Nuovo successo per la medicina rigenerativa: ad ottenerlo è stato un gruppo di chirurghi del Medical College del Wisconsin, negli Stati Uniti, che per primi al mondo hanno ricostruito l’esofago di un paziente senza dover ricorrere ad avvenieristici organi artificiali stampati in 3D, ma semplicemente usando cellule della pelle e uno stent metallico, tutti materiali già disponibili sul mercato.
A 7 anni dall’intervento, e a 4 anni dalla rimozione dello stent che teneva in forma il “nuovo” esofago, il paziente riesce a deglutire e mangiare normalmente, come dimostrano i risultati pubblicati sulla prestigiosa rivista The Lancet.
La tecnica d’intervento, mai sperimentata prima sull’uomo, è stata provata su un giovane di 24 anni, arrivato d’urgenza in ospedale per una grave infezione all’esofago, l’ennesima complicanza di una serie di interventi che aveva dovuto subire a causa di un incidente stradale che pochi anni prima lo aveva paralizzato. Il problema, riferiscono i sanitari, interessava un tratto dell’esofago lungo ben 5 centimetri ed era dunque troppo esteso per poter essere trattato con le normali tecniche operatorie.
Da qui l’idea di inserire uno stent metallico per mantenere la forma dell’esofago danneggiato mentre si impiantava una “pezza” di tessuto rigenerativo ottenuto da cellule prelevate dalla pelle: il tutto è stato poi “annaffiato” con uno speciale gel alle piastrine estratto dal plasma dello stesso paziente, ricco di fattori di crescita che stimolano le cellule staminali e la crescita dei vasi sanguigni, aiutando la rigenerazione.
La rimozione dello stent, prevista a tre mesi dall’intervento, è stata infine eseguita a distanza di tre anni e mezzo per volontà dello stesso paziente, terrorizzato dalla possibilità che qualcosa andasse storto. I fatti, fortunamente, non gli hanno dato ragione: l’esofago si è infatti ricostituito e ha riacquistato piena funzionalità, permettendogli di deglutire e mangiare autonomamente.
«Si tratta di una prima assoluta sull’uomo – spiegano i medici – un’opzione che abbiamo scelto come misura salvavita dopo aver scartato tutte le altre opzioni disponibili per questo paziente. L’uso di questa procedura nella pratica clinica è ancora un traguardo lontano: per raggiungerlo serviranno nuovi test sugli animali di grossa taglia e nuove sperimentazioni cliniche sull’uomo».
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