamo, esattamente come ognuno di noi, personalità e caratteristiche diverse».
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La sindrome di Down
La sindrome di Down nasce da un difetto genetico congenito, un’anomalia cromosomica (ci sono tre cromosomi, invece che due, nella coppia 21) che causa un ritardo mentale più o meno grave. Il deficit cognitivo è associato a caratteristiche fisiche tipiche, come il viso più rotondo, il taglio orientale degli occhi, lo scarso tono muscolare, e a una maggiore incidenza di problemi di salute, soprattutto cardiopatie e disturbi respiratori. In Italia riguarda un bambino ogni 1.200: la stima è di circa 500 nascite ogni anno e si calcola che oggi vivano nel nostro Paese circa 38.000 persone con sindrome di Down. Non esiste una terapia specifica, ma la durata e la qualità della vita di queste persone è migliorabile con interventi mirati sui problemi di salute e con adeguate terapie riabilitative fisiche e mentali.
L’aspettativa di vita è aumentata: il 60% delle persone con sindrome di Down è adulta
Quanto più sono seguiti e stimolati i bambini con sindrome di Down, tanto più soddisfacente sarà il loro inserimento sociale, scolastico e lavorativo. E su questo fronte, rispetto agli anni Settanta, quando questi bambini venivano messi in istituto, si sono fatti enormi progressi e l’aspettativa di vita è aumentata molto: oggi supera i 60 anni, nel 1929 era di appena nove. «Circa il 60% delle persone con sindrome di Down in Italia è adulta», conferma la coordinatrice di Aipd. «A incidere sulla migliore aspettativa di vita sono due fattori: i progressi della medicina e la vita in famiglia. Nel primo caso ci sono più interventi sulle cardiopatie congenite, spesso causa di morte, e una migliore cura della salute in genere; nel secondo caso, la vita familiare ha contribuito a migliorare le abilità cognitive, la sfera relazionale, il processo di inclusione».
Le persone con sindrome di Down nel mondo degli adulti
L’ingresso delle persone con sindrome di Down nel mondo degli adulti apre una serie di tematiche.
Il tema dell’indipendenza dalla famiglia
La prima è l’indipendenza dalla famiglia, il futuro in un’altra casa e, perché no, in un nucleo familiare proprio. Ma è davvero un passo accessibile a tutti? «Dipende dal livello di disabilità e dagli interventi educativi ricevuti», sottolinea Anna Contardi. «Gli errori più ricorrenti da parte dell’ambiente sono due: sostituirsi completamente al bambino, lasciandogli poco margine di autonomia, perché si pensa non sia in grado di fare nulla, oppure diventare iper-affettivi, riempiendolo di coccole e permessi per colmare il disagio di non poter fare di più. In entrambi i casi si rischia la cosiddetta “esplosione di incapacità” del bambino, che farà meno di quel che potrebbe fare e faticherà di più a diventare un adulto autonomo. Nella nostra associazione teniamo corsi di formazione per sviluppare il più possibile le abilità e la consapevolezza di questi ragazzi».
Il tema dell’amore
Seconda tematica, l’amore. Anche le persone con sindrome di Down, infatti, si interessano all’altro sesso, si piacciono e si innamorano, come racconta l’autrice in un intero capitolo del libro. «Anche in questo caso influisce il grado di disabilità cognitiva: ci sono persone che manifestano solo interessi per l’altro sesso e altre che invece arrivano a costruire una vera e propria vita di coppia fino ad andare a vivere insieme», racconta la coordinatrice di Aipd.
Il tema del lavoro
Terza, ma non meno importante tematica, il lavoro. Secondo i dati di un’indagine del Coordinamento Nazionale Associazioni delle persone con sindrome di Down (CoordDown), ha un lavoro a tempo indeterminato o determinato appena il 13% delle persone Down maggiorenni. Una percentuale bassa, ma comunque più alta rispetto ad altri stati in Europa.
Per promuovere l’inserimento nel mondo del lavoro l’Aipd opera da molti anni. Nel 2017 ha promosso un progetto europeo, «OMO – On my own… At work», finanziato dalla Commissione Europea: l’iniziativa ha coinvolto Italia, Spagna, Portogallo, 39 agenzie formative, 80 hotel e aziende di ristorazione, oltre che università e associazioni di persone con disabilità. Nel giro di tre anni, 95 persone con disabilità intellettiva hanno effettuato un tirocinio, 18 sono state assunte. A seguito di questo l’Aipd ha anche lanciato il marchio internazionale «Valueable», che si assegna alle imprese dell’ospitalità (hotel, ristoranti, bar) che si impegnano nell’inserimento di una persona con sindrome di Down o disabilità intellettiva per creare un’intesa forte fra mondo della formazione e mondo del lavoro. Il marchio è già diffuso in Spagna, Portogallo, Germania, Italia, Ungheria e Turchia.
La legge 68/1999 per assumere persone con disabilità
Tornando all’interno dei confini nazionali, quando si parla di lavoro e disabilità in Italia non si può che partire dalla legge 68 del 12 marzo 1999, che impone alle aziende con più di 15 dipendenti di assumere persone con disabilità in cambio di sgravi fiscali. Le realtà con meno di 15 dipendenti, invece, non hanno alcun obbligo, ma possono contare sulle stesse agevolazioni. La legge, tuttavia, è importante soprattutto per la clausola sul collocamento mirato. «Si tratta della possibilità di favorire l’inserimento lavorativo da parte di mediatori, che possono svolgere delle azioni a supporto sia dell’azienda sia del lavoratore. L’obiettivo è mettere la persona giusta nel posto giusto, trovare un lavoro adatto alla persona con disabilità, aiutando l’azienda a inserirla con le modalità più efficaci», spiega Monica Berarducci, responsabile dell’Osservatorio sul mondo del lavoro dell’Aipd.
Le associazioni affianco delle persone con sindrome di Down
Per le persone con sindrome di Down il lavoro è fondamentale perché evita l’isolamento al quale, finito il ciclo di studi, molti ragazzi sono destinati. «Secondo quanto indicato dalla legge, la mediazione dovrebbe essere svolta da uffici competenti, ma il servizio pubblico non riesce a intervenire a sufficienza e così i principali attori di questa mediazione sono le associazioni», continua l’esperta.
I numeri di Aipd sono confortanti: i dati aggiornati a dicembre 2018 indicano che il 16,4% delle persone con sindrome di Down che si affidano all’associazione hanno un lavoro. E il dato è in crescita, perché solo nel 2018 sono state fatte 42 nuove assunzioni, un numero, sottolinea Monica Berarducci, «che fino a qualche anno fa si raggiungeva in dieci anni!». Se infatti prima gli inserimenti si facevano solo per ottemperare la legge, oggi i collocamenti mirati creano le giuste sinergie e molti datori di lavoro hanno capito che le persone disabili sono lavoratori produttivi, professionali e precisi. «Abbiamo feedback positivi da parte di aziende che ci dicono come il clima migliori e le persone si aprano maggiormente al confronto e alla coesione», racconta l’esperta.
Le mansioni sono variegate
Rispetto al passato, anche il panorama dei lavori svolti dalle persone con sindrome di Down si è ampliato. Un tempo si collocavano più che altro nella ristorazione oppure dietro le quinte di qualche esercizio commerciale, oggi, invece, le mansioni sono più trasversali: commessi, camerieri, operai, segretari, operatori. «Non tutti possono lavorare nello stesso ambito: alcuni sono inseriti in ambienti a contatto con il pubblico come hotel, ristoranti, negozi, altri partono collaborando con le cooperative sociali», sottolinea Monica Berarducci. Una volta individuato il posto di lavoro più adatto alle caratteristiche di un candidato, l’associazione segue il percorso di inserimento in tutte le sue fasi: dai colloqui alla burocrazia, fino alle giornate di lavoro, dove è prevista la presenza di un tutor, un operatore dell’Associazione che ha il ruolo di mediare tra l’azienda e il nuovo lavoratore.
Datori di lavoro e colleghi vanno sensibilizzati
Molti interventi di formazione, tuttavia, vengono intrapresi anche lato azienda. «Datori di lavoro e colleghi vanno sensibilizzati», conclude l’esperta. «Il rischio altrimenti è che la persona con sindrome di Down venga trattata con eccessivo buonismo oppure come si farebbe con un bambino. Invece è importante intervenire su eventuali errori e comportarsi come con tutti: solo così entrerà nel suo ruolo di adulto e crescerà anche professionalmente».
La realtà di Jobmetoo
L’agenzia per il lavoro Jobdisabili viene fondata nel 2013, con la piattaforma Jobmetoo presentata in versione “beta”. Nel 2014 il progetto convince anche due fondi di venture capital, che decidono di investire in una realtà che può così avviare un ulteriore piano di rafforzamento grazie al quale raggiunge i 10.000 candidati iscritti al portale in pochi mesi. Nel 2015, i candidati diventano 45.000 e «Jobmetoo si conferma già all’epoca come il primo portale in Italia a fornire un servizio di recruiting online dedicato alle persone con disabilità e appartenenti alle categorie protette» dichiara Daniele Regolo, Founder Jobmetoo e Brand Ambassador D&I Seltis Hub.
L’anno successivo viene lanciato il servizio SAAS, un software dedicato alla gestione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro che rende ancor più agevole il dialogo tra le aziende e i candidati, che salgono a 85.000. Nel 2019 il servizio viene implementato con un’offerta di formazione personalizzata e il portale raggiunge così i 125.000 iscritti, con una crescita del 20% rispetto al 2018. «Nel corso del 2020 Jobmetoo ha raggiunto i 135.000 utenti registrati. Negli anni ha lavorato con oltre 2.000 aziende e nell’ambito ricerca e selezione ha raggiunto una percentuale di successo del matching di circa il 70%» conclude Regolo.