Un farmaco per scongiurare le abbuffate di patatine, dolci e cibi super calorici potrebbe essere presto disponibile. Non si parla di un nuovo rimedio per dimagrire o mantenere il peso forma, ma di un possibile trattamento farmacologico per il disturbo da alimentazione incontrollata, in inglese binge eating disorder, caratterizzato da episodi ricorrenti di mangiate fuori controllo, simili a quelle della bulimia.
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Binge eating disorder: come si cura oggi?
In Italia si tratta di una patologia alimentare abbastanza comune. Ne soffre il 3,5% delle donne e il 2% degli uomini e sia nel nostro Paese che in Europa non esistono farmaci approvati per il suo trattamento. Attualmente, i trattamenti più significativi per questo disturbo prevedono una combinazione di psicoterapia e farmacoterapia. Quest’ultima generalmente basata su farmaci antidepressivi. Tuttavia, il tasso di ricaduta è ancora molto e troppo elevato.
Binge eating disorder: un nuovo farmaco
La novità è che adesso una molecola – chiamata oleoiletanolamide – potrebbe aiutare le persone che soffrono di binge eating disorder e diventare il primo farmaco specifico per il suo trattamento. Se ne parla al 40° Congresso Nazionale della della Società italiana di farmacologia, dove gli esperti hanno presentato un articolo pubblicaro su Neuropsycopharmacology Springer Nature Journal. «L’oleoiletanolamide è un lipide prodotto dal nostro intestino dopo un pasto», spiega Silvana Gaetani, professoressa di di Farmacologia all’Università Sapienza di Roma e parte del gruppo di Lavoro «Obesità, Sindrome Metabolica e Disordini Alimentari» della Sif. «Questa sostanza segnala al nostro cervello una condizione di sazietà. In questo modo limita il consumo eccessivo di cibo e stimola il nostro metabolismo a bruciare i grassi».
Perché alcuni cibi creano dipendenza
Un potenziale farmaco a base di oleoiletanolamide potrebbe quindi mettere un freno alle abbuffate incontrollate di cibi che creano dipendenza. «Molti alimenti, soprattutto quelli ricchi di zuccheri – continua infatti l’esperta – costituiscono una fonte di energia immediatamente disponibile per l’organismo e allo stesso tempo stimolano il rilascio di dopamina nel cervello». La dopamina è un neurotrasmettitore che viene rilasciato dall’organismo quando mangiamo, facciamo sesso, shopping oppure quando assumiamo stupefacenti come ecstasy e cocaina. Perciò viene definita la “molecola del piacere”. E per molti il cibo può rappresentare proprio questo: sfuggire alle emozioni negative e gratificarsi con un comportamento che rilascia dopamina. E che, alla fine, diventa una dipendenza incontrollabile.
Quando l’abbuffata diventa un disturbo
L’abbuffata, infatti, diventa un disturbo quando non è più finalizzata a colmare un senso di fame o a vivere un momento di socialità, ma diventa compulsiva e ripetitiva. A differenza della bulimia, che pure è caratterizzata da mangiate non controllate, il binge eating disorder «non è seguito da atti compensatori o di eliminazione. Ad esempio l’induzione del vomito o l’auto-somministrazione di lassativi», conclude Carlo Cifani, professore di Farmacologia all’Università di Camerino ed esperto della Sif. «Per questo chi ne è affetto spesso sviluppo obesità, oltre che un marcato disagio psicologico. Caratterizzato da depressione, ansia, bassa autostima o altri problemi che possono influenzare notevolmente la qualità della vita». Con la ricerca sull’oleoiletanolamide si auspica di prevenire e contrastare il binge eating disorder modulando le funzioni di specifiche aree del cervello attivate dallo stress o da stimoli gratificanti.