Quella in arrivo sarà per noi la seconda primavera in mascherina, dopo l’esplosione dell’emergenza coronavirus datata 20 febbraio 2020. Da un anno coprirci naso e bocca è diventata un’abitudine quotidiana per (quasi) tutti noi, resa obbligatoria per legge in determinate occasioni e luoghi, avversata da negazionisti e cattivi maestri, specie a livello politico. È molto probabile che continueremo a indossare la mascherina nel 2021 e forse in parte anche nel 2022, a meno di un forte incremento della produzione di vaccini. Ma dopo il primo anno il bilancio del suo uso è, a differenza di quello economico italiano, nettamente in attivo. Parola di pneumologo.
«Certo», spiega Pierachille Santus, professore di malattie respiratorie all’Università degli Studi di Milano, direttore della pneumologia all’Ospedale Sacco e membro del Comitato Scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), «la mascherina può rappresentare una barriera che aumenta la resistenza respiratoria, rendendo difficoltoso lo svolgimento di alcune attività, ma, se si considera il rapporto tra danno e beneficio nell’indossarla, la bilancia pende nettamente a favore del vantaggio. A patto, ovviamente, che la mascherina sia del tipo chirurgica, FFP2 o FFP3, perché quella di cotone serve a poco o niente in quanto ha una percentuale di filtraggio di particelle tra il 10% e il 20%».
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L’influenza è quasi scomparsa
Utilità già certificata dall’inverno che sta finendo. «L’indispensabilità della mascherina per ridurre il contagio da coronavirus è inequivocabile, come dimostrato anche dagli ultimi studi pubblicati», sottolinea l’esperto. «A tale effetto si associa, però, anche la riduzione della circolazione di altri virus e, in modo diretto e indiretto, di batteri. Quest’anno, infatti, la curva d’incidenza del virus influenzale è praticamente piatta, come evidenziano i dati raccolti da InfluNet, il sistema nazionale online di sorveglianza dell’Istituto Superiore di Sanità».
Un fenomeno che si registra a livello mondiale, già osservato nell’inverno nell’emisfero australe e che finora si è confermato anche in quello boreale (il nostro), con grande soddisfazione di medici e istituzioni. Destava, infatti, grande preoccupazione la possibilità che ai contagi da Sars-CoV-2 si unissero quelli da influenza in un cammino parallelo, uno scenario da «tempesta perfetta» – per definirlo come la rivista Science – che avrebbe rischiato di portare al collasso i sistemi sanitari dei vari Paesi.
«Persino i casi di raffreddore, clinicamente non rilevante ma pur sempre fastidioso, hanno subito una riduzione», prosegue Santus, «e pure per quel che concerne i pazienti con problemi respiratori stiamo vedendo sul campo una chiara e netta diminuzione delle riacutizzazioni bronchitiche, in pratica con la scomparsa del 50% delle problematiche, cioè di quel 25% legato ai soli virus e di un altro 25% nel quale al virus iniziale segue la sovrainfezione batterica. Ma anche la percentuale del 40% dovuta esclusivamente ad agenti batterici si è ridotta, perché di solito questi microrganismi hanno dimensioni maggiori del coronavirus e, quindi, la mascherina li blocca, e inoltre è più facilmente gestibile il 10% di situazioni restanti causato da fattori ambientali: con i lockdown è diminuita la circolazione di persone e, di conseguenza, l’inquinamento e, comunque, all’esterno la gente porta la mascherina».
Adesso, invece, con la primavera alle porte inizia la circolazione nell’atmosfera dei pollini. Quelli di betulla, nocciolo e ontano tra febbraio e marzo; quelli prodotti dalla fioritura delle graminacee da marzo a settembre e dell’ambrosia da agosto a ottobre. E coi pollini si scatenano le reazioni nel 15-20% della popolazione. L’esposizione fa sì che l’organismo delle persone allergiche produca anticorpi specifici, le immunoglobuline E (IgE), che, legandosi alla superficie di cellule presenti nelle mucose e nei tessuti epiteliali del sistema respiratorio, inducono a loro volta il rilascio di sostanze irritanti, le istamine soprattutto, che infiammano i tessuti dermici e le mucose. Tuttavia anche in questo caso l’uso della mascherina è un’ottima barriera difensiva.
A testimoniarlo è uno studio che a breve sarà condiviso con la comunità scientifica, svolto da Paola Rogliani, professore di malattie respiratorie all’Università di Roma Tor Vergata, direttore della pneumologia Policlinico Tor Vergata di Roma e membro del Comitato Scientifico SIMA, ricerca nata dalla collaborazione col collega Gennaro Liccardi, docente a contratto alla scuola di specializzazione di malattie respiratorie nello stesso ateneo e già responsabile dell’ambulatorio di allergologia dell’Ospedale Cardarelli di Napoli. «Abbiamo coinvolto», spiega la pneumologa, «oltre 300 pazienti affetti da congiuntivite o rinite allergica attraverso un questionario sull’uso della mascherina alla fine della prima ondata pandemica, il periodo in cui, causa la penuria di queste protezioni persino per i sanitari, le persone si autoproducevano mascherine in stoffa. Dai risultati ottenuti, la congiuntivite è rimasta invariata, in quanto gli occhi non sono coperti, ma la sintomatologia nasale è migliorata in quasi il 60% dei soggetti esaminati, mentre è rimasta stabile in un 30% e nel 10% è peggiorata».
Va da sé che, se persino le mascherine fai-da-te proteggono dai pollini, con quelle certificate l’effetto è sicuramente superiore. «Però finora nella letteratura scientifica è comparso poco o nulla sul tema», nota ancora Paola Rogliani, «se non un articolo del 2005 su Rhinology. Riportava una ricerca basata su un piccolo campione di volontari sull’utilità di maschera facciale e occhiali e si era visto che l’invasione del polline nella cavità nasale dovuta all’uso di una maschera facciale diminuiva significativamente, mentre per la congiuntivite l’uso di occhiali proteggeva relativamente. Di pochi mesi fa è, invece, uno studio israeliano che ha valutato un gruppo d’infermieri che indossava la mascherina chirurgica per lavoro: anche in questo caso i risultati evidenziavano che l’uso della maschera facciale può ridurre i sintomi legati alla rinite allergica».
Alleviare i fastidi dell’uso prolungato di mascherine
Certo, portare a lungo la mascherina non è esente da fastidi, «semplicemente perché non siamo nati con essa ed è come se ci fossimo svegliati con una protuberanza in più, “cresciuta” dal giorno alla notte. Il nostro organismo ha bisogno di tempo per adattarsi: in questo caso il tempo gli è mancato». A intervenire è Stefano Sala, Ceo di POP, che ha messo in campo competenze eccellenti e le tecniche più avanzate a livello internazionale per dare vita, appunto, al progetto POP, brevettandolo. «È un’innovazione che si applica a ogni tipo di mascherina che protegga da virus, batteri e allergeni: purifica l’aria respirata, migliora la meccanica respiratoria e rende piacevole l’uso stesso della mascherina. Un serbatoio termoformato contiene il cuore di POP, pregiati oli balsamici racchiusi in una microsfera attiva. Questa miscela, una volta rilasciata esercitando pressione sulla sfera, penetra attraverso una membrana bio-compatibile a permeabilità controllata, la quale garantisce una piacevole diffusione graduale e persistente del prodotto, che previene e contrasta la sensazione di oppressione che in alcuni soggetti potrebbe portare a manifestazioni di natura ansiosa, mal di testa, nausee, affanno. Gli effetti di una profonda respirazione non tardano a manifestarsi in tutto l’organismo, regalando un benessere profondo».
L’hi-tech per ambienti indoor
Se all’esterno la mascherina si è rivelata il mezzo più efficace di protezione da agenti patogeni e allergeni, negli ambienti interni è anche la tecnologia ad aiutarci a respirare sano. Hoover, brand che fa capo al leader mondiale degli elettrodomestici Haier, ha sviluppato una gamma completa di purificatori d’aria, in grado di scansionare in tempo reale la qualità dell’aria interna, filtrarla e diffondere il flusso d’aria purificata in tutte le direzioni.
«Grazie al filtro a triplo strato la nostra gamma
H-PURIFIER è in grado di rimuovere il 99,97% delle particelle nocive fino a 0,3 micron come PM 10 e PM 2,5, oltre a gas e allergeni, e uno speciale trattamento cattura i pollini e li rende innocui», sottolinea Atena Manca, Brand Manager di Hoover. «H-PURIFIER è interamente controllabile da remoto tramite l’app hOn, che consente tutte le funzionalità, incrocia dati esterni ed esterni sulla qualità dell’aria, invia consigli sull’utilizzo del dispositivo e soprattutto trasmette notifiche in caso di elevata concentrazione di CO2 o di pollini. Disponibile in tre modelli, è adatto e utilizzabile per qualsiasi tipo di ambiente interno, sia domestico che professionale, ed è in grado di purificare una stanza di 20 mq in soli 10 minuti con un consumo energetico estremamente ridotto».
Per respirare bene nei luoghi chiusi è anche importante sapere cosa respiriamo. SDP Italia, start up innovativa pugliese, ha creato una divisione aziendale specializzata nell’indoor air quality, Aly Tech, selezionando le migliori tecnologie disponibili sul mercato, validate scientificamente dalle primarie università pubbliche italiane. Tecnologie il cui cuore è nato dalla ricerca scientifica e che sono in grado di rispondere alle esigenze di prevenzione e benessere della persona. «È un progetto volto a rendere disponibili sul mercato tecnologie top di gamma a un prezzo etico, per consentire a tutti, singoli utenti privati come grandi aziende, di poter fare prevenzione primaria nei luoghi di vita e di lavoro, perché l’aria che respiriamo dev’essere resa salubre e la sua qualità sempre monitorata», precisa il Ceo, Francesco Cannone. «SDP Italia, con Aly Tech, ha oggi a listino sistemi di VMC, sensori per il monitoraggio dell’aria indoor, dispositivi di sanificazione e di depurazione dell’aria che rispondono alle reali esigenze dell’utente: prezzi corretti, consumi contenuti, basso costo di manutenzione, tecnologia IoT, piattaforma web e app che facilitano la lettura in tempo reale dei dati relativi alla presenza di alcuni inquinanti all’interno degli ambienti indoor».
«Nel settore vige un’assenza di regole e di una legislazione che normi in modo complessivo i parametri per un’ottimale indoor air quality», conclude Alessandro Miani, presidente SIMA e docente di prevenzione ambientale alla Statale di Milano. «Come SIMA abbiamo sottoposto una proposta di legge al Parlamento due anni fa, ma non ha ancora trovato una strada attuativa. È necessario che la scienza, grazie a validazioni stringenti affidate a primari laboratori pubblici, possa fare da spartiacque per chiarire, a tutela del consumatore, quali tecnologie, prodotti e servizi sono validi e sicuri per l’uso in presenza di persone, quali non impattano negativamente sull’ambiente, quali assicurano una mitigazione del rischio sanitario determinato dagli inquinanti ambientali in atmosfera, così come in acqua e nella terra».
Allenati così a respirare correttamente
Il respiro non è solo un atto naturale, ma è anche alla base del nostro stato di salute. Una buona respirazione, infatti, consente di mantenere in salute l’apparato respiratorio, migliorare i processi metabolici e circolatori dell’intero organismo e la postura, prevenire l’insorgenza degli stati di ansia tramite un maggior controllo dell’emotività e dello stress e una maggior capacità di concentrazione e rilassamento. Una scorretta respirazione, invece, può compromettere il nostro benessere sia fisico sia mentale. «Questo», spiega Paolo Parente, Ceo dell’Istituto di Osteopatia TCIO di Milano e del poliambulatorio Take Care, «perché l’atto inspiratorio ed espiratorio viene regolato dal nostro cervello con lo scopo principale di fornire ossigeno ai tessuti ed eliminare l’anidride carbonica prodotta dal metabolismo cellulare».
L’importanza del diaframma
Per respirare in modo giusto non bisogna solo attivare il torace, ma vanno usati correttamente i muscoli accessori, il più importante dei quali è il diaframma. «Una sua disfunzione protratta nel tempo», osserva l’esperto, «può comportare, oltre a difficoltà di respirazione, anche problematiche posturali, digestive, urinarie, linfatiche e l’accentuazione di stress psicofisico. L’osteopata, attraverso una valutazione dettagliata, esclusivamente manuale, riesce a comprendere se il diaframma ha limitazioni di mobilità e, di conseguenza, può ripristinare il movimento diaframmatico corretto, con conseguente miglioramento di ossigenazione del sangue».
Falsi miti
Sulla respirazione circolano consigli che in realtà sono errati; in particolare, Parente individua tre falsi miti.
- Più riempite i polmoni e meglio è: non è importante la quantità di ossigeno, ma quanto di questo passa nei tessuti ed entra nelle cellule.
- Svuotate il più possibile i polmoni espirando: significherebbe far abbassare troppo il livello di anidride carbonica e questo può causare diverse malattie.
- Inspirate dal naso ed espirate dalla bocca: bisognerebbe inspirare ed espirare sempre dal naso, azione che consente di preservare le funzioni respiratorie bronco-polmonari, prima fra tutte la capacità di mantenere stabili le caratteristiche fisiche di umidità e temperatura dell’aria inspirata.
Consigli utili
Cinque, invece, i suggerimenti di Parente per una corretta respirazione.
- Dedicate almeno cinque minuti al giorno, anche non consecutivi, a esercizi di respirazione mirata e consapevole.
- Eseguite gli esercizi in un ambiente confortevole per aumentare il livello di concentrazione, in modo da percepire maggiormente il vostro respiro.
- Monitorate l’efficacia del vostro esercizio con un cardiofrequenzimetro: durante gli esercizi di respirazione la frequenza cardiaca dovrebbe diminuire.
- Prediligete la respirazione esclusivamente dal naso in entrambe le fasi, inspiratoria ed espiratoria.
- Scegliete esercizi di respirazione diaframmatica, meglio se eseguiti sdraiati in posizione supina: la pancia (e non il torace) va gonfiata durante l’inspirazione e svuotata con l’espirazione.
Mascherina
Esercizi che vanno eseguiti soprattutto in questo periodo pandemico, nel quale ci troviamo a indossare le mascherine. «Non determinano una compromissione respiratoria significativa nei soggetti sani», nota Parente, «tuttavia sarebbe preferibile non indossarle per un tempo superiore alle quattro ore consecutive». Quelle chirurgiche semplici consentono una migliore respirazione, ma, conclude l’osteopata, vanno utilizzate «a seconda della valutazione del rischio».