«E se cado una volta, una volta cadrò e da terra da lì mi alzerò». Questa canzone dei Negrita mi piace particolarmente perché sottolinea il momento della caduta: l’impatto con il suolo e la necessità di rialzarsi. In quel suolo mi sono imbattuta a 15 anni quando, a causa di un infortunio durante gli allenamenti, ho dovuto abbandonare il pattinaggio. Ero un’atleta professionista e lo sport era, oltre che la mia passione, anche la mia vita. Allenarsi ad alti livelli comporta una dedizione totale: mi esercitavo ogni giorno per diverse ore e la cerchia di amiche era circoscritta a quella delle mie compagne di ghiaccio. La rottura dei legamenti non ha significato solo non poter più pattinare ma anche cambiare radicalmente la mia esistenza. È stato un vero trauma che mi ha gettato nello sconforto più totale. L’adolescenza è stato il periodo più buio della mia vita, anche perché ha coinciso con la separazione dei miei genitori e con la scomparsa di mio nonno, che era per me un punto fermo.
Ero diventata cupa e irascibile
Nonostante la vicinanza e l’aiuto di mia madre, il crollo emotivo è stato inevitabile. Incontrai in quel periodo una «compagna di viaggio» particolare chiamata depressione, che come tutte le conoscenze sbagliate ti trasforma in una persona che non vorresti essere. Ma se la si affronta può anche essere una preziosa maestra di vita, che ci rende persone più mature e sensibili. Prima di allora ero una ragazzina solare, espansiva (anche troppo), studiosa e circondata da amiche. Quella Gabriella aveva lasciato il posto a un’altra che si barricava in camera, melanconica, silenziosa e arrabbiata con il mondo ma soprattutto con se stessa. Avevo chiuso ogni tipo di rapporto con il mondo del pattinaggio: era come se ne volessi cancellare il ricordo e con esso anche la caduta.
Ho cambiato città
Una volta compreso, ma non accettato, che quella non sarebbe stata più la mia strada, mi trasferii a Roma e iniziai a fare i primi provini. Pensavo che cambiare aria mi avrebbe fatto bene ma, soprattutto, volevo dimostrare a me stessa che potevo farcela. Anche se non ho mai pensato che la recitazione potesse essere il sogno della mia vita, nel giro di pochi mesi mi aggiudicai la parte da protagonista in Ferdinando e Carolina di Lina Wertmuller: il primo film importante che poi ha inaugurato la mia carriera. Ero contenta di quello che mi si proiettava davanti, ma in cuor mio sapevo che fare l’attrice era un ripiego. Per quanto cercassi di mascherare questa sofferenza, il disagio che avevo dentro si rifletteva nel modo in cui mi rapportavo al mondo. Non ero una ragazzina serena.
Ho sconfitto i mostri del passato
A quel punto capii qual era la via più giusta: affidarmi a uno specialista che mi aiutasse a capire i miei problemi, ad ascoltarli e dunque a trovare delle risposte. Intrapresi un percorso con un analista che è durato circa dieci anni, nei confronti del quale ho sviluppato sin da subito un atteggiamento critico, propositivo e mai dipendente. Il nostro non era il classico rapporto medico-paziente ma, piuttosto, quello di due persone che ogni settimana si incontravano per discutere di qualcosa. Certo, il tema di ogni incontro ero io, ma questo offriva lo spunto per discutere su altri argomenti. In questo modo, l’analisi mi ha permesso di vedere certi aspetti della vita con maggiore lucidità e di sconfiggere i mostri del passato. È come se il mio specialista mi avesse aiutato a costruire un paio di occhiali, capaci di mettere a fuoco le difficoltà e a esaminare i miei comportamenti e quelli degli altri. Non è stato semplice confezionare questi occhiali, perché se da un lato mi hanno salvato dall’ansia di cui soffrivo, dall’altro mi hanno abituata ad analizzare tutto in continuazione e a volte può essere scomodo e faticoso.
Oggi sono serena
Ora, però, ho trovato un equilibrio interiore e posso definirmi una persona serena che è stata capace rialzarsi da quella caduta rendendola ancora più forte. E quando pensi che la vita sia stata a volte ingiusta, arriva l’amore a restituirti tutto. Con Giulio e Richard, rispettivamente mio figlio di otto mesi e mio marito, sto rivivendo una seconda adolescenza. Loro sono i complici della mia serenità e felicità in un perfetto scambio reciproco, che sicuramente traspare anche dal mio viso (visto che tutti ora mi chiedono perché sono particolarmente radiosa…). Il punto è che non c’è cura migliore per lo spirito che il profumo del tuo bambino e l’abbraccio di tuo marito. Ah, dimenticavo: ho comprato un paio di pattini nuovi…
Gabriella Pession
Testimonianza raccolta da Cinzia Galleri per OK Salute e benessere, settembre 2016
TI POTREBBERO INTERESSARE ANCHE
Adolescenti in crisi: quando serve aiuto
Filippa Lagerback: «Ho vinto l’insicurezza con le risate, la gravidanza e un cane
Selvaggia Lucarelli: «Il dolore per un amore finito mi ha fatto perdere i capelli»
Martina Colombari: «A 40 anni ho imparato a dire no»
Depressione: guarire si può, soprattutto se abbiamo amici fidati