Ferite sulla pelle, ferite nell’anima. I “bambini farfalla” sono doppiamente fragili: colpa della loro rara malattia genetica, l’epidermolisi bollosa, che colpisce la pelle causando gravi lacerazioni fin dalla nascita. Il dolore fisico e le continue medicazioni sono solo alcune delle difficoltà che devono affrontare tutti i giorni: a tarpare le loro ali sono soprattutto la diffidenza della gente, la disinformazione e la burocrazia, sbarre di una prigione invisibile in cui si trovano ingabbiati insieme ai loro familiari. A descriverla per la prima volta al mondo è un’indagine condotta in Italia grazie al sostegno di Debra Italia Onlus.
Lo studio ha coinvolto 33 tra pazienti e persone che prestano assistenza (caregiver): un numero che può sembrare a prima vista molto basso, ma che non lo è affatto se si pensa che l’epidermolisi bollosa colpisce circa 1000 persone in Italia. Si tratta di una patologia estremamente complessa e dai profondi risvolti psicologici, sia per il paziente che per i suoi familiari. La manifestazione più evidente sono le bolle e lacerazioni sulla pelle, tuttavia possono essere interessati anche diversi organi interni, con numerose e gravi complicazioni. Tre le forme in cui può manifestarsi la malattia: epidermolisi bollosa semplice (o epidermolitica), epidermolisi bollosa giunzionale ed epidermolisi bollosa distrofica (o dermolitica). Se le forme lievi consentono la conduzione di un’esistenza normale, le forme più gravi possono essere letali anche in età neonatale o intrauterina. La definizione di “bambini farfalla” deriva proprio dall’estrema fragilità cutanea che li caratterizza.
I risultati delle interviste confermano che, da un punto di vista fisico, la comparsa di bolle e lacerazioni risulta essere il fattore comune tra tutte le forme di malattia: queste manifestazioni sono accompagnate da una serie di altre complicazioni e disfunzioni (quali pseudo-sindattilia, stenosi esofagea, malformazioni della cavità orale, celiachia, stipsi, lacerazioni corneali, lesioni cancerose) che delineano un quadro molto variabile, con un’elevata imprevedibilità.
Molti, tra i caregiver intervistati, hanno rivelato di vivere in una condizione di costante disagio e difficoltà. Per i pazienti, la mancanza di autonomia rappresenta l’aspetto più invalidante e difficile da accettare, soprattutto con il passaggio all’età adulta. La stessa situazione genera nei caregiver il peso della responsabilità, spesso accompagnata da stati di ansia: la fragilità dei propri cari e l’impossibilità di poter pianificare sul breve e lungo periodo, a causa dei frequenti infortuni ed imprevisti, fa sì che il caregiver viva in uno stato di costante allerta e tensione.
L’approccio al dolore e il ruolo ad esso attribuito da pazienti e caregiver sono un aspetto fondamentale all’interno della ricerca. Il paziente, abituato al dolore sin dalla nascita, sviluppa una resistenza completamente diversa da quella di chi lo assiste e tende a considerare il dolore un handicap secondario se paragonato alle limitazioni pratiche imposte dalla malattia. Infatti, nella conquista dell’indipendenza, sono quest’ultime a rappresentare il reale problema e suscitare frustrazione. Il caregiver, invece, non essendo in grado di comprendere esattamente l’entità percettiva del dolore, vive con profonda ansia e impotenza momenti quali bendaggio e medicazioni che il proprio caro deve affrontare ogni giorno. Tra i diversi interventi medico-chirurgici che i pazienti sono spesso costretti a subire nel corso della loro vita, gli interventi chirurgici di ricostruzione della cute delle mani rappresentano i momenti in assoluto più dolorosi. Frequenti sono, purtroppo, anche altri interventi molto critici quali le dilatazioni esofagee e le asportazioni di carcinomi.
«Di epidermolisi bollosa non si parla e si sa troppo poco», afferma Cinzia Pilo, Presidente di Debra Italia Onlus e Debra International. «Come emerge dall’indagine, si tratta di una patologia multispecialistica, estremamente complessa, che richiede personale medico formato a gestire la malattia e le sue complicanze con accorgimenti e tecniche specifiche. Come genitore di un bambino malato di epidermolisi bollosa, posso affermare che l’impatto della malattia è decisamente sottovalutato. La gestione quotidiana delle medicazioni è affidata a noi familiari che sopportiamo, perciò, un eccessivo carico non solo fisico ma anche psicologico. Se a tutto ciò sommiamo poi la curiosità indiscreta che la malattia desta nelle persone, possiamo intuire il livello di stress psicologico e discriminazione sociale a cui i nostri ragazzi e noi familiari siamo costantemente sottoposti».
Guardando al futuro, tutti gli intervistati auspicano un aumento della conoscenza sulla epidermolisi bollosa, sia da un punto di vista tecnico-scientifico, sia sociale. Si sottolinea infatti un’eccessiva disparità di adeguatezza delle cure e della gestione della patologia legata al contesto di residenza. «E’ necessario che le autorità istituzionali agevolino l’abbattimento delle barriere burocratiche che ostacolano la gestione della patologia – commenta Susanna Esposito, Direttore dell’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura, IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano – e contribuiscano con i dovuti finanziamenti a supportare la comunità medico-scientifica nella ricerca di una cura definitiva per questa grave malattia genetica».
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