Le tipologie più conosciute di epatiti sono quelle causate da virus (ad esempio l’epatite virale di tipo A, B o C) o da abuso di alcol, ma ne esiste anche un’altra, meno comune, conosciuta come epatite autoimmune. Abbiamo chiesto chiarimenti e approfondito l’argomento con Giovanni Monteleone, Professore di Gastroenterologia presso il Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università Tor Vergata di Roma (puoi chiedergli un consulto qui).
Epatite autoimmune: di che cosa si tratta?
Il termine epatite, indipendentemente dalla causa che la genera, significa infiammazione del fegato. L’epatite autoimmunitaria non è altro che un’infiammazione del fegato, che però dal punto di vista patogenetico si fonda su di un importante meccanismo: il sistema immunitario dell’ospite, ovvero del soggetto in cui si sviluppa l’epatite, aggredisce le cellule epatiche del fegato. Ciò che si verifica è, in sostanza, una vera e propria autoaggressione del sistema immunitario, che nasce dall’incapacità di riconoscere ciò che è suo da ciò che è esterno. Come tutte le patologie autoimmuni, affinché insorga ci deve essere comunque una predisposizione genetica.
Quali sono i sintomi?
In circa un terzo dei casi, questa forma di malattia epatica può non manifestarsi clinicamente, cioè essere asintomatica. La diagnosi, spesso, è formulata sulla base di indagini di laboratorio eseguite per altre ragioni.
In un altro terzo dei casi, la malattia può manifestarsi con sintomi sfumati e non specifici, come ad esempio stanchezza o sensazione di bocca amara o in modo acuto con comparsa d’ittero, ovvero colorazione gialla della pelle.
Ci sono anche delle forme che sono purtroppo diagnosticate in ritardo: hanno avuto degli inizi sfumati, poi piano piano sono andate avanti fino a complicarsi con lo sviluppo di cirrosi.
Perché ci si ammala e quali sono i fattori di rischio?
L’epatite autoimmunitaria è più frequente nelle donne, può manifestarsi in qualunque fascia di età, e può essere precipitata da infezioni batteriche e virali o dall’uso di alcuni farmaci. Purtroppo ancora oggi mancano degli studi approfonditi sulla patogenesi della malattia e, pertanto, non conosciamo tutte le fasi attraverso cui si sviluppa il danno del fegato.
L’epatite autoimmune può associarsi ad altre malattie autoimmunitarie o mediate dal sistema immunitario, come la tiroidite di Hashimoto, l’artrite reumatoide o la rettocolite idiopatica. Chi soffre di una specifica patologia autoimmunitaria ha un aumentato rischio di svilupparne altre. Esistono, comunque, forme sporadiche di epatiti autoimmuni che si sviluppano in individui non sofferenti di altre patologie.
Vengono descritte due forme principali di epatite autoimmune: quella di tipo 1 si associa più frequentemente ad altre malattie autoimmunitarie e si caratterizza per la positività nel sangue di anticorpi anti-nucleo e/o anticorpi anti-muscolo liscio, mentre la forma di tipo 2, caratterizzata dalla positività degli anticorpi microsomiali fegato-rene, è più frequente nei giovani.
Come si cura?
L’epatite autoimmune, anche se difficile da curare, non è di per sé una patologia mortale, anche se la comparsa di cirrosi espone il paziente a gravi complicanze. Le terapie utilizzate possono rallentare l’evoluzione della malattia. Essendoci alla base un’eccessiva risposta infiammatoria, si prescrivono farmaci in grado di spegnere la catena dell’infiammazione. Il più classico antiinfiammatorio è il cortisone, che è efficace, ma il cui uso può associarsi allo sviluppo di molteplici effetti collaterali come pure a fenomeni di dipendenza.
Negli ultimi anni si sta tentando di utilizzare dei cortisonici che abbiano un minor rischio di effetti collaterali e che siano metabolizzati rapidamente. C’è una nicchia di pazienti che, purtroppo, è resistente o refrattaria al trattamento.
Che cosa si può fare? Aggiungere alla terapia cortisonica, gli immunosoppressori. Anche in questo caso, però, questi farmaci possono causare effetti collaterali importanti perché abbassando le difese immunitarie possono predisporre al rischio di contrarre infezioni. Per i casi che non rispondono né ai cortisonici né agli immunosoppressori si tenta, ancora in via sperimentale, l’utilizzo dei farmaci biologici.
È una patologia rara?
Non è una patologia frequente, ma non è neanche rara, considerato il fatto che spesso esordisce nella fase giovanile e il paziente ci convive per 50-60 anni. Non ci sono grandi numeri sulla frequenza. Come tutte le patologie su base autoimmunitaria, anche l’epatite autoimmune varia secondo l’area geografica. Non è presente, o lo è poco, nei paesi sottosviluppati, mentre la sua incidenza è più alta nei paesi occidentali. L’Europa purtroppo è una delle aree più colpite e si va dai 5 ai 40 casi per centomila abitanti. In zone tipo l’Australia e la Nuova Zelanda si evidenziano 25-30 casi per centomila abitanti.
di Eliana Canova
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