Claire Persterfield è una giovane infermiera. Vive a Cambridge, in Gran Bretagna, e lavora a contatto con i bambini diabetici ricoverati allo Addenbrooke’s Hospital. Sa benissimo quanto può essere pericolosa per loro un improvviso abbassamento degli zuccheri: lo sa anche perché lei stessa è malata di diabete giovanile di tipo 1.
Per anni ha convissuto con questo rischio misurandosi costantemente la glicemia, giorno e notte. Un chiodo fisso, almeno finchè non è arrivato lui: Magic, uno splendido labrador color beige addestrato da una onlus per vegliare costantemente su di lei come un angelo custode. Lui è lì, sempre al suo fianco anche di notte, pronto a fiutare il pericolo nell’aria: gli basta rivolgere il naso alla sua padrona per sapere se nel suo sangue il livello degli zuccheri si sta abbassando aprendo la porta ad una crisi ipoglicemica. «Quando avverte che l’ipoglicemia sta arrivando, Magic si alza subito e appoggia la sua zampa sulla mia spalla, per avvisarmi che è arrivato il momento di misurarmi la glicemia», spiega Claire.
Come Magic, esistono anche altri cani capaci di fiutare l’ipoglicemia dopo un breve addestramento: finora, però, nessuno era ancora riuscito a spiegare come svolgessero questo compito così prezioso.
I ricercatori dell’Università di Cambridge hanno ipotizzato che nel fiato emesso dai pazienti potesse essere presente qualche molecola “spia” dell’ipoglicemia: per verificarlo, hanno analizzato il respiro di otto donne diabetiche dopo aver indotto un progressivo abbassamento degli zuccheri sempre sotto controllo medico. I risultati delle analisi chimiche, pubblicati su Diabetes Care, hanno dimostrato che, durante l’ipoglicemia, nel fiato raddoppiano i livelli di isoprene, una sostanza volatile di cui si sa ancora poco, ma che sembra essere prodotta dall’organismo durante l’assemblaggio delle molecole di colesterolo.
«Le persone non avvertono la presenza dell’isoprene, ma i cani, con il loro incredibile olfatto, lo possono riconoscere facilmente, e per questo possono essere addestrati ad allertare i loro padroni in caso di crisi», spiega il coordinatore dello studio, Mark Evans. Il “profumo” dell’ipoglicemia «potrà dunque essere sfruttato per sviluppare nuovi test diagnostici – aggiunge il ricercatore – in modo da ridurre il rischio di complicanze potenzialmente fatali per i pazienti diabetici».
di Elisa Buson
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